
I biscotti hanno normalmente nomi che poeticamente raccontano la loro forma, o che dialetticamente raccontano la loro storia. A parte i brutti ma buoni, che hanno il nome più sincero di tutti. Che ne so, potevano chiamarli robertini, o tortini, o zanzarini, o nutriini. E invece è stata fatta questa scelta brutale. I brutti ma buoni sono, in effetti, brutti ma buoni. E adesso non potresti chiamarli più in un altro modo.
Questo sofisticato ragionamento – che Iginio Massari me spiccia casa – mi è venuto oggi guardando l’Inter (o meglio, nei circa 60 minuti in cui sono rimasto sveglio e vigile, perchè negli altri 30 ho dormito come non mi capitava dal Gp di Ungheria del 2014). Alla nona delle dieci partite da giocare in un mese (da Inter-Torino del 22/11 a Verona-Inter del 23/12, cioè mercoledì) abbiamo messo insieme la sesta vittoria consecutiva in campionato in un sostanziale saliscendi di prestazioni mediamente bruttine, con alcuni momenti di bruttezza tipo oggi (almeno così mi raccontano, nel primo tempo dormivo come un bambino) o tipo i venti minuti finali col Napoli o come il primo tempo col Toro o come (segue elenco). Inframmezzate alle partite di serie A in questo mesetto ne abbiamo giocate anche tre in Champions, con il deprimente bilancio che conosciamo bene. Brutti col Real, buoni a Borussia, brutti con lo Shakhtar. Quindi siamo brutti, altroché, lo siamo stati in Champions, brutti e cattivi, e siamo però anche buoni, se è vero che siamo secondi in campionato e che in questo mese abbiamo recuperato 4 punti alla prima.
A questo punto potremmo fare un fioretto: ci impegniamo a seguire e a tifare con tutte le nostre forze la nostra squadra pur così brutta ma così buona, se la bruttezza giustifica i mezzi per arrivare a vincere le partite – se non tutte, il maggior numero possibile – e magari un qualcosa che possa rinfoltire la nostra bacheca dopo ormai quasi dieci anni di digiuno totale? Ci concentriamo sulla pratica e lasciamo perdere l’estetica?
Beh, si può fare, sarebbe un sacrificio molto relativo di fronte alla prospettiva di un qualcosa. Però l’Inter, senza farne una questione di mera estetica, dovrebbe tendere un po’ di più alla bellezza. Se si è belli, la fatica pesa meno. Se si è belli, l’aria intorno si alleggerisce. Se si è belli, è più facile arrivare al risultato. Non tipo oggi, quando schieriamo con lo Spezia la formazione-tipo che schiereremmo col Bayern o col Liverpool (che di per sè ti dice che c’è qualcosa di sbagliato già in premessa) e ci appiattiamo a giocare una non-partita nell’attesa che accada qualcosa. Può andare bene con lo Spezia, con le altre non so. Le partite tristi ti imbruttiscono, e noi abbiamo bisogno di leggerezza.
L’Inter, per essere più bella, intanto ha bisogno un ritocchino (vabbe’ dai, lo fanno in tante). Mercoledì ho visto in sequenza Juve-Atalanta e Inter-Napoli e ho avuto l’impressione che la squadra meno attrezzata fosse la nostra. Atalanta e Napoli avevano sei attaccanti tra campo e panca, l’Inter due. Lukaku e Lautaro, oltre al logoro Sanchez e al (boh) Pinamonti, hanno bisogno di qualcuno che li faccia rifiatare, o che consenta di rimescolare le carte o rinfrescare le forze. A gennaio il primo obiettivo deve essere quello. E poi la liberazione (anche dolorosa, anche assurda) dagli equivoci, perchè sono cose che pesano, gli equivoci, e non non abbiamo bisogno di pesi.
L’Inter brutta, a tratti oscena di questo mese, è anche molto buona, perchè il bilancio delle nove partite è 7-1-1 e vaffanculo, firmerei per la stessa cosa nelle prossime nove. Però serve cambiare faccia, serve tirare il fiato, serve darsi una rinfrescata. Serve accettare il fatto che in campo, al di là degli schemi e dei numeri, quando in campo ci vanno i buoni (e non i brutti) le cose vanno meglio. Tipo oggi, che metti Sensi e basta qualche tocco meno ammorbato della media per vincere la partita. Se non è Eriksen – dio santo, ormai l’abbiamo capito – l’uomo che ci può dare altra bellezza, beh, prendiamone un altro. Però la bellezza passa dai buoni, non dai brutti: stiamo parlando di calcio, non di biscotti.
Se una squadra che si è concessa ultimamente tanta bruttezza ne ha vinte sei su sei, vuol dire che questo campionato è molto più a portata di mano di quanto non vogliamo ammettere. Farselo sfuggire sarebbe da criminali. Bisogna pensare un po’ più positivo, da Zhang fino a Conte: scrollarsi di dosso questo nebbione concettuale e correre un po’ più liberi. E belli.
