Il minimo sindacale

L’Inter fa 4 su 4, 12 punti. Al giro di boa del girone di Champions è prima a punteggio pieno ma non è un’impresa epocale, è l’obiettivo minimo. Anzi, il minimo sindacale. Le quattro squadre che abbiamo affrontato hanno fatto sei punti in totale, la metà dei nostri. La migliore è 28esima, la peggiore è 38esima, l’ultima. Ed è l’Ajax, la più titolata tra quelle che abbiamo affrontato, e andando a vincere là avevamo pensato di aver fatto una mezza impresa: invece ha zero punti, un gol fatto e 14 subiti, un disastro. I nostri 12 punti sono preziosi e un po’ mendaci, comunque la riserva aurea con cui affonteremo le prossime partite: Atletico Madrid, Liverpool, Arsenal e Borussia Dortmund (che in questo momento sono tra il secondo e il 17esimo posto).

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Voglio pensare che la pessima partita con il Kairat (vinta ma giocata male, un grottesco gol subito, un atteggiamento abbastanza irritante nel complesso) sia figlia di questa situazione più unica che rara, di questo calendario folle che ci ha messo nell’ordine quattro partite facili e quattro partite molto difficili. Come se il Kairat fosse una perdita di tempo prima di affrontare avversarie vere: i kazaki che arrivavano dopo i cechi, i belgi e gli olandesi decaduti, un inno alla noia ma anche l’obbligo di non sbagliare. Una pratica da sbrigare, senza entusiasmo. Sinner non si deconcentra mai con Alcaraz, Zverev o Medvedev. Gli capita magari con Altmaier o Bublik e qualcuno mai sentito nominare (tipo il Kairat), nei primi turni, sapendo che le partite vere arriveranno più in là. Ma intanto devi giocartela contro Pincopallo che ce la mette tutta mentre tu hai altro per la testa, magari ti strappa un servizio o vince pure un set. Ecco, a noi – voglio sperare – è capitato proprio questo. Tutti ‘sti Pincopalli di cui sbarazzarsi sapendo che la Champions vera deve ancora iniziare.

In effetti alla fine si è un po’ incazzato anche Chivu, così come ci siamo incazzati un pochino anche noi. Quel gol ridicolo (sette dei nostri che guardavano il kazako colpire di testa prendendo pure la mira, roba da oratorio) ci poteva costare due punti, e due punti nel cammino che ci tocca affrontare – ora che il gioco di fa duro – potevano essere mortali. Poi per fortuna abbiamo vinto, anche perchè era più facile vincere che perdere, con tutto il rispetto per il Kairat. E’ la seconda partita di fila che vinciamo per un pelo. La partita prima l’avevamo persa male, anche se dopo un furto. Ecco, diciamo ce non siamo in un momento scintillante. Sei punti con Verona e Kairat, sulla carta, erano belli che serviti. Non è andata esattamente così, ma abbiamo vinto. Prendiamolo come un buon segno. Ma con la buona sorte non è il caso di scherzare troppo.

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C.U.L.O.

Non bisogna vergognarsi di avere culo. C’è gente, in serie A, che sul culo ci ha costruito un impero, a cominciare dal Napoli la cui combo cazzimma-culo ha portato la squadra a rimediare o a vincere partire con gol in zona Cesarini, o nel recupero, in situazioni spesso di culo assoluto oltre che di culo relativo – cioè, diciamolo, è grazie all’Inter e al culo (anche aver preso McTominay è culo) che il Napoli ha vinto lo scudo. Anche il Milan ha un culo poderoso, un culo che spesso le salva il culo. E noi, quindi? Non bisogna vergognarsi di avere culo se, come nel caso nostro, in questi prima due mesi e mezzo di campionato sei piuttosto in credito con il culo, oltre che con il sistema. Ben venga il culo, nelle dosi giuste e al momento giusto.

Culo e ardir vanno spesso insieme (che è la variante del culo che aiuta gli audaci), per non dire che quel che non può l’ingegno può spesso il culo, un proverbio che si attaglia perfettamente a Verona-Inter, in cui l’ingegno era un po’ annebbiato e questo, per un processo misterioso, può avere affilato il culo. Il culo è parte del gioco, non facciamo finta che non sia così. L’autogol dell’ex – come dimenticare Frese, difensore dell’Inter di Ronaldo, mi ha fatto piacere vederloancora in campo – ci ha tolto le castagne dal fuoco e ci ha fatto urlare di gioia e poi sospirare “che culo” mentre tornavamo a sederci sul divano o sugli spalti del Bentegodi, perchè noi siamo gente onesta e quando abbiamo culo confessiamo di avere avuto culo, perchè non è del culo – credo di averlo detto prima – che bisogna vergognarsi.

Sia benedetto il culo se consente di dissolvere due maledizioni: quella di non vincere una partita in cui il 2-0 l’hai mancato almeno tre volte prima del pareggio altrui, e quella che il marcatore avversario è al suo primo gol in serie A, e se non esistesse l’Inter – pensate che culo ha il calcio italiano ad avere generato l’Inter e noi a essere interisti, che culo – i marcatori della storia del campionato sarebbero tipo un centinaio di meno, perchè senza Inter – anche loro hanno culo – non avrebbero mai segnato il loro primo gol in serie A, e magari non avrebbero mai segnato in assoluto, e magari non avrebero neanche fatto i calciatori e starebbero consegnando i pacchi di Amazon, tu pensa che culo.

A chi culo zufola, ha un bel ballare (il proverbio sta a significare che chi ha culo può godersi la vita e trarre vantaggio dalle situazioni): questo era noto anche prima di Verona-Inter, risolta come sappiamo da un discreto colpo di culo. La cosa curiosa è che prima del culo avevamo fatto un gol pazzesco, frutto di due scelte tecniche e balistiche sopraffine, una roba che col culo c’entra proprio poco – certo, qualcuno potrebbe dire che l’angolo del turco tirato in quel modo solo con la collaborazione del culo poteva arrivare sul piede di Zielinski, il cui meraviglioso piattone al volo ha sfiorato dieci nuche prima di insaccarsi sotto la traversa. Ma il vostro è culo, la nostra è classe, cari i miei coglionazzi.

Quindi, chiudo con alcune istruzioni. Vi dicono: madonna che culo! E voi: sì, un grandissimo culo, e allora? Vi dicono: vincete sempre di culo! E voi: no, non sempre, quasi mai, stavolta sì ed è stato bellissimo, così anche noi, come voi, possiamo capire come si sta dopo aver vinto di culo. Vi dicono: ma che culo, ma vergognatevi! E voi: è meglio avere culo che essere bravi, al culo bisogna sempre lasciare aperta una finestra, chi ha culo a pallon non giochi a carte, volete che continui? Viva il culo.

Vincerle tutte di culo da qui fino a fine maggio: ci metto la firma. Perché il culo altrui è insopportabile, ma il culo tuo è qualcosa di liberatorio. Dimentichi un’ora di brutta partita e ti godi il momento, nella tua dimensione di culattone che ha avuto culo. Il culo vale tre punti, quindi lunga vita al culo. In culo alla balena, Inter.

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Cravattando Pio

Così come – tipo in Napoli-Inter – quando si perde cerco di considerare le colpe nostre prima dei furti altrui, per par condicio dopo Inter-Fiorentina cercherò di considerare le questioni accessorie prima di celebrare la nostra vittoria. E cioè: se non avessimo vinto, come avremmo preso i due falli da rigore (il secondo incredibile) su Pio?

Vabbe’, il primo è il solito wrestling tra difensore e attaccante (anche se Comuzzo il pallone manco sapeva dove fosse), facciamo finta che tra dare e avere si potesse anche sorvolare. Ma il secondo, santissima madonna, com’è che tre o quattro arbitri seduti davanti a 27 monitor non dicono che è rigore (e ammonizione)? Com’è che se prendi per il collo un attaccante proteso verso il pallone non è rigore? Com’è che nessuno lo dice all’arbitro? Com’è?

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Stasera abbiamo vinto, quindi tutto è bene ciò che finisce bene. Ma non facciamo calare l’attenzione. Gli arbitri – parliamone – hanno iniziato questa stagione come la Fiorentina: fanno cagare. In 9 giornate ne hanno già fatte fin troppe, le comunicazioni tra campo e Var non funzionano, a furia di ritocchi e aggiustamenti il regolamento ormai andrebbe interpretato non alla sala Var ma alla corte di Ginevra o all’Accademia della Crusca. Questo pessimo momento arbitrale rischia di invelenire il campionato, forse anche di rovinarlo. Una roba indecente. Serve una riflessione generale, urgentemente.

Vabbe’, adesso parliamo di cose serie. Dopo un’ora di patimenti, in cui abbiamo sbagliato un po’ troppo e/o siamo andati a sbattere contro un De Gea che sembrava avere la calamita per il pallone in ogni estremità del corpo – forse anche il membro virile -, abbiamo chiuso alla grande. Era una partita fondamentale nella sua marginalità, perchè dovevamo archiviare Napoli e pensare ad altro, sentirci altro, dimostrare altro. Potevamo vincere 6-0 ma dobbiamo rassegnarci all’evidenza che le altre squadre possano schierare un portiere o mettersi a sette in difesa. L’abbiamo sbloccata con due prodezze individuali e anche noi dobbiamo rassegnarci al fatto che ogni tanto vada così, che la si metta senza bisogno di fare azioni con 15 triangolazioni e andando in porta con il pallone.

Calhanoglu capocannoniere, Sucic al primo gol (decimo marcatore diverso in nove giornate), Bisseck che forse da centrale può trovare la sua vera strada: beh, andiamo a dormire sereni.

La forma conta, ma il contenuto è più importante. E noi dobbiamo essere così, non arrenderci, giocare fino alla fine, cercare la bellezza anche attraverso qualche ruvidezza, non lasciarci deconcentrare dalle avversità. Abbiamo un percorso netto in Champions e quasi netto a un certo livello in campionato (tranne l’Udinese). Sopra quel certo livello, due scontri diretti importanti persi (due su due): ecco, lì non ci siamo proprio, a proposito di contenuto. Adesso scavalliamo questo periodo pre-pausa, perchè al ritorno ci sarà il Milan e sarà un piccolo Armageddon.

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Vedi Napoli e poi duoli

Meglio noi, ma abbiamo perso. Meglio noi, ma abbiamo preso due gol da dilettanti allo sbaraglio. Hanno vinto loro, ma grazie a un rigore che non c’era. Complimenti a loro, ma quel rigore ha cambiato la partita (Marotta’s version). Complimenti ai miei, ma non dobbiamo sprecare energie a litigare e non dobbiamo frignare dopo (Chivu’s version). Trovare la strada giusta per commentare Napoli-Inter non è facile, in tutti i sensi. Sembra una di quelle azioni riprese da 10 angolazioni diverse, e da ogni angolazione sembra – in effetti – un po’ diversa. Oppure, più semplicemente, è una partita da uovo e da gallina: è nato prima l’uno o l’altra, ha fatto meglio il Napoli o ha fatto peggio l’Inter, hanno avuto più culo loro o siamo stati più fessi noi?

Qualche punto fermo bisogna metterlo. Che il rigore abbia cambiato la partita è fuor di dubbio, un rigore che non c’era, o comunque dato in modo irrituale. Marotta – in fondo è solo il 25 ottobre e gli arbitri hanno già dato ampiamente il peggio – ha deciso di esporsi e ha fatto bene. Chivu ha fatto sapere al mondo che lui non è come gli altri (” Sto cercando di cambiare le cose ma per ora lotto da solo, siamo sempre abituati a piangere e lamentarci e dobbiamo evolverci”, capolavoro) e ha fatto bene. Fottuti da un rigore ingiusto. Cio non toglie, comunque, che abbiamo perso mettendoci anche del nostro.

Abbiamo avuto parecchia sfiga (due pali), sbagliato gol (Bastoni e soprattutto Lautaro, imperdonabile), controllato a lungo la partita. Ma abbiamo perso meritatamente, perché due gol così non li dovrebbe prendere neanche il Pavia (terzultimo in serie D), due dormite colossali – l’azione del 3-1 è partita da una rimessa laterale, santa madonna, livello scuola calcio – che hanno stravolto lo scenario che ci si poteva prospettare. Un mondo al contrario, per dirla alla Vannacci: nelle ultime sette partite l’Inter aveva preso 2 gol e in Napoli 15, ma in quei due precisi momenti noi sembravamo quel Napoli e il Napoli sembrava quella Inter. E comunque non dimentichiamo che noi schieravamo la formazione tipo per 10/11 (assente solo Thuram) e il Napoli ne aveva fuori cinque, più De Bruyne in corso d’opera. In più, erano depressi dal 6-2 di Champions e con poche e semplici mosse li abbiamo rimessi in piedi.

Insomma, un commento incisivo e ficcante alla luce di tutto ciò potrebbe essere: bella merda.

Ma non è una partita che ci ridimensiona. Ci rimette con i piedi per terra, questo sì, ma non ci ridimensiona. Potrebbe anche essere utile a farci capire che non si vive di luce riflessa e che il mondo non è fatto solo di Cremonesi, Slaviepraghe e Sangilluas. E che bisogna essere brutti sporchi e cattivi se il momento lo richiede. La strada è lunga, in testa alla classifica fino stasera c’era una squadra che in casa con Cremonese e Pisa ha fatto un punto. In questo campionato dove escono per infortunio il giocatore che ha causato il rigore e quello che lo ha tirato, tirandolo – un campionato consunto, lacero e contuso – ci siamo dentro alla stragrande, purché certe dure lezioni servano a farci capire che nulla ci è dovuto, nulla mai ci regaleranno, le partite finiscono quando l’arbitro fischia tre volte e l’uccello padulo vola che è una meraviglia.

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Le magnifiche sette

Era inevitabile, stasera, fare un po’ di zapping con la partita del Napoli, giusto per dare un’occhiata ogni tanto alla squadra cui abbiamo devoluto lo scudetto dello scorso anno e che ci attende sabato al San Paolo per la prova del nove: siamo forti con le scarse, o siamo forti (punto)? Beh, al netto delle notevoli differenze tra Usg e Psv, faceva una discreta impressione vederli triturati in Olanda nel secondo tempo proprio mentre noi in Belgio ce la giocavamo in relax e ogni tanto ne mettevamo dentro uno.

Con quella di Bruxelles, abbiamo vinto tutte e sette le ultime partite. Nello stesso speculare ciclo di sette partite (quattro in campionato e tre in Champions) il Napoli ne ha perse quattro. Dopo la Juve, noi 21 punti su 21. Loro, 9 su 21. Noi due (2) gol subiti, loro quindici (15!). Noi cinque clean sheet, loro hanno sempre preso almeno un gol. Che a vedere ‘sto sbrilluccichio di cifre e le loro facce all’uscita dal campo poco fa, verrebbe da dire che sabato sarebbe un peccato non vincere l’ottava di fila.

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Da un mese stiamo giocando benissimo. Non è il caso di fare grandi proclami per queste partite (a parte la Roma, e forse l’Ajax, le altre erano tutte facili) ma è un fatto che l’Inter stia crescendo. Ed è un fatto che all’aut-aut del dopo Juve – adesso o le vinciamo tutte o ciao – sia seguito un chirurgico mantenimento degli obiettivi. Non era impossibile, certo, ma nemmeno scontato. Le vittorie seriali portano un carico di positività notevole. Forse ti portano anche un po’ di fortuna.

A Bruxelles dopo 10 minuti potevamo essere sotto 2-0 e sarebbe stata una tranvata micidiale. Ma càpita che il tuo centravanti salvi un gol fatto sulla linea e che il tuo portiere ti risolva un altro paio di spaventi. Poi è venuto quasi tutto da sè. Tanto da digerire in fretta il turnover e passarla liscia con una difesa composta per due terzi da Bisseck e dal peggior De Vrij dell’ultimo anno. E’ la positività, è l’aura dello star bene. Il resto vien da sè, divertendosi. Pum pum pum pum.

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Le prossime cinque partite (tre a San Siro) ci diranno qualcosa in più. Vedremo se è questa Inter a rendere facili le partite complicate. Sabato a Napoli è un esamone difficile, tipo diritto privato o anatomia. Difficile ma non impossibile. Siamo come quegli studenti a cui piacciono le materie complicate e che si godono lo stato di grazia – fare poca fatica, divertirsi, avere quel pizzico di culo che non guasta. Chivu dice che i giocatori, smaltite le delusioni, hanno ancora il fuoco dentro. Bene, no?


(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #153, io e il mio socio Max attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa ci dovete dire? Beh, direi che gli argomenti non mancano nell’estesissimo range tra vinciamo tutto e moriremo tutti)

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)

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Grazie Roma

Il Var che annulla l’ennesimo gol del Napoli al novantesimo e rotti + noi che la sfanghiamo a Roma nonostante i soliti gol-sicurezza mancati e i tanti rischi presi nel secondo tempo. Questa combo basta e avanza per andare a dormire sereni – anzi, un filo eccitati – dopo questo sabato che ci vede tornare capolista solo qualche settimana dopo aver rischiato lo psicodramma. Sì, ok, sono due partite nell’eternità di una stagione, ma era tanto che non ci arrivava forte e chiaro un segnale così dirompente, e cioè che il vento stia un po’ cambiando. Il vento generale, il nostro e quello degli altri.

Ma restando a casa nostra, la vittoria a Roma è un’altra tappa del crescendo dopo-Juve. Sesta vittoria consecutiva e una prova importante, gran primo tempo (serviva il 2-0, peraltro meritato) e ripresa di sofferenza, un briciolo di culo e qualche grande ripartenza. Vinciamo 1-0 una partita che poteva finire 4-2, 5-5 e che magari in altri tempi un’altra Inter avrebbe anche potuto perdere, e invece no. Vinciamo 1-0 a Roma, contro una buona Roma, una partita che aveva tanti rischi intrinsechi dopo una pausa di non-riposo. La portiamo a casa grazie anche a Sommer, ma con la certezza di avere ritrovato in grandissimo spolvero due giocatori – Barella e Mkhitaryan – che per diversi motivi credevamo bolsi e invece stanno tornando alla loro solita modalità di uomini ovunque. Su Bonny (e anche Pio) non è il caso di spendere altre parole: il confronto con la panchina della scorsa stagione fa quasi girare i coglioni.

Intanto, nel concorso di idee per la nostra prossima mascotte si staglia ormai un grande favorito: è Gasperino, un simpatico pupazzo incazzoso che non ne azzecca una.

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I Bonny propositi

“Adesso bisogna vincerne cinque su cinque, sono facili”, ci siamo detti con l’espressione un po’ impanicata dopo Juve-Inter 4-3, maxima enculada con l’aggravante di essere stata la seconda sconfitta consecutiva. Bisogna, dobbiamo, è necessario. Ma eravamo tutti un po’ così. Un po’ scettici. Tutto questo avveniva tre settimane fa, mica tre mesi. Eppure sembra essere trascorso del tempo, un bel po’. L’Inter è cambiata da allora. E’ cresciuta, è meno impacciata, più performante. Questo è oggettivo. Ne ha vinte cinque su cinque. Anche questo è oggettivo. E sì, diciamolo: oggettivamente, sono state piuttosto facili.

Quindi? L’Inter ne ha vinte cinque “solo” perché erano facili, o ne ha vinte cinque perchè sta in effetti migliorando?

Sono vere entrambe le cose – voglio dire, non sono andato al bar a offrire champagne a tutti i presenti per le vittorie con Slavia Praga e Cremonese. Però è indubbio che, in questo quadro di facilità, l’Inter ha via via assunto una diversa consistenza. Slavia Praga e Cremonese non sono Real e Psg, però 35 tiri a 5 qualcosa lo dicono. Lo dicono anche i sorrisi che si erano visti fugacemente nella prima col Toro – forse erano sorrisi un po’ di sorpresa – e poi erano svaporati dopo le tranvate con Udinese e Juve. Ecco, l’Inter è tornata pure a divertirsi. Non lo aveva fatto col Sassuolo, con quel finale da angoscia. Non lo aveva fatto con l’Ajax, dove non c’era modo e tempo di rilassarsi davvero. Ma con Slavia e Cremonese l’Inter si è divertita.

E si stanno divertendo in tanti, visto che Chivu sta facendo un bel turnover. Sembrano (quasi) tutti coinvolti: Bonny che alla prima da titolare fa un gol e tre assist è un’altra situazione che dice tanto. E sembrano tutti in progresso fisico: Dimarco sembra il fratello più giovane e forte del Dimarco dell’intera ultima stagione. 8 gol subiti in 6 partite sono troppi, ma i 17 segnati sono tanti, quasi 3 a partita. Con buona pace di chi pensava – lo pensavo anch’io, per dire – che l’Inter di Chivu sarebbe stata meno spumeggiante di quella di Inzaghi. Diversa sì, ma sulle spumeggianza potremmo sin d’ora discutere. Viaggiamo a 3 gol a partita in campionato. Ne abbiamo segnati 3 anche alla Juve, prima di suicidarci come una setta giapponese.

Dopo la pausa faremo un sacco di controprove. Però questa Inter promette bene. Che non è male, per una squadra che tre settimane fa si dibatteva nella bufera del moriremo tutti. Siamo vivi, per ora. Vivi.

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Confidence

Dovessimo giudicare la partita con lo Slavia dalla statistica dei tiri (14-1) e dalla monumentale papera del portiere ceco che ha sbloccato il risultato, il commento potrebbe finire tranquillamente qui. Però era a) una partita di Champions, b) una partita da vincere assolutamente e c) una partita attraverso cui proseguire il percorso imboccato dopo la disgraziatissima partita con la Juve. E siccome da quel tardo e storto pomeriggio di Torino sono trascorsi soli 17 giorni, nei quali abbiamo giocato (e vinto) quattro volte, beh, allora il commento può continuare.

In questi 17 giorni e 4 partite, dopo la scoppola con la Juve, abbiamo subito un gol solo segnandone nove. Il ciclo delle cinque partite facili (sabato c’è l’ultima, con la Cremonese) va preso per quel che è – un ciclo di partite facili, appunto – ma provando anche ad apprezzare i progressi fatti e a goderci la bellezza dell’ordinaria amministrazione, perchè non è che ogni volta dobbiamo perdere mesi di vita.

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Chivu sta iniziando a prenderci la mano e la squadra sta iniziando a prendere la mano con Chivu. Il turnover funziona: certo, sarebbe molto proeccupante se non funzionasse con Cagliari e Slavia, ma questa resta un’esigenza fondamentale – dobbiamo giocare un’enormità di volte – e tutti vanno coinvolti. Tutto questo stasera si è tradotto in una tranquillità di fondo , una sensazione di fiducia e di sicurezza – la confidence inglese – che va tarata sullo Slavia Praga ma che non ci deve fare schifo. E’ una tipica cosa che cresce col tempo e, nel caso dello sport, si alimenta con le vittorie.

E noi di confidence dobbiamo fare il pieno, perchè dopo la Cremonese avremo la pausa per le nazionali e al ritorno saranno cazzi: 7 partite in 23 giorni, due di Champions (facili, quindi da vincere senza se e senza ma) e cinque di campionato, tra cui Roma e Napoli in trasferta e la Lazio in casa. Il mondo non è fatto solo di Slavie, ma è da queste occasioni marginali che nascono certe imprese. Vincere senza angosce andando dritti all’obiettivo è una pratica virtuosa fin dai tempi in cui hanno hanno inventato la palla.

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Piano piano

Dopo la Juve, l’Inter ha vinto tre partite su tre, di cui due in trasferta senza subire gol. Due le reti segnate a match, pum pum, regolare. Niente di che, lo sappiamo. In un ciclo di partite facili, vincere è il minimo sindacale. Però nella politica dei piccoli passi – quelli di una squadra che deve trovare la forma e deve ritrovare sè stessa, prima di dedicarsi eventualmente agli effetti speciali – i piccoli passi fatti bene producono i primi effetti. Piccoli pure loro, d’accordo. Ma li produce.

La vittoria di Cagliari è un po’ come quella di Amsterdam: niente di epocale, va bene, ma nemmeno di banale. 16 tiri contro 4, il 58% di possesso: se fosse entrato il colpo di testa di Folorunsho, dopo il palo quasi-gol del turco, sarebbe stata una beffa atroce. Lo spazio-beffa lo concediamo sempre e a chiunque, del resto, ma forse è il caso che abbassiamo un poco le nostre pretese di perfezione: stiamo tornando ai nostri standard di squadra che produce molto più di quello che realizza, che paga care le sue distrazioni eccetera. La solita Inter delle ultime cinque stagioni, in fondo.

Sono trascorsi giusto tre o quattro giorni dalla strepitosa serie di pagine che la Gazza ci ha dedicato, sul tema “Inter quanto fai cagare” e “Cosa fareste voi per migliorare l’Inter, e perché proprio esonerare Chivu?”. Ci hanno descritto, noi tifosotti, come divisi sul nostro presente e il nostro futuro. Divisi soprattutto sul nostro inesperto e inadeguato allenatore. Ma è davvero così? Io di interisti così disperatamente preoccupati per Chivu (e da Chivu) proprio non ne frequento. Parlo con interisti preoccupati per un sacco di cose – fin troppe -, ma nel podio delle preoccupazioni non c’è quasi mai Chivu. Allora di cosa parla esattamente la Gazza, che un giorno fa una prima pagina sul Milan champagne che batte in Coppa Italia il Lecce in 10 e il giorno dopo ci descrive come un popolo allo sbando?

Visto che non vado pazzo per Chivu, lo posso dire con estrema serenità: è proprio intorno a Chivu che possiamo trovare le motivazioni per ripartire. Non vado pazzo per lui ma mi piace la genuinità nell’affrontare la sua grande occasione. Un gruppo forte e non facile da gestire per tante ragioni, un mercato dove le sue richieste sono state per lo più disattese, il supplizio di doversi sottoporre di continuo al raffronto con un recente passato difficile da eguagliare: non è mica facile. Chivu è il nostro allenatore e si va avanti con lui. A Cagliari per almeno metà partita siamo stati ottimi, con qualche sprazzo notevole. Sull’altra metà possiamo migliorare. E se intanto allunghiamo la striscia, diamo una sistemata anche all’umore. Che non è secondario.

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Tre punti, punto

Classica partita che devi leggere al contrario, cioè partendo dalla fine. Quindi, partendo dalla fine, per prima cosa devi sentirti dire “E vabbe’, dai, rilassati, hai vinto, che cazzo pretendi?”. Beh, ecco, non è che lo pretenda, ma mi piacerebbe davvero potermi rilassare da un certo punto della partita in poi. Altrimenti mi tocca rispolverare il celeberrimo aforisma di Marcello Marchesi “Siamo nati per soffrire. E ci siamo riusciti” e mi spiace rispolverarlo per un’Inter-Sassuolo piuttosto marginale nel nostro campionato, nella nostra storia e nella stessa specifica e variegatissima storia dei confronti tra Inter e Sassuolo. Una partita che oggettivamente potevamo vincere comodamente e invece abbiamo vinto scomodamente – nel senso che gli ultimi 5 minuti li ho visti in piedi, è vita questa?

Ascolta “Estintori sfavillanti” su Spreaker.

Chivu, nelle interviste post-partita, ci chiede di apprezzare anche questa situazione: che sappiamo soffire e che comunque la partita l’abbiamo portata a casa. Posso anche provare a essere d’accordo con lui, ma – sempre procedendo a ritroso – mi imbatto nelle immagini del gol del Sassuolo e non posso che rimanerne turbato: due minuti e mezzo dopo aver segnato – di culo – il gol del 2-0 e avere sistemato le cose per vivere in serenità gli ultimi 10 minuti di partita, ti fai prendere d’infilata in un modo clamoroso, loro in movimento e noi fermi, una distrazione che poteva costare caro e che non è un buon segno. La leziosità precedente e la statuaria sufficienza di quel momento lì: no, non benissimo.

C’è una sproporzione – procedendo al contrario, incoraggiante – tra quello che produci e quello che realizzi. Incoraggiante nel senso che magari, un giorno, chissà se vicino o lontano, l’alchimia tra la postura dei piedi e il livello di cattiveria funzionerà meglio e vinceremo le partite 3-0 invece di 2-1, che farebbe tutta la differenza del mondo. I difetti dell’Inter si perpetuano nei suoi uomini: lo dicevamo dell’Inter di Inzaghi e lo diciamo dell’Inter di Chivu, che per la gran parte sono infatti gli stessi. Per noi è un 21 settembre che potrebbe essere benissimo un 21 agosto, per il ritardo con cui abbiamo iniziato la preparazione e le tossine che ci portiamo appresso. Ci tocca portare pazienza ma non è facile. Ci tocca persino guardare gli ultimi 5 minuti di un’Inter-Sassuolo in piedi davanti alla tv, e non è facile nemmeno questo. Abbiamo vinto, quindi dovremmo rilassarci. E però no, non è facile nemmeno questo: con questi tre punti passiamo dall’undicesimo al decimo posto, ma si può? Non ci sono più le vittorie di una volta.

Consoliamoci con Pio Esposito. Non solo per quello che è (e quello che speriamo possa diventare), ma perché perlomeno ci fa parlare d’altro. Non siamo sempre lì a fare confronti con Inzaghi, a valutare i difetti di Chivu, a fare la conta dell’età media o di quanto siamo scoppiati. C’è un ragazzo interista che ha vent’anni e fa il centravanti in un certo modo, non banale. Se riuscissimo anche a non mettergli troppa fretta, sarebbe proprio bello.

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