La sottile differenza tra vincere e non vincere

Le due partite dell’Inter con il Venezia – e specialmente la seconda, quella di oggi – sono l’esatta dimostrazione di come certi match vadano vinti e stop. Le discussioni sugli argomenti accessori, a cominciare dall’estetica, sono rinviate a data da destinarsi (tipo fine luglio).

Le quattro protagoniste della Supercoppa sono evidentemente tornate in Italia con qualche tossina di troppo. L’Atalanta (miracolata a Udine), il Milan (moscio col Cagliari) e la Juve (smunta nel derby) hanno pareggiato. A Venezia, dove peraltro avremmo meritato di vincere minimo 3-1 checchè ne dica Di Francesco, potevamo pareggiare anche noi tra gol sbagliati nostri e qualche grosso rischio preso dietro. Avessimo pareggiato, saremmo qui a tirare giù santi dal calendario e a guardare angosciati la classifica. Invece abbiamo vinto, magari un po’ così, così come avevamo fatto all’andata: due risicati 1-0 con la penultima, due partite non indimenticabili. Totale 6 punti.

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Quella di “vincere le partite e stop” è una modalità che di solito diventa di default un po’ più avanti, ai primi tepori della primavera, quando gli impegni si accavallano e le gambe si intorpidiscono (qualche volta anche i cervelli). Ma la situazione contingente impone di iniziare già adesso, nella prima metà di gennaio, a farsi meno scrupoli. Quanto conta aver vinto a Venezia, scialaquando come al solito in attacco, non brillando particolarmente se non a spot, concedendo ai padroni di casa qualche libertà di troppo, compreso un palo interno (questione di millimetri)? Conta enormemente. Non c’è proporzione con l’importanza o il prestigio della partita. Ma questa proporzione non ci deve più interessare.

Vincendo 1-0 a Venezia abbiamo messo in saccoccia il 13esimo risultato utile in campionato, la sesta vittoria di fila in assoluto (ultima non-vittoria l’1-1 con il Napoli), la settima vittoria in trasferta di fila (l’ultima non-vittoria l’1-1 di Monza), le ultime sei delle quali senza nemmeno subire un gol (serie-record al lordo della partita da recuperare con la Fiorentina). In classifica siamo dietro al Napoli (che ha vinto le ultime cinque) di 4 punti, ma con due partite in meno. E siamo davanti all’Atalanta di 1 punto, con una partita in meno. La Lazio è a -7 (avendo giocato due partite in più di noi), la Juve a -10 (una partita in più), il Milan a -15 (stesse partite). Nelle ultime 5 partite solo il Napoli ha tenuto il nostro stesso passo: nelle ultime 5 partite abbiamo fatto 4 punti più dell’Atalanta, 10 più della Lazio, 8 della Juve, 11 della Fiorentina, 7 del Bologna, 9 del Milan.

Ecco qual è la differenza tra vincere certe partite (Como, Cagliari, Venezia) e non vincerle. “Grazie al cazzo”, potrebbe essere il vostro legittimo commento. Eh, certo, grazie al cazzo. Però con due asterischi guardate dove siamo e ditemi a) se siamo così in crisi e b) se non ho ragione. Non si deve mollare più niente. Mercoledì sarà durissima? Sì, tutte saranno durissime, quindi prepariamoci. Ma guardate che effetto fa vincerne il più possibile.

(Ehi, chi ha detto “grazie al cazzo”?)


(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #98, con il mio socio Max attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. Chi siamo noi per impedirvelo?

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)

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No, non siamo perfetti

(Lapresse)

In meno di cinque mesi di stagione abbiamo completato il prestigioso tris della resurrezione dei morti, il triplete della merdezza: due sconfitte col Milan (la prima pessima come approccio, la seconda da 2-0 a 2-3 in una finale secca) e un pareggio con la Juve (da 4-2 a 4-4 dopo aver sbagliato cinque o sei occasioni per il 5-2). Abbiamo fatto vincere la Supercoppa a una squadra che ancora non si capacitava di come esattamente avesse superato la sua semifinale. Mentre noi, nella nostra semifinale, avevamo fatto faville. Non quattro mesi fa. Quattro giorni fa. C’è tutto un mondo di link tra queste nostre controimprese stagionali: stasera abbiamo preso tre gol dal Milan, tre, cioè il numero dei gol totali presi nelle 14 partite seguite a Inter-Juve, che tutti abbiamo sperato – ma ce lo dicevano i numeri, no? – fosse state l’ultima nostra follia stagionale. E invece tu guarda che roba.

Ascolta “Le Ballon de Merde 2025!” su Spreaker.

Al netto delle più ovvie considerazioni – e cioè che tu non le puoi vincere tutte e che agli altri non è fatto divieto di giocare ottime partite (cosa che il Milan ha fatto, soprattutto per l’atteggiamento) – questa è la più classica delle partite che ti riempiono testa e cuore di dubbi, tutti quelli che dopo Inter-Juve avevi più o meno dissipato (Leverkusen, per quanto dannosa, sembrava un’eccezione) e che appena quattro giorni fa, dopo avere strapazzato ancora una volta l’Atalanta, ti eri completamente dimenticato. Ti sentivi già sul trampolino, pronto a prendere il volo: una Supercoppetta arabeggiante da intascare e poi via, verso l’infinito e oltre.

E invece ti ritrovi a constatare che anche il tuo magico meccanismo si inceppa, nè più nè meno come quello degli altri. Un meccanismo un po’ mentale (il primo tempo vi era piaciuto? A me no) e un po’ fisico, logistico, sostanziale: meglio giocare con Thuram e Calhanoglu che senza, per esempio. Meglio avere dei cambi pimpanti che dei cambi mosci. Meglio non dare troppe cose per scontate. Meglio stare sul pezzo fino a che la partita è in ghiacciaia. Meglio metterla in ghiacciaia, la partita, quando ne hai l’occasione.

Ascolta “Interisti Anonimi: gruppo di auto-aiuto” su Spreaker.

Giovedì sera eravamo andati a dormire con quella sottile sensazione di onnipotenza che ti danno le partite che riescono bene. Stanotte ci gireremo nel letto senza più certezze, anzi, un po’ vergognandoci di averne avute troppe soltanto quattro giorni prima. Sarebbe stata una vittoria evocativa, con due gol bellissimi di due attaccanti in presunta crisi. E invece è diventata una sconfitta pessima, ripresi e superati, vilipesi e derisi. Dal Milan.

Siamo arrivati a due centimetri dall’obiettivo (il pallone di Carlos che non ha varcato del tutto la linea) e questo non va dimenticato. Ma non va dimenticato nemmeno tutto il resto. Una partita in cui, sin dall’inizio, abbiamo dato l’impressione di avere un briciolo di voglia in meno del Milan (perché?). L’allucinante gol preso su punizione (sembrava il tutorial “Punizione dal limite a sfavore: errori da non fare”). I due gol presi nel finale, che si aggiungono a tutti gli altri (adesso più della metà li abbiamo subiti nell’ultimo quarto d’ora, e servirà a Simone farci qualche bella riflessione al di là della supercazzola che “tutti prendono i gol nel finale perchè cala la lucidità”).

Ne usciamo con un profilo inquietante: siamo una squadra imperfetta, che miscela momenti sublimi a inattese dimostrazioni di non completa affidabilità. Non chiudiamo le partite. Spalanchiamo le nostre porte. Dopo le prime due partite di questo gennaio micidiale rischiamo la crisi di identità mentre l’infermeria si arricchisce dei pezzi più pregiati. Prima di eccedere nei sogni, bisogna urgentemente serrare le fila. Mai più ‘ste cose, vi scongiuro, mai più.


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Ma che colpa abbiamo noi

“Ma che colpa abbiamo noi” è un film del 2003 diretto da Carlo Verdone. Trama: otto persone frequentano lo stesso gruppo psicoterapico tenuto da un’analista ormai anziana. Durante una seduta, la professionista muore per arresto cardiaco: gli otto se ne accorgono solo quando, interpellata, non risponde.

Ascolta “Errata corrige: la VERA puntata dei cosplayers” su Spreaker.

Il gruppo decide allora di proseguire l’esperienza con un altro terapeuta. La ricerca risulta tuttavia infruttuosa perché quelli scelti si rivelano non adatti. I pazienti decidono allora di cimentarsi in una sorta di “autogestione” della terapia di gruppo, che verrà condotta a turno nelle case dei partecipanti.

Oppure a casa mia.

No, perché quando mi dicono che a Lautaro servirebbe lo psicologo, io dico che no, secondo me servirebbe agli altri. Ne convocherei sette o otto mandando la geolocalizzazione via Whatsapp. Suona il campanello, sento i passi sulle scale, entrano Dimarco, Thuram, Taremi, Barella, Mkhitaryan, Dumfries, Bisseck (“Ciao, occhio alla testa”), Carlos (“Ciao, occhio alla testa”) (“Dai, scherzo”), accomodatevi, sì, in cerchio, la sedia in mezzo è mia.

(brusio, colpetti di tosse, Barella mi guarda fisso)

Allora ragazzi, vi ho fatti venire qui a Pavia, al riparo da occhi indiscreti

(mentre pronuncio queste parole penso ai loro clamorosi macchinoni parcheggiati in fila indiana in divieto, in Ztl, sotto casa mia)

sì, va bene, ci siamo capiti. Vi ho fatti venire qui perchè dobbiamo affrontare il problema di Lautaro.

“Perché non hai fatto venire Lautaro invece di rompere i coglioni a noi, scusa?”, mi fa Dimarco.

“Non hai alzato la mano”, gli dice Bisseck.

“Ah, scusa”, risponde Dimarco.

Aspetta, mio giovane e stolto amico nonché beniamino. Il problema di Lautaro siete voi.

(forte brusio, Thuram mi guarda male)

Sì, siete voi. Piantatela con ‘sta cosa di provare in tutti i modi di farlo segnare. Non è l’ultimo dei pirla. Ha segnato 136 gol in 304 partite nell’Inter, ne ha segnati 32 in 70 partite nella nazionale argentina, è stato capocannoniere della Serie A e della Coppa America. Ha 27 anni e mezzo, non 7 e mezzo.

(silenzio)

Prende 9 fottuti milioni di euro l’anno. Non ha bisogno della vostra carità, non ha bisogno che lo mandiate in porta con il pallone.

(silenzio)

Prima o poi riprenderà a segnare a raffica, non è un problema. Sapete quanti gol ha fatto l’Inter nelle ultime cinque partite?

(silenzio)

Prontooooo? Non mi fate incazzare.

“Quindici”, dice Mkhitaryan.

Ok. Quindici, tre a partita. E zero subiti. E quindi? Lautaro è un problema?

(silenzio)

Lautaro ne ha segnato uno, gli altri 14 li hanno segnati gli altri, li avete segnati voi e i vostri compagni. Quale. Cazzo. E’. Il. Problema. Quale cazzo è il problema? Voi pensate a segnare, Lautaro ci pensa da solo, non ha bisogno di voi. Voi dovete tirare, voi dovete segnare. Cazzo! All’Atalanta gliene potevamo fare sei, invece di non-tirare per passarla a Lautaro. Basta! E pure tu, Taremi.

(Taremi guarda alternativamente me e Google Translator)

Mehdi, porca di quella troia! Non segni manco per sbaglio, che cazzo passi la palla a Lautaro? Tira, no? Tira!

(silenzio)

Vi rendete conto che l’Inter viaggia a tre gol a partita anche se Lautaro non segna? E che viaggerebbe a quattro o cinque gol a partita se voi, dico, voi!, tiraste in porta invece di passare la palla a Lautaro per farlo segnare? Ma che cazzo è, la Caritas?

(Taremi digita Caritas su Google Traslator, che traduce in “Caritas”)

“What’s Caritas?” chiede Taremi a Bisseck.

“Poi ti spiego, then I’ll explain, dann werde ich es erklären”.

Porca puttana, siamo uno squadrone pazzesco e ci comportiamo da giovani marmotte? Tirate fuori i coglioni!

(silenzio)

Denzel, alzati per favore.

(Dumfries si alza)

Questo, ecco, guardatelo bene, quest’uomo è l’esempio che dovete seguire. Voi dovete essere tutti Dumfries. Tirare dritto, guardare avanti, librarvi in volo, segnare. Non fare beneficienza. Segnare. SEGNARE! Se fate tutti come Dumfries, vinceremo il campionato con sette giornate di anticipo. Lautaro si sbloccherà quando smetterete di trattarlo come lo scemo del villaggio. Viva l’Inter, viva lo sport, Juve merda!

(applausi)

Ok, potete andare. Scusate se vi ho disturbato. Ma se non ve lo dice nessuno, ho ritenuto opportuno dirvelo io.

“Grazie. Quant’è?”, mi fa Barella.

Ma figurati, dovere mio. Andate ragazzi, e riposatevi.

(i ragazzi sfollano lentamente)

Bare, scusa, ci ho ripensato. Non è che avete un abbonamento al primo rosso che vi cresce?

“Farò il possibile, dottore”.

Sono laureato all’università della strada, Bare.

“Ah, come me”.

Ti voglio bene. Vincete tutto, per favore.

“Faremo il possibile, dottore”.


(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #95, con il mio socio Max attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. Chi siamo noi per impedirvelo?

(vi ricordiamo che le votazioni per il Ballon de merde, il concorso dei concorsi – chi sono i calciatori che proprio non sopportate? – si concludono il 6 gennaio, giorno della Befana, della Lotteria Italia e sopratutto della finale di Supercoppa. Si vota con un vocale a parte, che custodiremo fino al momento dello spoglio cui dedicheremo una puntata speciale la settimana prossima)

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)

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Sistemare le cose

Siccome non si parla che di Atalanta da qualche settimana a questa parte (per carità, legittimamente, date le 11 vittorie consecutive in campionato), fa piacere che all’ultima partita dell’anno l’Inter si sia tolta la soddisfazione di rimettere le cose a posto, proprio alla vigilia dello scontro diretto in Supercoppa con la Dea, tra sei giorni e una ventina di gradi Celsius in più. La classifica dice che siamo dietro di un punto, ma con una partita da recuperare (punto). E all’atto di andare a dormire, con la 18esima giornata ancora da completare, a parità di partite siamo due punti avanti il Napoli, e con una partita in meno siamo 5 punti avanti la Lazio e 9 punti avanti la Juve. L’Atalanta nelle sue ultime mostruose 12 partite ha fatto 11-1-0, ma noi nelle ultime 11 (con la trasferta di Firenze da recuperare) abbiamo fatto 9-2-0 affontando Juve, Napoli e Lazio (e Roma), non propriamente un disastro. E con la vittoria di Cagliari torniamo ad avere il miglior attacco del campionato: la miglior difesa ce l’ha il Napoli, che però ha segnato 19 gol meno di noi. Mentre ci sentiamo sempre un po’ sospesi, e mentre i riflettori sembrano sempre puntare altrove, abbiamo sistemato la classifica, le cifre, l’umore. Un po’ tutto, insomma.

Ascolta “Scusate il ritardo” su Spreaker.

L’Inter ci ha messo un po’ a trovare il suo equilibrio. Stiamo procedendo a sbalzi, in progressivo: a ogni battuta d’arresto è seguita una reazione significativa, salendo di un gradino. E’ successo dopo il derby perso, poi dopo il 4-4 con la Juve, poi dopo la sconfitta a Leverkusen. Per esempio, dopo Leverkusen abbiamo vinto 4 partite su 4, senza subire un gol e segnandone 13. Dopo il 4-4 con la Juve – 4 gol subiti in una partita – ne abbiamo presi 3 nelle successive 12, facendo 9 clean sheet. Dopo il 4-4 con la Juve, in campionato abbiamo vinto 7 volte su 8, pareggiando col il Napoli sbagliando un rigore, segnando 24 gol e subendone 2. In trasferta, in campionato, non solo non abbiamo mai perso ma non prendiamo gol dalla fine di settembre.

E allora va bene così: i riflettori puntateli pure altrove, noi avanziamo nell’ombra. Non saremo magari vicini alla perfezione formale dello scorso campionato, ma il rendimento è elevatissimo. Ed è un buon segno anche il fatto che spesso non sembiamo rendercene conto, sempre presi a sottolineare gli inciampi piuttosto che le imprese. Così come è un buon segno che le difficoltà dei singoli – Lautaro su tutti – finiscano spesso annullate dal rendimento corale.

A Cagliari è andato in scena un copione che vedremo replicarsi ancora un tot di volte, con la nostra avversaria che dà tutto finchè ne ha e poi prova a resistere. Sta a noi, in queste partite, mettere la freccia e superare: non è in discussione la superiorità, i nostri nemici sono soprattutto l’indolenza e l’ansia. A un certo punto bisogna abbreviare i tempi: come abbiamo visto, è tutta salute.

Ci aspettano due mesi micidiali e disomogenei. Iniziamo dalla Supercoppa, poi un sacco di partite di campionato abbordabili, poi le due di Champions da portare a casa per evitare il turno supplementare. Dal 29 gennaio al 16 febbraio, i 19 giorni che ci diranno un sacco di cose: Monaco, Milan, Lazio (Coppa Italia), Fiorentina e Juve. Ci diranno soprattutto se sarà davvero il buon 2025 che, come vogliono la tradizione e le buone maniere, ci auguriamo ora, sorridenti, speranzosi e con le mani sui coglioni.

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(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #93, con il mio socio Max attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. Chi siamo noi per impedirvelo?

(vi ricordiamo che sono iniziate le votazioni per il Ballon de merde, il concorso dei concorsi: chi sono i calciatori che proprio non sopportate? Si vota con un vocale a parte, che custodiremo fino al momento dello spoglio cui dedicheremo una puntata speciale. Già in molti hanno espresso la loro terzina (nell’ordine, i prescelti otterranno 3, 2 e 1 punto. Seggi aperti ancora per qualche giorno)

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)

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Bene ma non benissimo ma chi se ne frega

Classica partita a doppio taglio, in cui il confine tra il vincere e il non vincere (cioè tra fare il tuo normale dovere e fare un disastro totale) è spesso così labile – una frazione di secondo, uno stinco, una zolla – che alla fine, all’antivigilia di Natale, nel breve transito da due a un asterisco, ti viene voglia di festeggiare questi tre punti stappando una bottiglia (non fosse che le bottiglie sono in fresco per domani e dopo e quindi no, niente, non si può fare).

Ascolta “Il podcast che mangia il suo secondo panettone” su Spreaker.

Classica partita a doppio taglio che meriti di vincere, vabbe’, è il minimo, ma poteva benissimo finire in un altro modo e sarebbe stato un Natale demmerda, a meno 5 dall’Atalanta e a meno 3 dal Napoli (con asterisco, certo, ma sapete come sono gli asterischi). E invece è finita nel modo giusto. Anzi, è finita benissimo. Perché, al termine della partita che abbiamo visto tutti, sorprendersi per un’Inter che va a cercarsi e prendersi un gol bellissimo al 92′, con un’azione corale conclusa da una prodezza singolare, beh ragazzi, è stato un meraviglioso dissolversi della fatica e delle ansie dei 92 precedenti minuti e la riprova, sia pure in zona Cesarini, che questa squadra – la nostra – ha un sacco di frecce al proprio arco, compresa la riserva di voglia e di cazzimma di andarsi a redimere al 92′ e mandarci a letto belli sereni.

Il Como è stato anche meglio di quello che avremmo pensato, e l’Inter è stata peggio di quanto avremmo sperato. Ma è finita 2-0 per noi, sprecando qualcosa e sfiorando l’apocalisse un paio di volte (grazie Sommer, grazie Carlos). Soprattutto, superando indenni la serata certamente non di grazia di molti dei nostri, un po’ scarichi. Dopo la folle serata con la Juve, nelle sette partite che sono seguite in campionato abbiamo fatto 19 punti su 21 e subìto due (2) gol, di cui uno non decisivo. Ah, dimenticavo: ne abbiamo segnati 22 (in sette partite, yeah). Continuiamo pure a cercare peli nell’uovo, per carità, è nostra facoltà e nostro diritto (e forse anche un modo di tenere alta l’attenzione, in generale): però, comunque sia, stiamo andando quasi al massimo. Ci sta davanti solo una squadra che le sta vincendo tutte da tipo tre mesi.

Quindi, al diavolo i peli nell’uovo. Stasera si festeggia e basta. E siccome siamo a Natale, mi è molto piaciuta la quasi-standing ovation dello stadio a Lautaro, applauso affettuoso a un attaccante in crisi che però resta orgogliosamente il tuo capitano. Una quasi-standing ovation al termine di quella che forse è stata la sua peggior partita di un già pallidissimo momento. Il rendimento di cui sopra (cui va aggiunta la Champions, al netto di Leverkusen, e la Coppa Italia) l’Inter lo sta tenendo senza il suo uomo-squadra, senza l’attaccante che la scorsa stagione ne faceva a grappoli. Per me, questa cosa è davvero notevole. E’ come essere in testa alla classifica di Giochi senza Frontiere senza avere ancora giocato il jolly (mi scuso con i non-boomer).

Buon Natale e Juve merda a voi e ai vostri cari.

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Segnare tutti, soffrire meno

Lazio-Inter poteva essere considerata fin qui la partita più difficile della stagione: una trasferta sul campo di una squadra in formissima, 10 vinte nelle ultime 12 (coppe comprese), gasata dal suo momento-sì e dal concomitante disastro della Roma. Un’avversaria diretta a tutti gli effetti, una concorrente nell’inseguimento all’Atalanta. Forse non c’era squadra che ci avesse preoccupato di più a bocce ferme e, tutto sommato, per la prima volta in campionato dovevamo affrontare una partita in cui tra vincere o non vincere (o addirittura perdere) c’era una bella differenza. Per dire: se avessimo perso 1-0 tipo Leverkusen adesso saremmo quarti a pari con la Fiorentina, con una partita in meno ma a 6 punti dall’Atalata e 4 dal Napoli, ridimensionati e intristiti.

Invece abbiamo vinto 6-0.

Ascolta “Comunicazioni IMPORTANTI!” su Spreaker.

Ed è stata una risposta pazzesca sia alla non-partita di Leverkusen sia alla prima mezz’ora della Lazio, oggettivamente notevole. Nella successiva ora però si è rivista l’Inter migliore, che sprigiona bellezza e colpisce senza pietà. E colpisce – questa è una cosa fantastica – senza attaccanti. Ne fa sei con sei giocatori diversi e delle punte segna solo Thuram.

Napoli (Calhanoglu), Verona (Correa, Thuram, Thuram, De Vrij, Bisseck), Lipsia (autogol), Parma (Dimarco, Barella, Thuram), Leverkusen (-), Lazio (Calhanoglu, Dimarco, Barella, Dumfries, Carlos Augusto, Thuram): nell’ultimo mese, su 16 gol, 5 sono degli attaccanti e 10 sono dei non attaccanti (più l’autogol). Solo a Verona i gol delle punte sono stati decisivi, gli altri sono arrivati a risultato acquisito. E Correa è la quinta punta, uno che non doveva nemmeno esserci. Di fronte a un’oggettiva difficoltà stiamo reagendo da grande squadra: abbiamo risorse ovunque, le sfruttiamo. Ha addirittura segnato il suo primo gol in campionato con l’Inter Carlos Augusto, l’uomo che si è fatto rizollare il cranio, che Iddio l’abbia in gloria.

Ascolta “Nessun animale è stato maltrattato in questa puntata” su Spreaker.

Mancava anche a noi, nonostante tutto (e nonostante diverse buone prove, qualcuna ottima), la prova di essere ancora quelli là. Adesso ce l’abbiamo. E anche se il resto non ci deve per forza interessare, rileviamo che piano piano tutte iniziano a fare passi falsi (nelle ultime tre giornate la Lazio ha perso due volte, Napoli e Fiorentina una; la Juve non vince da secoli, c’era ancora Boniperti presidente). Non l’Atalanta, che non dobbiamo lasciar scappare. Senza ansia, però: partite come quella di Roma ti riportano a quella confidenza nei tuoi mezzi che ti consente di vivere bene anche se (ancora) non guardi tutti dall’alto verso il basso.


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(due comunicazioni. Intanto, per Inter-Como faremo una puntata-lampo: mandate i vocali subito dopo la partita, ma subito subito, entro le 23. Poi, iniziano le votazioni per il Ballon de merde, il concorso dei concorsi. Tutte le istruzioni nell’ultima puntata)

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Noi non siamo così

Prendere un gol di merda al 90′, a parte il giramento di coglioni, ti costringe a rimangiarti tutto quello che stavi pensando almeno da 45 minuti: e cioè che una tantum ci si poteva concedere una partita così, giocata e (forse) concepita per lo 0-0, uno 0-0 non banale perchè ti avrebbe dato la ragionevole certezza della qualificazione diretta agli ottavi anche solo vincendo una delle ultime due. Missione quasi compiuta. Quasi.

Ascolta “Kings league wtf” su Spreaker.

L’avessimo compiuta, saremmo qui belli tranquilli con un unico rammarico: non avere cambiato canale per vedere Atalanta-Real, che mi dicono essere stato un partitone. L’avremmo compiuta con uno sforzo relativo, senza rinunciare (anzi, esaltandolo) al turnover. Siccome non l’abbiamo compiuta, ci sono un po’ di cose che spiccano in negativo, tipo il numero dei tiri in porta (zero) che ci mette spalle al muro: volevamo solo lo 0-0, siamo andati là solo per lo 0-0? Non c’è mica da scandalizzarsi, anzi. A parte la quasi qualificazione, uno 0-0 ci avrebbe dato il record del sesto clean sheet consecutivo in Champions, e con esso quella aura di sostanziale invulnerabilità che ti rende tanto sicuro e inquieta gli avversari. Ma non è questo il punto.

Il punto è che noi non siamo capaci di giocare per lo 0-0. E’ una bellissima maledizione, in fondo, ma dobbiamo tenerne conto. Vedere un’Inter temporeggiatrice, riflessiva al limite del rinunciatario, speculatrice fino alla sonnolenza è stato uno spettacolo quasi innaturale. E qui non c’è alternativa: o compi la missione, e quindi senza troppi entusiasmi vai a dormire sereno; o non la compi, e allora bisogna discutere se giocare questo tipo di partite ci convenga o no. Tra il compiere e non compiere questa missione, nel caso di Leverkusen, ci sono stati solo pochi secondi di differenza. Sì, è anche sfiga. Ma ce la siamo un po’ cercata.

Non è solo questione di estetica: l’Inter propositiva e votata all’attacco non è solo più bella, ma è anche l’unica possibile. Il modello Leverkusen ha i suoi limiti in assoluto (quando giochi per lo 0-0 la enculada è sempre in agguato, e in Europa non è una tattica che paga sempre), ma è che queste partite più allegriane che inzaghiane proprio non ci si addicono. Noi dobbiamo ragionare per linee rette, dobbiamo muoverci veloci, sprigionare talento. La partita difensiva con l’Arsenal era stata tutt’altra cosa: abbiamo difeso un gol, abbiamo resistito all’assalto, abbiamo vinto. L’Inter di Leverkusen è tutta in quell’occasione capitata a Taremi nel primo tempo: ci ha messo mezz’ora a girarsi per tirare, segno che con la lentezza non andiamo da nessuna parte.


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(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)

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Il campionato dell’asterisco

Era importante iniziare bene questo campionato e lo abbiamo fatto con tre punti e uno sforzo non eccessivo. Il campionato è quello con l’asterisco: per due mesi avremo una partita in meno, e all’interno di questi due mesi ci sarà una decina di giorni in cui ne avremo due in meno – quindi, due asterischi. E’ una condizione che abbiamo sperimentato due volte negli ultimi tre campionati, con un bilancio in pareggio (la prima volta una merda, la seconda volta un trionfo). E’ una condizione sempre un po’ straniante, una condizione che condiziona, diciamo così. E ce la terremo per due mesi.

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La partita in meno è un retropensiero perenne. Ogni considerazione, ogni programma, ogni bilancio, per non dire di ogni tabella, terminerà con la postilla “ma c’è una partita da recuperare”, un asterisco sopra le nostre povere teste già fiaccate da tutto ‘sto calcio. Se c’è un fatto a suo modo positivo è che la partita da recuperare è Fiorentina-Inter, non una di quelle che ti viene da calcolare in automatico con tre punti in più (no, giammai!). Che poi è anche un fatto a suo modo negativo: quella partita in meno, una partita non facile, diventa una pressione in più perchè appunto difficile, una mina vagante che ti infileranno in un calendario già strapieno e diventerà un infrasettimanale che ti saresti volentieri risparmiato (la prima data ipotizzata, tra l’altro, ti costringerebbe a giocare con la Fiorentina due volte in quattro giorni, più che un asterisco è tipo l’imprevisto del Monopoli). Una partita da recuperare è, di suo, uno svantaggio: le altre non giocheranno, saranno tutti sul divano, e tu là, a Firenze, quando accadrà, a sbatterti con l’aggravio dell’angoscia.

Vabbe’, ma a questo ci penseremo. Il sotto-campionato con l’asterisco è iniziato bene. Se poi il Milan ci avesse dato una mano salvando il culo a Bergamo, ecco, l’umore sarebbe ancora più alto (bastava non prendere quel gol ridicolo su calcio d’angolo a tre minuti dalla fine, scarsoni che non siete altro). Ma non è certo dal circo Medrano che passano i nostri destini. Fa più impressione l’Atalanta che vince la nona di fila. E che a un certo punto nel secondo tempo chiama tre cambi ed entrano Retegui, Samardzic e Zaniolo. Ecco, questo mi ha colpito. Non ci possiamo distrarre. Nè ci dobbiamo distrarre a pensare agli asterischi. Bisogna vincere, l’unico modo per cui tornino sempre i conti e nulla resti intentato.


(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #89, con il mio socio ex aspirante pensionato (ora effettivamente in quiescenza), il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. In fondo abbiamo una partita in meno.

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)

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L’uomo in più (anzi, due)

Al netto della straordinaria e generosa accoglienza del Verona – nel primo tempo, adeguatamente lanciato a rete, avrei segnato anch’io con una trivela no-look – sarebbe scontato parlare di Correa, della sua partita, della sua coppetta da Mvp, del suo gol, delle sue due traverse e dei suoi due assist, insomma della sua resurrezione, o almeno epifania. Potremmo parlare di come il reietto all’improvviso ti fa una partita da Pallone d’Oro, sapendo naturalmente di poter essere smentiti quanto prima perché Correa questo è, un talento indiscusso con tanta indolenza quanta carenza di personalità, e sarebbe un po’ troppo aspettarne la metamorfosi. E proprio per questo forse è il momento giusto per parlare di Inzaghi, di come sa gestire la truppa e coltivare i rapporti dal numero 1 al numero 24, Correa appunto, in questa nuova modalità in cui il numero 24 non è il 24esimo di un graduatoria, ma uno dei 24 ventiquattresimi di questo insieme dove ci sono gerarchie ma c’è spazio per tutti, sempre più spazio, anche per uno che hai cercato di piazzare dovunque fino all’ultimo centesimo di secondo di mercato.

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E quindi che fai di uno così? Avendolo dovuto tenere per forza, lo usi per caricare le borse sul pullman e per le cene degli Inter club? E tu, rimasto per mancanza di offerte nella società che non ti vuole, cosa fai? Dieci mesi di torelli e di scioperi bianchi? Mi piace pensare che tutti ci abbiano messo un po’ del loro per rendere questa storia così virtuosa. Correa si è messo al lavoro per recuperare il tempo perduto e farsi trovare pronto. Inzaghi non ha mai rinunciato a farlo sentire coinvolto e a dargli qualche occasione, fossero anche solo briciole. Bello che la squadra festeggi Correa quando Inzaghi, il giorno prima della partita, annuncia che giocherà lui. Bello che Correa festeggi se stesso con una partita sontuosa e festeggi con la squadra come se non ne fosse mai uscito. Non come se fosse il 24esimo della lista, ma il 24esimo di un gruppo di 24, tutti uguali anche se giochi di meno, tutti uguali anche se non avresti dovuto esserci e chissà quale maglia ti sarebbe toccata.

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Correa, al di là dei buoni sentimenti iper-stimolati da una vittoria per 5-0, è di fatto un uomo in più per l’Inter, un’opzione vera, non più un morto che cammina. E siccome è tornato anche Buchanan, un tipetto che può servire parecchio nelle rotazioni, sembrano tutti segnali positivi di una stagione che pare rimettersi sul binario giusto. Nelle cinque partite seguite a Inter-Juve abbiamo subito un solo gol, nelle ultime otto abbiamo finito sei volte con il clean sheet: il peggior problema dell’Inter 2024-25 magari non può dirsi del tutto risolto, ma di sicuro il vento è cambiato. Bisogna continuare così ed evitare di guardarsi troppo indietro. Anche se facendo zapping ti imbatti in una obbrobriosa Milan-Juve, una robaccia da istigazione al suicidio, soprattutto se pensi che con queste due squadracce hai fatto un punto in due partite. Ti viene da girarti indietro e farti delle domande, ma è meglio guardare avanti, appunto. Siamo solo a un terzo del cammino. E in fondo abbiamo due giocatori in più.


(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #88, con il mio socio ex aspirante pensionato (ora effettivamente in quiescenza), il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. Vi ricordiamo che l’attualissimo tema “Pavia e gli 883 visti da vicino” resta attualissimo, appunto. Come anche il tema che moriremo tutti.

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)

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Il limite al peggio

Restiamo agli ultimi due anni. 29 ottobre 2022. In un agguato di puro stampo mafioso, in pieno giorno, sparano sotto casa in via Zanzottera (Milano, quartiere Figino) a Vittorio Boiocchi, quello che tutti i media definiscono “storico capo ultras dell’Inter”. Aveva 69 anni, quasi 70, di cui 26 trascorsi in carcere (quindi era un capo ultras da remoto, diciamo così, daspato fino al maggio 2023) per scontare diverse condanne tra cui rapina, sequestro di persona e traffico di stupefacenti. “Lo storico capo ultras” della mia squadra del cuore. Ah, molto bene. E’ il peggio? No.

Boiocchi viene soccorso ormai morente e portato in elicottero all’ospedale San Carlo dove muore, a 15 minuti a piedi da San Siro. E’ un sabato, alle 20,45 si gioca Inter-Sampdoria (finirà 3-0, De Vrij, Barella e Correa). La notizia arriva allo stadio un’ora prima dell’inizio della partita. La curva prima sta in silenzio, poi a un certo punto decide che tutti devono uscire in segno di rispetto per il leader morto. Tutti – compresi anziani, bambini, donne, intere famiglie – tra la fine del primo e l’inizio del secondo tempo con modi bruschi vengono fatti uscire dal secondo verde. Alcuni, con modi molto bruschi. E’ il peggio? No.

Un mese dopo, il 25 novembre 2022, la Curva Nord emette un comunicato sulla vicenda, “Fratelli interisti, torniamo oggi, dopo una pausa di riflessione, ad affrontare i fatti accaduti durante la partita Inter-Sampdoria del 29 ottobre scorso (…) Vogliamo lanciare un segnale distensivo nei confronti del popolo neroazzurro e di chi l’Inter la porta nel Cuore (…) Purtroppo a livello mediatico siamo stati dipinti (ingiustamente) come dei mostri. Ci siamo comunque abituati e non ci interessa. La realtà degli avvenimenti è ben altra (…) Una scelta più o meno condivisibile ma che è stata fraintesa nelle sue motivazioni più profonde (…) E’ il peggio? No.

Il 4 settembre 2024 Andrea Beretta, 49enne pregiudicato storico capo ultrà Inter (sono sempre storici, ‘sti capi ultrà) uccide Antonio Bellocco, 36enne pregiudicato legato al clan ‘ndranghetista di Rosarno, l’uomo che stava scalando le gerarchie della curva per diventare il capo (non ha fatto in tempo a diventare storico). Beretta lo ha ucciso perchè altrimenti, in buona sostanza, Bellocco avrebbe ucciso lui. E’ il peggio? No.

Il 24 settembre 2024 la Curva Nord emette un comunicato che inizia così: “Come già più volte ripetuto nei recenti comunicati, la Nord ha intrapreso una nuova rotta imboccando la strada della trasparenza e dei valori come faro da seguire per ritrovare quell’armonia messa nuovamente a repentaglio da eventi che coi frequentatori della curva non hanno nulla a che vedere”. E’ il peggio? No.

All’alba di lunedì 30 settembre la polizia arrestato 19 persone, tutti capi ultras o figure di spicco delle curve dell’Inter e del Milan, tutti nomi più o meno noti, alcuni notissimi. Al centro dell’inchiesta, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della procura della Repubblica di Milano, ci sono i business illegali fioriti intorno a San Siro: biglietti rivenduti a prezzi maggiorati, parcheggi controllati, merchandising, vendita di bibite all’interno dello stadio, pizzo ai paninari fuori dallo stadio. Oltre a un vasto giro di spaccio. I reati ipotizzati sono associazione per delinquere, con l’aggravante del metodo mafioso, estorsione, lesioni. “Metodo mafioso”. E’ il peggio? No.

La sera del 15 novembre, fuori da San Siro, retto da due persone e firmato “Secondo anello verde”, viene esposto lo striscione “La tua infamità non appartiene alla nostra mentalità”. Da un paio di giorni molte testate hanno riportato la notizia che Beretta, dopo i silenzi iniziali, sta collaborando con la giustizia. Trattandosi di un processo per mafia, è di fatto un pentito. Del resto, trattandosi di mafiosi, avendo ucciso un boss della ‘ndrangheta è di fatto un condannato a morte. E’ stato trasferito in un carcere più sicuro, poi si vedrà il da farsi. Intanto, da fuori, gli dedicano uno striscione. E’ il peggio?

Sì, è il peggio. Perchè se ammazzano sotto casa un criminale, come dire, è una cosa che rientra nel rischio di impresa. E se due malavitosi si sfidano a duello dentro una Smart, è un fulgido caso di selezione naturale. Ma se dopo tutto ‘sto casino, in cui finalmente si certifica nero su bianco cosa sono le curve di Inter e Milan – luoghi controllati, anzi comandati dalla mafia -, dopo tre o quattro comunicati mielosi c’è ancora qualcuno che tiene a dimostrare quali sono le logiche e le priorità della curva, allora è come se non fosse successo niente.

Tutto questo è vergognoso, fosse anche opera solo dei due che tengono sollevato lo striscione e del terzo che fa la foto. E’ una vergogna totale, un messaggio preciso e non solo a Beretta: è un messaggio a tutti, anche al resto dello stadio. Anche a noi. La curva ha un codice mafioso, lo conserva, ci tiene, lo ostenta, lo perpetua. Seppelliti i morti e chiuso in galera qualche pezzo grosso, c’è già gente che scalpita. Le curve passeranno di mano a qualche altro malavitoso. La mentalità resterà quella di prima. Molto bene.

Ma noi, noi tifosotti, noi gente normale, noi che abbiamo l’Inter nel cuore (benchè loro non perdano mai l’occasione di dire che ce l’hanno di più di noi), quando ci libereremo di questa merda? No, chiedo per un amico. Perchè da due mesi leggo, nei riguardi di quel pezzo di stadio che dovrebbe rappresentare la passione di tutti noi indivanati, cose che Gomorra al confronto è i Teletubbies. E dopo tutta questa robaccia che ci è toccato sorbire, e dopo tutta ‘sta ipocrisia della curva che cerca una nuova strada bla bla bla, il nuovo corso è uno striscione di mafiosità in purezza?

Io dal primo blu guardo il secondo verde con compatimento, fastidio, rassegnazione. I delinquenti qualche volta finiscono in galera (qualcuno all’obitorio). Ma gli altri? In questo ordinamento a cerchi concentrici, quanta gente è coinvolta in questa organizzazione di stampo mafioso e criminale? E quanti, di cerchio in cerchio allontanandosi dal centro, hanno la responsabilità morale di accettare questo andazzo in cambio di qualche salamelecco al boss, di qualche trasferta in prima fila o di un po’ di bamba a buon prezzo? Quando il resto dello stadio farà capire a questa gente che no, non ci serve più? Sogno un Meazza con i cori in filodiffusione e un bello squarcio dove ora c’è il secondo verde, con vista sul Resegone. Sarebbe un bel segnale, anche architettonico. Sarebbe il nuovo stadio, in tutti i sensi.

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