Ci sono cose divertenti e faticose. Parlando tra boomer: vi è mai capitato di spiegare a un ragazzo, chessò, chi erano e cos’erano i Beatles? O cos’era Carosello? O com’era entrare in un negozio e comprare un disco (“un cosa??”)? O che i programmi in tv a un certo punto finivano (“cioè??”)? O che se eri in giro si telefonava con i gettoni? O che le partite erano tutte lo stesso giorno alla stessa ora? E che quando c’era la Coppa dei Campioni (“la cosa??”, sì, scusa, la Champions) non è detto che la trasmetteressero? E’ un esercizio estremamente divertente (la parte del racconto) e faticoso (la parte del riuscire a farsi capire, o dell’accettare che non ti capiscano, o che capiscano ma non si rendano conto della grandezza o della specialità di determinate cose). E’ un po’ frustrante, a volte. I nostri vecchi ci raccontavano solo (o soprattutto) delle guerra e di quanto erano poveri, ed erano racconti affascinanti ma un po’ monocordi. Noi, che avremmo un sacco di cose da raccontare (oh, sai che quanto ero piccolo non esistevano i computer? “E Netflix?” No, nemmeno Netflix) (silenzio), facciamo molta più fatica.
Stasera, prima di Manchester City-Inter, farò la solita pizza Champions e le mie figlie, forse, a tavola, con un occhio alla tv in attesa che entrino le squadre a scaldarsi, potrebbero chiedermi chi fosse Schillaci. Che per loro era un tizio con uno statuario parrucchino che ha fatto l’Isola dei Famosi e Pechino Express, quindi sanno che era un vip, un ex calciatore, anche importante. Che ha addirittura giocato nell’Inter (quindi molto importante). E qualcosa di quei Mondiali di Italia ’90, da qualche parte, l’avranno visto, letto o orecchiato. Può darsi che gliel’abbia raccontato io, certo. Però, forse, sarò chiamato a rispondere a qualche nuova curiosità. Mi preparo.
Dunque. Io penso che quella di Schillaci sia una vicenda tecnica e umana più unica che rara nell’intera storia del calcio. Direi, essenzialmente, che era un ottimo giocatore e un ragazzo semplice, molto semplice, un piccolo alieno che per un mese ha avuto il mondo in mano e l’Italia ai suoi piedi, una sensazione da cui credo non si sia mai più ripreso. Era un semplice, un umile, anche troppo per poter gestire tutto questo. Uno che faticava a mettere una parola dopo l’altra e a sistemarla nella giusta casella, ma a un certo punto ha avuto il mondo in mano e l’Italia ai suoi piedi come a pochi è riuscito dalla notte dei tempi.
E’ uno che ha vissuto un sogno e ce l’ha fatto vivere con lui, da pari a pari. Il sogno di arrivare in Nazionale, di quasi vincere un Mondiale, di quasi vincere un Pallone d’Oro, tutto in quel mese in cui abbiamo sognato insieme e ci siamo identificati in questo eroe per caso, in questo ragazzo normale che in quei 28 giorni, come per magia, si è trovato sempre al posto giusto nel momento giusto, ma in Mondovisione, davanti a miliardi di persone, soprattutto ai sessanta milioni di italiani che a un certo punto sono impazziti per quegli occhi strabuzzati che erano anche un po’ i nostri, increduli di quello che stava accadendo.
Schillaci ha giocato solo 16 partite in Nazionale, di cui 7 (quasi la metà) ai Mondiali di Italia ’90, segnando 6 volte, diventando capocannoniere della competizione. Frattesi, per dire, che domenica compie 25 anni, in Nazionale è arrivato a quota 7 anche lui, e ha già 21 presenze. La storia di Schillaci rimarrà unica proprio per questo, perchè non ricapiterà più a nessuno di vivere un’avventura così, uno stato di grazia così, giusto nel mese che serviva, a lui e a noi. E’ stata una favola vissuta coralmente, la dimostrazione che certe cose possono accadere, che non è tutto già scritto, magari sarebbero potute accadere anche a noi. Però sono accadute a lui, che quel mese pazzesco l’ha sfruttato alla stragrande – gli arrivava il pallone, lui lo toccava, gol, nei modi più vari, dalle posizioni più diverse, gol, sempre gol – ed è rimasto nella memoria del mondo che ama il calcio.
Schillaci è stato anche all’Inter una stagione e mezza, un secondo posto e una quasi retrocessione (con Coppa Uefa, ma lui era già andato via da un emse, in Giappone): non era vecchio ma già in declino, perchè il raffronto con il mese di Italia ’90 è rimasto per lui un parametro calcisticamente impietoso: forse la definizione stessa di cosa irripetibile, per chiunque a partire da lui. Con l’Inter ha giocato 36 partite e segnato 12 gol, vinto niente (anche alla Juve non ha vinto quasi niente, un paio di coppette, e l’unico scudetto l’ha vinto in Giappone). Alle mie figlie, giusto per dare un’idea della cosa, potrei dire che Gagliardini ne ha giocate quasi duecento di partite con noi, sei volte quelle di Schillaci, e segnato 16 gol, più di Schillaci. Però Gaglia è Gaglia e Schillaci e Schillaci. Totò rimarrà nei cuori di chi ama il calcio per la totale unicità della sua avventura. In quel mese ha fatto cose che non umani non abbiamo più visto. Troviamoci qui tra venti o trent’anni e facciamo un esperimento: ci ricorderemo di Mbappè o di Totò Schillaci?