L’uomo in più (anzi, due)

Al netto della straordinaria e generosa accoglienza del Verona – nel primo tempo, adeguatamente lanciato a rete, avrei segnato anch’io con una trivela no-look – sarebbe scontato parlare di Correa, della sua partita, della sua coppetta da Mvp, del suo gol, delle sue due traverse e dei suoi due assist, insomma della sua resurrezione, o almeno epifania. Potremmo parlare di come il reietto all’improvviso ti fa una partita da Pallone d’Oro, sapendo naturalmente di poter essere smentiti quanto prima perché Correa questo è, un talento indiscusso con tanta indolenza quanta carenza di personalità, e sarebbe un po’ troppo aspettarne la metamorfosi. E proprio per questo forse è il momento giusto per parlare di Inzaghi, di come sa gestire la truppa e coltivare i rapporti dal numero 1 al numero 24, Correa appunto, in questa nuova modalità in cui il numero 24 non è il 24esimo di un graduatoria, ma uno dei 24 ventiquattresimi di questo insieme dove ci sono gerarchie ma c’è spazio per tutti, sempre più spazio, anche per uno che hai cercato di piazzare dovunque fino all’ultimo centesimo di secondo di mercato.

Ascolta “Dum Dum e il doppio Correa” su Spreaker.

E quindi che fai di uno così? Avendolo dovuto tenere per forza, lo usi per caricare le borse sul pullman e per le cene degli Inter club? E tu, rimasto per mancanza di offerte nella società che non ti vuole, cosa fai? Dieci mesi di torelli e di scioperi bianchi? Mi piace pensare che tutti ci abbiano messo un po’ del loro per rendere questa storia così virtuosa. Correa si è messo al lavoro per recuperare il tempo perduto e farsi trovare pronto. Inzaghi non ha mai rinunciato a farlo sentire coinvolto e a dargli qualche occasione, fossero anche solo briciole. Bello che la squadra festeggi Correa quando Inzaghi, il giorno prima della partita, annuncia che giocherà lui. Bello che Correa festeggi se stesso con una partita sontuosa e festeggi con la squadra come se non ne fosse mai uscito. Non come se fosse il 24esimo della lista, ma il 24esimo di un gruppo di 24, tutti uguali anche se giochi di meno, tutti uguali anche se non avresti dovuto esserci e chissà quale maglia ti sarebbe toccata.

Ascolta “Miao!” su Spreaker.

Correa, al di là dei buoni sentimenti iper-stimolati da una vittoria per 5-0, è di fatto un uomo in più per l’Inter, un’opzione vera, non più un morto che cammina. E siccome è tornato anche Buchanan, un tipetto che può servire parecchio nelle rotazioni, sembrano tutti segnali positivi di una stagione che pare rimettersi sul binario giusto. Nelle cinque partite seguite a Inter-Juve abbiamo subito un solo gol, nelle ultime otto abbiamo finito sei volte con il clean sheet: il peggior problema dell’Inter 2024-25 magari non può dirsi del tutto risolto, ma di sicuro il vento è cambiato. Bisogna continuare così ed evitare di guardarsi troppo indietro. Anche se facendo zapping ti imbatti in una obbrobriosa Milan-Juve, una robaccia da istigazione al suicidio, soprattutto se pensi che con queste due squadracce hai fatto un punto in due partite. Ti viene da girarti indietro e farti delle domande, ma è meglio guardare avanti, appunto. Siamo solo a un terzo del cammino. E in fondo abbiamo due giocatori in più.


(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #88, con il mio socio ex aspirante pensionato (ora effettivamente in quiescenza), il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. Vi ricordiamo che l’attualissimo tema “Pavia e gli 883 visti da vicino” resta attualissimo, appunto. Come anche il tema che moriremo tutti.

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)

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Il limite al peggio

Restiamo agli ultimi due anni. 29 ottobre 2022. In un agguato di puro stampo mafioso, in pieno giorno, sparano sotto casa in via Zanzottera (Milano, quartiere Figino) a Vittorio Boiocchi, quello che tutti i media definiscono “storico capo ultras dell’Inter”. Aveva 69 anni, quasi 70, di cui 26 trascorsi in carcere (quindi era un capo ultras da remoto, diciamo così, daspato fino al maggio 2023) per scontare diverse condanne tra cui rapina, sequestro di persona e traffico di stupefacenti. “Lo storico capo ultras” della mia squadra del cuore. Ah, molto bene. E’ il peggio? No.

Boiocchi viene soccorso ormai morente e portato in elicottero all’ospedale San Carlo dove muore, a 15 minuti a piedi da San Siro. E’ un sabato, alle 20,45 si gioca Inter-Sampdoria (finirà 3-0, De Vrij, Barella e Correa). La notizia arriva allo stadio un’ora prima dell’inizio della partita. La curva prima sta in silenzio, poi a un certo punto decide che tutti devono uscire in segno di rispetto per il leader morto. Tutti – compresi anziani, bambini, donne, intere famiglie – tra la fine del primo e l’inizio del secondo tempo con modi bruschi vengono fatti uscire dal secondo verde. Alcuni, con modi molto bruschi. E’ il peggio? No.

Un mese dopo, il 25 novembre 2022, la Curva Nord emette un comunicato sulla vicenda, “Fratelli interisti, torniamo oggi, dopo una pausa di riflessione, ad affrontare i fatti accaduti durante la partita Inter-Sampdoria del 29 ottobre scorso (…) Vogliamo lanciare un segnale distensivo nei confronti del popolo neroazzurro e di chi l’Inter la porta nel Cuore (…) Purtroppo a livello mediatico siamo stati dipinti (ingiustamente) come dei mostri. Ci siamo comunque abituati e non ci interessa. La realtà degli avvenimenti è ben altra (…) Una scelta più o meno condivisibile ma che è stata fraintesa nelle sue motivazioni più profonde (…) E’ il peggio? No.

Il 4 settembre 2024 Andrea Beretta, 49enne pregiudicato storico capo ultrà Inter (sono sempre storici, ‘sti capi ultrà) uccide Antonio Bellocco, 36enne pregiudicato legato al clan ‘ndranghetista di Rosarno, l’uomo che stava scalando le gerarchie della curva per diventare il capo (non ha fatto in tempo a diventare storico). Beretta lo ha ucciso perchè altrimenti, in buona sostanza, Bellocco avrebbe ucciso lui. E’ il peggio? No.

Il 24 settembre 2024 la Curva Nord emette un comunicato che inizia così: “Come già più volte ripetuto nei recenti comunicati, la Nord ha intrapreso una nuova rotta imboccando la strada della trasparenza e dei valori come faro da seguire per ritrovare quell’armonia messa nuovamente a repentaglio da eventi che coi frequentatori della curva non hanno nulla a che vedere”. E’ il peggio? No.

All’alba di lunedì 30 settembre la polizia arrestato 19 persone, tutti capi ultras o figure di spicco delle curve dell’Inter e del Milan, tutti nomi più o meno noti, alcuni notissimi. Al centro dell’inchiesta, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della procura della Repubblica di Milano, ci sono i business illegali fioriti intorno a San Siro: biglietti rivenduti a prezzi maggiorati, parcheggi controllati, merchandising, vendita di bibite all’interno dello stadio, pizzo ai paninari fuori dallo stadio. Oltre a un vasto giro di spaccio. I reati ipotizzati sono associazione per delinquere, con l’aggravante del metodo mafioso, estorsione, lesioni. “Metodo mafioso”. E’ il peggio? No.

La sera del 15 novembre, fuori da San Siro, retto da due persone e firmato “Secondo anello verde”, viene esposto lo striscione “La tua infamità non appartiene alla nostra mentalità”. Da un paio di giorni molte testate hanno riportato la notizia che Beretta, dopo i silenzi iniziali, sta collaborando con la giustizia. Trattandosi di un processo per mafia, è di fatto un pentito. Del resto, trattandosi di mafiosi, avendo ucciso un boss della ‘ndrangheta è di fatto un condannato a morte. E’ stato trasferito in un carcere più sicuro, poi si vedrà il da farsi. Intanto, da fuori, gli dedicano uno striscione. E’ il peggio?

Sì, è il peggio. Perchè se ammazzano sotto casa un criminale, come dire, è una cosa che rientra nel rischio di impresa. E se due malavitosi si sfidano a duello dentro una Smart, è un fulgido caso di selezione naturale. Ma se dopo tutto ‘sto casino, in cui finalmente si certifica nero su bianco cosa sono le curve di Inter e Milan – luoghi controllati, anzi comandati dalla mafia -, dopo tre o quattro comunicati mielosi c’è ancora qualcuno che tiene a dimostrare quali sono le logiche e le priorità della curva, allora è come se non fosse successo niente.

Tutto questo è vergognoso, fosse anche opera solo dei due che tengono sollevato lo striscione e del terzo che fa la foto. E’ una vergogna totale, un messaggio preciso e non solo a Beretta: è un messaggio a tutti, anche al resto dello stadio. Anche a noi. La curva ha un codice mafioso, lo conserva, ci tiene, lo ostenta, lo perpetua. Seppelliti i morti e chiuso in galera qualche pezzo grosso, c’è già gente che scalpita. Le curve passeranno di mano a qualche altro malavitoso. La mentalità resterà quella di prima. Molto bene.

Ma noi, noi tifosotti, noi gente normale, noi che abbiamo l’Inter nel cuore (benchè loro non perdano mai l’occasione di dire che ce l’hanno di più di noi), quando ci libereremo di questa merda? No, chiedo per un amico. Perchè da due mesi leggo, nei riguardi di quel pezzo di stadio che dovrebbe rappresentare la passione di tutti noi indivanati, cose che Gomorra al confronto è i Teletubbies. E dopo tutta questa robaccia che ci è toccato sorbire, e dopo tutta ‘sta ipocrisia della curva che cerca una nuova strada bla bla bla, il nuovo corso è uno striscione di mafiosità in purezza?

Io dal primo blu guardo il secondo verde con compatimento, fastidio, rassegnazione. I delinquenti qualche volta finiscono in galera (qualcuno all’obitorio). Ma gli altri? In questo ordinamento a cerchi concentrici, quanta gente è coinvolta in questa organizzazione di stampo mafioso e criminale? E quanti, di cerchio in cerchio allontanandosi dal centro, hanno la responsabilità morale di accettare questo andazzo in cambio di qualche salamelecco al boss, di qualche trasferta in prima fila o di un po’ di bamba a buon prezzo? Quando il resto dello stadio farà capire a questa gente che no, non ci serve più? Sogno un Meazza con i cori in filodiffusione e un bello squarcio dove ora c’è il secondo verde, con vista sul Resegone. Sarebbe un bel segnale, anche architettonico. Sarebbe il nuovo stadio, in tutti i sensi.

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‘A livella

Orsù, cerchiamo di far fruttare queste insostenibili pause per le nazionali. Per esempio, rileggiamo con calma la classifica della Serie A. C’è un dato che spicca per quanto riguarda l’Inter. Anzi, per essere più precisi, un non-dato. L’Inter non è prima in classifica, ok, ce ne siamo accorti. Non è la squadra che ha vinto di più (noi 7 su 12, ma Napoli, Atalanta e Lazio 8). Non è la squadra che ha perso di meno (noi, Fiorentina e Bologna 1, ma la Juve zero, è ancora imbattuta). Non è la squadra che ha segnato di più (noi 26, uno in più di Lazio e Fiorentina, ma 5 in meno dell’Atalanta, 31). Non è la squadra che ha subito di meno (noi 14, ci sono cinque squadre che hanno fatto molto meglio e una curiosamente è l’Empoli, che finora ha subito 10 gol e tre glieli abbiamo fatti noi). Insomma, non spicchiamo in nessuna delle cinque cifre fondamentali (e in due siamo fuori dal podio). Quindi la domanda brutale è: siamo stati mediocri finora (7-4-1)? E quella ancora più spaventosamente brutale è: siamo mediocri?

Ascolta “Ma che significa?!?” su Spreaker.

Diciamo intanto che questo campionato è molto più livellato degli ultimi due (se questo implichi un’aumentata mediocrità generale boh, potremmo discuterne a lungo). Al Napoli quest’anno bastano 26 punti per essere capolista, mentre l’anno scorso l’Inter ne aveva 31 (10-1-1, avevamo perso col Sassuolo) e lo stesso Napoli due anni fa ne aveva 32 (10-2-0). L’anno scorso la Juve era seconda con 29, cioè tre più del Napoli primo quest’anno. Due anni fa il Napoli era già in fuga ma la seconda (Atalanta, 27) aveva un punto più dell’odierna capolista e il Milan (26) con gli stessi punti del Napoli di oggi era terzo. La cosa più sconvolgente, piuttosto, è che in quel disgraziato campionato che per mesi ci ha tenuti sull’orlo dell’#inzaghiout (prima che sbocciassimo in Champions, certo) l’Inter era sesta con 24 punti, cioè uno in meno di quelli di oggi, frutto di un 8-0-4 che ci aveva fatto diventare, noi tifosotti, ciclotimici come Cossiga (avevamo perso con Lazio, Milan, Udinese e Roma) (però avevamo vinto a Sassuolo).

E’ un campionato equilibrato o livellato (verso il basso, cioè mediocre)? Di sicuro, è un campionato strano. Inter e Juve sono state in fondo le più regolari (e anche un po’ mediocri: la Juve ha pareggiato metà delle partite), il Napoli ha perso la prima e ha fatto un punto nelle ultime due, ma in mezzo ha fatto 8-1-0. Le altre sono partite tutte male e poi sono esplose: l’Atalanta ha perso 3 delle prime 6, le seconde 6 le ha vinte tutte; Fiorentina e Lazio hanno vinto 7 delle ultime 8, nelle prime 4 la Fiorentina aveva fatto 3 punti e la Lazio 4. E così, tra piccole fughe e mini-rimonte, adesso sono tutte lì, sei squadre in due punti.

Ma delle altre ci frega il giusto. Torniamo al domandone: siamo mediocri? Beh, se lo siamo stati è evidente che, visto che siamo tutti lì, anche gli altri hanno commesso i loro peccatucci (per non parlare del Milan che ha vinto solo 5 partite su 11 e ne ha già perse 3) e quindi, con 26 partite ancora da giocare, forse è più giusto dire che il campionato non è ancora decollato. Noi abbiamo perso meritatamente un derby mozzarellesco, abbiamo orrendamente graziato la Juve (rinunciando a rifilarle una sconfitta epocale), pareggiato con il Napoli sbagliando un rigore e pareggiato con due delle ultime quattro della classifica. Se tutto questo ci costa solo il primo posto della classifica per un punto, mi verrebbe da dire che no, non moriremo tutti.

Sopravviveremo, dunque, ma dovremo darci una mossa. Cosa non ha funzionato nell’Inter è arcinoto. Nelle quattro partite seguite a quella folle con la Juve abbiamo preso solo un gol, prendiamolo come un buon segno (forse addirittura ottimo). Poi abbiamo bisogno che gli uomini-chiave stiano bene e finora non è mai stato così, tra infortuni vari e la latitanza di Lautaro che io voglio cogliere come un fatto positivo: se siamo arrivati fin qui (al netto dei calcoli vari, secondi in campionato e secondi in Champions) praticamente senza Lautaro, quando ce l’avremo sarà una pacchia. Quando questa cazzo di pausa sarà terminata, ci aspettano 8 partite in un mese esatto (tra il 23 novembre e il 23 dicembre) che saranno un nuovo banco di prova: ce ne sono di tutti tipi, facili e difficili, con tre trasferte importantissime (Fiorentina, Lazio, Leverkusen). In questa strana stagione, l’importante sarà restare sul pezzo: facciamola diventare una gara a eliminazione.


(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #86, con il mio socio ex aspirante pensionato (ora effettivamente in quiescenza), il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. Vi ricordiamo che l’attualissimo tema “Pavia e gli 883 visti da vicino” resta attualissimo, appunto. Come anche il tema che moriremo tutti.

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Quelle strane occasioni

In rapporto al timore di vedere un’Inter stanca dopo il match di Champions con l’Arsenal (e al culmine del ciclo di 7 partite in 21 giorni), o un’Inter svagata come con la Juve o un’Inter supponente come con il Venezia, per me è stata di gran lunga la miglior uscita stagionale. Inter-Napoli è stata una gran partita, un angolo di Premier nel nostro spesso moscio campionato. Grande ritmo, grande garra, quella frenesia magari eccessiva che però ogni tanto ti fa respirare calcio a pieni polmoni – o preferite il tiki-taka dei poveri del 95% delle partite di serie A?

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Purtroppo, questa partita non l’abbiamo vinta. Avremmo potuto farlo, anche solo segnando il rigore ridicolo che ci hanno dato, un rigore che se ci avessero fischiato contro non so come lo avremmo preso: probabilmente staremmo marciando su Roma per sfilare sotto le sedi della Figc e dell’Aia, ma forse anche davanti a Palazzo Chigi, al Coni, alla Fao e al Vaticano. Ci ha condannato la leggi dei grandi numeri – prima o poi il turco doveva sbagliare – e la solita sfiga di un gol preso in un’azione da calcio balilla. C’era forse un altro rigorino di mano (a parte che sul campo non se n’era accorto nessuno), ma vabbe’, i rigorini sono un giochino malefico a cui siamo tenuti a partecipare sapendo che a volte va bene e a volte va male. Avremmo meritato di vincere ma non lo abbiamo fatto, peccato. Potevamo essere in testa ma non lo siamo.

Qui si innesca un dato che andrebbe analizzato con calma e nel profondo. Con Milan, Juve e Napoli – tutti scontri diretti in casa – abbiamo fatto 2 punti in 3 partite e forse un giorno potremmo pentircene. E’ il dato oggettivo che mi fa pensare, serenamente, che meritiamo di non essere primi. E che meritiamo di espiare le nostre colpe dibattendoci in questo gruppone di sei squadre in due punti che si è inaspettatamente isolato in testa al campionato, una bella novità per la serie A che ultimamente viveva di duelli/trielli o di fughe solitarie. L’Inter dopo il derby in campionato ha uno score 5-2-0 che non è servito ad arginare le impetuose rimonte di Atalanta (6-0-0 nelle ultime sei), Fiorentina (7-1-0 nelle ultime otto) e Lazio (7-0-1 nelle ultime otto). L’Atalanta l’abbiamo incontrata che era ancora agosto ed era troppo brutta per essere vera, con Lazio e Fiorentina dobbiamo ancora giocarci (fuori casa).

Adesso ci si ferma per le nazionali e non saprei dire se ci voleva o no. Dopo il derby, aggiungendoci le tre vittorie di Champions, abbiamo giocato 10 partite vincendone 8 e pareggiandone 2 (Juve e Napoli) in un crescendo leggero ma costante. Le ultime due partite, Arsenal e Napoli, ci restituiscono l’immagine di una squadra più tonica e più reattiva rispetto anche solo e due o tre settimane prima. Il meccanismo non è ancora al massimo della resa: l’attacco oggi picchia in testa – Lautaro e Thuram sono in un periodo un po’ così, il capitano in particolare incide sempre poco – ma il resto è un bel vedere. Forse sarebbe stato meglio non fermarsi, ma una sosta può servire a riordinare un po’ le idee. Dopo 12 partite di campionato, e 16 stagionali, pregi e difetti dell’Inter dell’Inzaghi-quater sono ben delineati. Sarebbe bastato un pareggio in meno e una vittoria in più per essere in testa. Ma su un po’ di cose, a cominciare dai troppi gol presi, non possiamo che migliorare.


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In trincea con furore

Una partita da grandi illusioni. Sembra di averla giocata fuori, a Londra, per come siamo stati pressati (13 corner a zero – per gli altri, eh -, ma sarà mai successo prima?), e invece eravamo a San Siro. Sembra di averla pareggiata, e invece l’abbiamo vinta. A parte le illusioni, tutto il resto è reale. Tipo che dopo quattro partite di Champions – di cui due con City e Arsenal, le due squadre che hanno dominato gli ultime due anni in Premier – siamo secondi in classifica (sì, vabbe’, quinti considerando differenza reti e gol fatti) e non abbiamo ancora subito un gol. Tipo che nelle 9 partite seguite allo sciagurato derby abbiamo vinto 8 volte (e pareggiato una, lo sciagurato 4-4). Tipo che nelle ultime tre non abbiamo subito gol. Tipo che nelle ultime due, giocate a distanza di tre giorni nello stesso stadio, abbiamo vinto 1-0 con il Venezia combinandone di tutti i colori e abbiamo vinto 1-0 con l’Arsenal senza una sbavatura.

Ascolta “Parthenope” su Spreaker.

Inter-Arsenal segna, un mese e mezzo dopo City-Inter, il secondo superamento del test di solidità. A Manchester era stato il sistema Inter a essere messo sotto esame, ieri sera con l’Arsenal lo stress test è stato riservato alla difesa, il reparto (la fase) che più ha deluso o lasciato perplessi in questi primi mesi di stagione. Tra le due partite di cui sopra, l’Inter in difesa aveva spesso dato il peggio di sè: e non solo buttando via un derby e graziando la Juve sotto di due gol, ma facendoci prendere grandi spaventi anche in partite vinte. Fino, appunto, a tre giorni prima di Inter-Arsenal: con il Venezia era stato un festival di superficialità culminato con la totale ignavia dell’ultima azione di gioco, con il Var intervenuto a salvarci il culo.

La prova difensiva contro l’Arsenal ha dimostrato che l’Inter ha un potenziale enorme anche in difesa, dove la magica combo cuore-coglioni finalmente si è rivelata agli occhi di tutti, compresi i nostri stessi giocatori, felici e sorridenti a fine partita come raramente lo sono stati in questi mesi. Una questione quantomai di testa, se è vero che gli intepreti concentratissimi e impeccabili di Inter-Arsenal sono gli stessi di Inter-Juve o Inter-Venezia, quegli svagati e timorosi ragazzi in grado di far segnare chiunque.

Che si stia tornando all’Inter di due stagioni fa, quella disastrosa in campionato e super in Champions? Non a quei livelli, certo: oggi l’Inter va bene in camponato e benissimo in Champions, non c’è un abisso tra i due rendimenti. Ma una differenza di concentrazione e attenzione sì, lo dicono i fatti. Vedremo col Napoli se ci siamo davvero (ri)messi in riga. La trincea con l’Arsenal dimostra che siamo capaci di difenderci, i tre clean sheet delle ultime tre partite (che poi sono cinque nelle ultime sei) dimostrano che di riffa o di raffa ci stiamo riallineando ai nostri standard del recente passato, anche dando quella sottile sensazione di arrancare un po’. Domenica l’esame definitivo, prima dell’ennesima pausa in cui riordineremo un po’ le idee in vista delle successiva sfide: a fasi alterne, ma non facciamo poi così schifo.


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Insopportabile

Straordinariamente democratica, l’Inter, nella sua (forse patologica) svagatezza: che dall’altra parte ci sia la Juve o il Venezia, trascorre le sue partite sostanzialmente dominandole, sbagliando caterve di gol e aprendo random le maglie della sua difesa all’arrivo dell’avversaria, concedendo a chiunque il lusso di qualche occasione a volte gigantesca – sta a poi all’avversaria di turno metterla o non metterla, e in fondo la Juve è la Juve (si fa fare 4 gol ma ne segna 4) e il Venezia è il Venezia (si fa fare un gol e ne segna zero).

L’abbiamo vinta e potremmo chiuderla qui, non c’era niente di più importante. E va bene. Ma questa Inter-Venezia può avere davvero un senso solo in due casi: 1) che tra qualche mese riguarderemo il film della stagione e ci diremo “ma ti ricordi i tre punti di Inter-Venezia? Minchia!”; 2) che adesso ci mettiamo calmi e facciamo finta che sia finita 1-1, che sarebbe stata una beffa atroce che forse, però, ci saremmo meritati.

Ascolta “Coiti interrotti” su Spreaker.

Insomma, per quanto tempo abbiamo ancora intenzione di scherzare con il destino? Una sola settimana dopo Inter-Juve, che potevamo vincere 8-2 e invece è finita 4-4, ci siamo messi a gigioneggiare con il Venezia e a momenti lo prendevamo in quel posto e di quel gol al 97′ ci saremmo ricordati nei secoli dei secoli. Ora che abbiamo il culo al caldo (e sano), ripensiamo a mente fredda all’ultimo minuto di Inter-Venezia e di come l’Inter si sia lasciata segnare un gol dalla penultima in classifica in versione all-in: basta fermare il video una frazione di secondo prima che Sverko arrivi tipo Chuck Norris sul pallone. Ok, probabilmente fa fallo su Bisseck, sicuramente il pallone gli finisce sulla mano, ok, tutto a posto. Ma fermiamo il video mezzo secondo prima: com’è che gli abbiamo fatto fare comoda comoda l’azione più scontata del mondo? Com’è che tutti stanno a guardare, ancora una volta? Com’è che Bisseck (un armadio a sei ante) si lascia sovrastare dall’avversario a un metro dalla riga?

E com’è che prima abbiamo sbagliato dieci gol di cui cinque o sei per pura sufficienza, come se l’unica modalità di segnare sia quella di entrare in porta con il pallone o farsi belli con un assist (ma anche quella di incartarsi da soli e non fare l’assist, dipende dai momenti)? Perché non ci concediamo il lusso – a volte facile – di chiudere le partite invece di perdere tempo allo specchio? Anche quando la missione è facile (e necessaria): fare tre punti perchè il Napoli ha perso qualche ora prima. Fare tre punti con il Venezia (con tutto il rispetto). Mettici pure la sfiga (due lembi di epidermide ci hanno negato al Var un gol e un rigore), d’accordo. Però poteva anche finire malissimo. I non-gol di Thuram sono il simbolo di questa partita ma anche di una tendenza perniciosa dell’Inter: una superficialità che prima o poi rischiamo di pagare cara.

Per me, questa Inter è insopportabile. Nel senso più stretto dell’aggettivo: non posso sopportare serate così. E godendoci il privilegio di averla vinta, questa partita, vorrei tanto che funzionasse come certe sconfitte: quando finalmente ti dai una svegliata e riparti con un altro atteggiamento. Il cinismo non è mica una brutta malattia, e che cazzo.


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Forza tre

Dopo il 4-4 con la Juve, la trasferta di Empoli poteva comportare qualche rischio. Classica partita che passa alla storia di un campionato solo se non la vinci: e invece missione compiuta, con percorso facilitato (con l’Empoli in dieci per un’ora, le statistiche parlano di un 78% di possesso palla e 11 tiri contro 2). Vittoria comunque non del tutto banale, contro una squadra che aveva perso solo due volte (meno di Atalanta, Milan, Roma e Lazio), che aveva la terza miglior difesa del campionato e in casa aveva preso solo un gol. Se Inter-Juve aveva lasciato qualche scoria, non si è notato troppo.

Ascolta “Fate i compiti!” su Spreaker.

Nelle ultime sette partite l’Inter ha vinto sei volte e pareggiata una, segnato 19 gol e subiti 8, con quattro clean sheet. I numeri non mentono: in attacco viaggiamo a quasi tre gol di media a partita con un Lautaro (che a Empoli ha segnato il suo 134esimo gol con l’Inter, quello che gli regala il primato di miglior nostro cannoniere straniero di tutti i tempi) ancora non nel pieno delle sue funzioni. E tenere questo passo con mezzo Lautaro non è male. Dietro siamo quelli che siamo: cioè gli stessi dell’anno scorso in versione più lenta e insicura. Possiamo solo migliorare (più che altro, dobbiamo).

A Empoli hanno segnato due giocatori in momento critico. Ok, Lautaro ha iniziato tardi bla bla bla, adesso è finita anche ‘sta tiritera del Pallone d’Oro, ora non può che crescere e noi lo aspettiamo volentieri, è il nostro capitano, la punta di diamante – che cosa possiamo fare se non aspettarlo volentieri? Poi c’è Frattesi, un centrocampista con spiccata vocazione offensiva che a fine ottobre ha già segnato sei gol (tre con noi, tre con l’Italia) e quando segna con noi non sorride (con l’Italia invece sorride molto). Ora, il motivo c’è: a Udine pensava di aver segnato in fuorigioco, a Empoli non ha esultato per rispetto verso i suoi ex tifosi, tutto a posto. Però quei non-sorrisi restano metaforici per un giocatore le cui ambizioni restano un po’ sacrificate: uno che è più sicuro di giocare con la Nazionale che non con la sua squadra di club, questa è la cruda realtà. Però Frattesi noi ce l’abbiamo bisogno proprio così, uno sempre pronto, uno che ti può spaccare le partite subentrando, uno che nonostante il notevole profilo è uno dei sei del nostro centrocampo e negli schemi mentali dell’allenatore non è nei primi tre. Uno che forse, con i nostri chiari di luna difensivi, non è abbastanza centrocampista per giocare nel nostro centrocampo (non so se si capisce). Però Frattesi ce lo abbiamo noi, ecco.

Adesso giochiamo tre volte a San Siro in otto giorni, prima con la penultima in classifica poi con Arsenal e Napoli, un crescendo micidiale (e tre modalità diverse) da cui si capiranno un sacco di cose. Tipo chi siamo, e dove andiamo.


(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #83, con il mio socio ex aspirante pensionato (ora effettivamente in quiescenza), il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. Pavia? Gli 883? Siamo qui apposta.

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)

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L’indifendibile difesa

Al di là di ogni possibile rilievo tecnico, tattico, statistico e psicopatologico su questa Inter-Juve, c’è un dato immateriale ma molto veritiero che rende inaccettabile a priori questo risultato per un qualsiasi interista: che a 20 minuti dalla fine stavamo vincendo 4-2 e avevamo sbagliato almeno quattro occasioni clamorose per fare il quinto, e magari il sesto, e magari boh, chissà. Insomma, se al 70′ il risultato fosse stato 5-2 o 6-2 non ci sarebbe stato niente da dire. Dal 35′ al 70′ abbiamo avuto la partita in mano, stradominandola e buttando via in maniera scellerata l’enormità di palle gol che abbiamo visto tutti. 35 minuti di potenza e spreco preceduti e seguiti da due quarti d’ora in cui invece ci siamo assentati dalla gara e ci siamo astenuti dal difendere, due cosette imprudenti. Dicono sia stata una partita strepitosa, divertente, otto gol, belle azioni, occasioni a raffica. Lo dicono tutti tranne gli juventini, che comunque possono festeggiare l’atto di aver portato a casa il culo in maniera inattesa. E tranne gli interisti, che dietro i frizzi e i lazzi vedono i contorni di una mezza tragedia.

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Prendi pregi e difetti dell’Inter di questi primi due mesi e mezzo di stagione, moltiplicali per due (o anche per tre) ed eccoti rappresentata la partita. L’Inter ha fatto quattro gol (due su azione, due su rigore) alla Juve che nelle precedenti otto partite se aveva subito uno (su rigore), e gliene avrebbe potuti fare cinque o sei, a stare stretti: quindi, in teoria, potremmo anche dire che in attacco ci siamo. Ma è così? Si può dire che ci siamo se segniamo quattro gol e non vinciamo la partita? Si può dire che ci siamo che segniamo quattro gol ma ne sbagliamo altrettanti (limitandoci alla categoria “occasioni clamorose”)? Come si fa a segnare 4 gol e a prendere la Juve a pallate per 35 minuti e non vincere?

Avessimo vinto 5-4 o 6-4 adesso saremmo qui a parlare di pazza Inter e – come dice il signor Wolf in Pulp Fiction – a farci i pompini a vicenda. Ma abbiamo pareggiato 4-4 e usciamo con le ossa rotte e le palle girate da una partita in cui abbiamo segnato 4 gol alla Juve, quattro!, uno sciupìo epocale. Non abbiamo vinto una partita in cui la Juve ci ha regalato due rigori, prendendo a calci gente che passava per l’area. Non abbiamo vinto questa partita.

Del resto, vincere partite in cui subisci 4 gol è difficile. Serve segnarne almeno 5, che statisticamente non capita spesso. Abbiamo preso quattro gol su azione, con nessuna prodezza, niente che li rendesse in qualche modo inevitabili. Abbiamo preso 4 gol dove, al netto della bontà delle azioni e delle conclusioni avversarie, prevale nettamente il peso dei nostri errori (a volte anche più di uno nella stessa azione). Centrocampo che fa poco filtro, difesa piazzata male, movimenti lenti, portiere poco reattivo: quattro tiri quattro gol, cioè un disastro.

13 gol subiti in 9 partite di campionato, quando lo scorso anno ne abbiamo subiti 22 in 38 partite. Difesa piazza male, dicevamo: oh, sono gli stessi dello scorso anno. Gli stessi che i gol non li prendevano mai. Adesso li prendono all’ingrosso. C’è evidentemente un problema di testa che va seriamente affrontato: il reparto non è sicuro di sè, non si sente protetto, non si protegge. Anche il modo con cui ci si impanicava ogni volta che Conceiçao jr prendeva palla – uno dei rari giocatori in grado di uscire da soliti schemi – mi è sembrato un palese indice di insicurezza: basta un dribblomane svelto di piede per farti andare totalmente in palla? Quelli della nostra difesa giocano insieme da più stagioni, minimo due. Come si sia originata questa involuzione resta un mistero. Così come è misterioso il meccanismo mentale con cui quasi ti astieni dal tirare il colpo di grazia alla Juve, una volta, due volte, tre volte, quattro volte, mah, a un certo punto ho smesso di contare. Anche perchè del premio Fair Play non me frega un cazzo: potevamo sminuzzarli e invece siamo qui con un 4-4 che ci fa tornare a picchi di svagatezza e autolesionismo che parevano lontani.


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Prendila così

Ma insomma, questa Inter, come la dobbiamo giudicare: dall’inizio o dalla fine? No, perchè dalla fine tutto torna: quinta vittoria di fila, di cui tre in trasferta; secondo clean sheet di fila; rete ancora immacolata (a differenza del campionato) in Champions dopo tre partite; classifica di Champions che al momento (3 partite, di cui due in trasferta) ci vedrebbe virtualmente qualificati agli ottavi, saltando cioè le due partite degli spareggi – e giocare due partite in meno, quest’anno, ha un valore quasi inestimabile.

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Se invece riavvolgiamo il nastro e lo rivediamo dall’inizio, vabbe’, potremmo star qui a discuterne un paio d’ore, o forse giorni. C’è sempre un qualcosa che non va o non ci convince nell’Inter 2024/25. Ieri, per esempio, la decima in classifica (su 12 squadre) della Super League svizzera ci ha messi un po’ alla corda: sarà anche perchè il campo era sintetico, ma questi ragazzotti (Young Boys, appunto) correvano e spingevano e tiravano da ogni posizione – quest’ultima operazione, per fortuna, era ammantata di un tale scarsume che potevamo anche non schierare Sommer ma, per esempio, me. Come siano riusciti a prendere un palo, boh, credo sia stata più che altro questione di culo.

Il culo, a proposito, è una cosa che in questo momento non ci manca. Precisiamo: non è che ne abbiamo tanto. Ce lo abbiamo, punto. Prima (tipo fino a un mese fa) non ne avevamo proprio. Adesso abbiamo quella quota fisiologica di culo che ci consente di vincere al 93′ una partita in cui non è che avessimo fatto un figurone.

Quanto al gol al 93′, a nessuno è sfuggito che se lo sono inventati tre dei nostri migliori giocatori che, nel più ovvio e condivisibile dei turn over (no, scusa, li doveva tener fuori con la Roma o con (rumore di tuoni) la Juve?), erano partiti dalla panchina. Le rotazioni che non la Stella Rossa avevano funzionato benissimo allo Young Boys Emmenthal Stadium non hanno funzionato granchè. Il processo di rendere tutti titolari i 24 della rosa non può essere cosa di poche settimane. In più adesso ci si mettono gli infortuni, a raffica, come non ci capitava da parecchio. Siamo solo alla fine di ottobre, dobbiamo tenere botta per mesi. Anche per questo a me sembra più zen giudicare le partite dalla fine: abbiamo vinto? per la quinta volta di fila? in Champions siamo perfettamente in bolla? la Thu-La funziona alla grande? Beh ragazzi, io ne ho viste di peggio.


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Il torneo dei meno peggio

Alzi la mano chi nel corso del weekend è rimasto totalmente impermeabile alla tempesta scaramantico-moriremotuttistica che si stava addensando sulle nostre teste: la sensazione cioè che, dopo le vittorie tutte per 1-0 (e tutte risicate, sofferte, fortunate, rubacchiate) delle nostre rivali toccasse a noi, la domenica sera, ricevere la più classica delle enculadas. E invece no: vinciamo 1-0 anche noi (godiamoci anche il clean sheet), vinciamo a Roma (mica pizza e fichi), vinciamo la quarta di fila (un ritorno anche numerico a una certa qual dimensione), vinciamo con un gol di Lautaro (con un po’ di ritardo, peraltro ampiamente preventivabile, è tornato).

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In altri tempi e altre situazioni ci sarebbe da stappare, se non proprio uno champagnino, almeno un barolo chinato da sorseggiare in maniera contemplativa. Invece siamo qui a calcolare il tasso di affollamento dell’infermeria, che non è una bella cosa. Abbiamo quattro infortunati di cui tre a centrocampo, dove già Barella non è che sprizzi salute da tutti i pori. A una settimana dalla Juve, e con la Champions di mezzo, è un discreto casino. E’ un fake turn over: non un balletto tra gente che a turno rifiata, ma una divisione netta tra stakanovisti e malaticci. E questo, a priori, inceppa il meccanismo della rosa intercambiabile e coinvolta: ci sarà gente che si stancherà parecchio, lì nel mezzo.

Mi sforzo di leggere in positivo anche questo elemento: non brillantissimi, con due infortunati nella prima mezz’ora, su un campo ostico, torniamo comunque a casa con tre punti. In attesa di arrivare al teorico livello di quello che potremmo essere, fare bottino pieno in partite come questa è una gran cosa. Se solo avessivo pareggiato (poteva accadere) avremmo perso due punti da tutte le rivali, premiate da vittorie immeritate. Un disastro, anche per il morale. Invece il nostro 1-0 risponde con le rime ai loro 1-0: abbiamo vinto a Roma, avete visto?

La grande bellezza della scorsa stagione si vede solo a tratti, giochiamo un po’ con il limitatore in attesa di qualche fiammata, c’è una macchinosità latente di cui andrebbe valutata la percentuale: dipende più dalle gambe o dal cervello? Se però il migliore in campo dei tuoi avversari è stato il portiere, qualcosa vorrà pur dire. Napoli, Juve e Milan hanno giocato partite mediocri, potevano solo avere più culo di noi ma per fortuna non è stato così. Se il mood del campionato è una gara a chi fa meno cagare, noi stiamo facendo il nostro dovere.


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