Energia canaglia

Sarebbe interessante calcolare quanto ci costa, in termine di energie fisiche e mentali, non chiudere (quasi) mai le partite. Nel caso di ieri sera, tenere pervicacemente aperta quella contro una squadra decisamente inferiore, quando sull’altro piatto della bilancia hai tre punti fondamentali per il tuo cammino in Champions. E quindi dovrebbe venire naturale dirti: bòn, facciamo ‘sto 2-0 e rilassiamoci un pochino, tanto questi non segnano manco per sbaglio. E invece no.

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Siccome questa stagione si giocherà molto sulla gestione delle energie, e siccome l’Inter ha davanti a sè una serie di partite da far tremare le ginocchia, sarebbe interessante appunto calcolare quante energie in più ci è toccato spendere nella ghiacciaia di Praga rispetto a quanto ne avremmo spese se avessimo finalizzato uno a caso dei duemila contropiedi svaporati nel finale, tra scelte sbagliate di tiro e/o scelte sbagliate di passaggio. E’ vero che il 2-0 l’avevano anche fatto, annullato per il fuorigioco dell’alluce. Ma il problema di fondo rimane, è un difetto che in questa stagione spunta con discreta frequenza.

Naturalmente, il 2-0 (vedi Milan) o i due gol di vantaggio (vedi Juve) non è che ci mettano di default al riparo dagli imprevisti (sospiro). Però a Praga – a tutto c’è un limite – avremmo dovuto giusto stendere il red carpet in area per consentire allo Sparta di riprenderci. Siamo rimasti in tensione fino al 95′, una tensione inutile, probabilmente energivora. Sparta-Inter risponde alla perfezione al metodo di leggere le partite dalla fine (0-1? Vinto? Fantastico. Come? ‘sticazzi), ma apre altri interrogativi. Tipo: peserà il dispendio di questa partita su quella dopo, visto che giochiamo ogni tre giorni? Avrebbe potuto pesare di meno?

Quando abbiamo giocato tre giorni dopo la Champions, non è sempre andata benissimo. E’ vero che dopo Leverkusen ne abbiamo date 6 alla Lazio, ma dopo l’Arsenal abbiamo fatto 1-1 col Napoli, dopo Berna 4-4 con la Juve, dopo la Stella Rossa un faticoso 3-2 al Toro, dopo il City il disastroso 1-2 col Milan (dopo il Lipsia c’era Fiorentina-Inter). Meglio con la Supercoppa (al rientro abbiamo vinto a Venezia, ma con sei giorni di recupero) e in Coppa Italia (dopo l’Udinese il 2-0 al Como, giocando entrambe le volte a San Siro).

Quindi, a Lecce vedremo un po’. Che bello se andassimo un po’ più dritti verso l’obiettivo. A me non dispiacerebbe un segnale in questo senso, perchè altrimenti finiamo sempre col sentirci sempre un po’ sul filo. Sappiamo che la portiamo a casa, ce lo sentiamo, ce ne autoconvinciamo, ma dobbiamo aspettare il triplice fischio. E ci alziamo dal divani mezzi sudati. Sembra di vedere quei film in cui il protagonista esce con disinvoltura dalla casa che sta per crollare dopo aver salvato mezzo condominio, poi si accorge che non ha preso il bancomat, il telefono e il gatto.


(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #101 con la puntatona celebrativa, con il mio socio Max attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Cioè, si gioca ogni tre giorni: vi mancano gli argomenti? Se non ci riuscite, va bene lo stesso. Chi siamo noi per impedirvelo?

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)

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Inter-Empoli 3-1

Il campionato, come noto, finirà il 25 maggio (oppure il giorno precedente, nel solito crogiuolo di anticipi). Può benissimo darsi che finisca anche prima, ovviamente: anzi, probabile. Intendevo solo dire la trentottesima giornata di campionato è fissata per quella data, l’ultima domenica di maggio. E il Napoli può già dire che da oggi, 20 gennaio, ad allora – sono poco più di quattro mesi – ha 17 partite ancora da giocare: sono le 17 partite che gli mancano per finire il campionato e l’intera stagione. Le può già contare con precisione. Una partita ogni 7,3 giorni. Non ne avrà altre: non gioca le coppe europee, è fuori pure dalla Coppa Italia.

Ascolta “Centooooooooooooo” su Spreaker.

L’Inter, che alla data odierna ha già giocato otto partite più del Napoli dall’inizio della stagione (per comodità, diamo già per giocata Fiorentina-Inter, non la calcoleremo dopo), aggiungendo almeno altre quattro partite sicure di Champions e una sicura di Coppa Italia (entrambe le competizioni potrebbero poi continuare, certo), giocherà la sua partita numero 17 partendo da oggi intorno al 10 aprile, una ogni 4,8 giorni. Al Napoli, insomma, mancano 17 partite alle vacanze estive. A noi mancano 17 partite per arrivare alla Domenica delle Palme (e magari nemmeno). E poi? Poi non si sa. Spendendo le loro stesse energie arriveremo al 10 aprile, poi dovremo coprire il periodo 10 aprile-25 maggio con altre energie. E poi mentre loro saranno sparsi tra Capri e la Maldive, noi saremo a sgobbare fino a luglio inoltrato al Mondiale per Club.

Non è spaventoso?

Questa stagione ha dei risvolti inumani. Allora, cominciamo a risparmiare le forze tutti, anche noi tifosotti. Le partite vanno commentate dalla fine. Risultato? Vinto 3-1. Vinto come? Visto molto di peggio, diciamo benino, e comunque frega un cazzo. Si è fatto male qualcuno? No. Qualcosa da segnalare? Il Toro è tornato. Altro? No, non ricordo. E quindi? E quindi forza Inter. E gli altri? E gli altri si fottano. Sei nervoso? Sì, si gioca ogni tre giorni, non è vita. Ti ritiri? Trallallero.

Ascolta “Attraversando la città dei morti” su Spreaker.

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CENTO!

(eh sì, il Podcast è giunto nel frattempo all’episodio #100, dio mio, come passa il tempo. Festeggeremo nella puntata 101, perché noi siamo fatti così, andiamo per gradi)

(Quindi? Beh, scriveteci, fateci gli auguri, fate cose. Con il mio socio Max attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Ma c’è una novità: volete intervenire in diretta nella puntata #101? Basta scriverci un messaggio e chiedere di essere invitati. La puntata sarà registrata giovedì 23 gennaio tra le 14 e le 15, più o meno)

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Cosa abbiamo visto?

Con 39 di febbre, il grande colpo di culo è che ci siano gli Open d’Australia: metà dei match li giocano mentre dormi, ma quando ti svegli ci sono fior di partite perchè inizia il programma serale (e notturno: Medvedev giovedì ha finito – e perso – alle tre di notte passata, le nostre cinque del pomeriggio) e quindi trascorri qualche ora piacevole con Sinner, Alcaraz, Djokovic eccetera, il che ti copre le tentazioni della programmazione tv mainstream che a quegli orari ormai è crollata a livelli infimi. Tutto bello se non ci fossero i telecronisti.

I titolari di Eurosport e le loro seconde voci tengono un certo contegno, ma per seguire cinque o sei match alla volta in questi primi turni si dà spazio alla seconde leve, e le seconde leve fanno quello che già fanno molte delle attuali prime leve, scimmiottandosi gli uni con gli altri: esagerano. La narrazione sportiva sta diventando insopportabile. E’ tutto un “cosa abbiamo visto?”, anzi, “COSA ABBIAMO VISTOOOO?”, che è la frase chiave di questa enfasi micidiale. Tu sei lì che guardi, cioè vedi le stesso cose che vedono loro. Magari un gol al volo di Lautaro o un passante di Sinner e sei già contento di tuo. Ma invece no: “COSA ABBIAMO VISTOOOO?”. Scusa, non era un tiro al volo in mezza rovesciata? Non era un passante lungolinea in corsa? Sì, ma in realtà no. Cioè, ce lo devono raccontare loro cos’era, perché noi non abbiamo visto bene, o non ci siamo resi conto dell’evento epocale a cui abbiamo appena assistito (la cometa di Halley, al confronto, è il passaggio del camion dell’immondizia). Di solito un quarto d’ora dopo Sinner (ogni cosa che fa Sinner è prodigiosa) fa un passante migliore e il telecronista aggiunge qualche O (“COSA ABBIAMO VISTOOOOO?”) oppure scandisce (“Cosa. Abbiamo. Visto.”) con tono grave che vuole restituirci lo stupore e la solennità (“Oh, bel dritto!”) che noi stolti non abbiamo saputo provare.

Al centesimo “Cosa abbiamo visto?”, per rendere merito a questa domanda pronunciata così, semplicemente, senza gli occhi fuori dalle orbite e senza il prolasso delle corde vocali, mi sono reso conto che rispondere a “Cosa abbiamo visto?” è il miglior modo di analizzare Inter-Bologna di mercoledì, che io speravo di non avere colto nei suoi giusti contorni (cioè, avevo 39 di febbre, siamo al limite alle allucinazioni) (non prescindo dalla scala di sopportazione del dolore per il genere maschile) e invece no, era tutto vero. Quindi, cosa abbiamo visto? No, perchè nelle ultime 36 ore ne ho letta e sentita di ogni.

Rimanendo ai dati oggettivi, non abbiamo visto una squadra nè persa nè morta, tutt’altro: pure in una delle sue serate meno brillanti e contro un’avversaria discretamente attrezzata, l’Inter ha avuto le consuete occasioni di vincere la partita: consuete in senso numerico e qualitativo. Di sicuro, ed è il lato più inquietante, abbiamo visto una squadra stanca, alla decima partita dall’ultima pausa di un mese e mezzo fa (che è stata, con tutto il rispetto, Fiorentina-Inter) giocate in quattro competizioni e due continenti diversi. Di queste ultime dieci partite, ben tre (Leverkusen, Milan, Bologna) sono state negative ed è una media molto alta per l’Inter di Inzaghi.

Alti e bassi, per carità, posso capitare, ma il problema è tutto in prospettiva: il periodo che abbiamo davanti a breve è anche peggiore. Ricomincia la Champions (due partite da non cannare per evitare il turno aggiuntivo) e bisogna tenere botta in campionato, dove la partita da recuperare ci dà potenziali speranza di aggancio in testa al Napoli (punto) (asterisco) (punto). Nei prossimi 45 giorni abbiamo 10 partite (due di Champions. E speriamo solo due, sennò è la fine, le partite diventerebbero 12) tra cui i duelli in campionato nell’ordine con Milan, Juve e Napoli tutti in trasferta. Napoli, il 2 marzo (ancora da schedulare), chiuderà questa serie fondamentale per tutto.

Ecco, il Napoli è il grande problema. A oggi, il Napoli ha giocato otto partite meno di noi (6 di Champions, due di Supercoppa). Al 2 marzo le partite giocate in meno saranno 11 (aggiungi due di Champions e una di Coppa Italia), sperando non diventino 13 (no, vi prego). Tutte partite al massimo livello, mica amichevoli col Mendrisio. E per una squadra che appare oggi, a metà stagione, stanca, incapace di mantenere a lungo lo stesso livello di concentrazione e di affrontare due partite di file con la stessa intensità, beh sì, è un grande problema. Sarà una stagione endurance, in cui sarà necessario resistere, partita dopo partita: alle tensioni, ai crampi, alle gufate, alle ingiustizie (Alba Pairetto ha arbitrato male, abbiamo tutti bisogno di arbitri che arbitrino bene) (o tutti male, ma mi pare più complicato). La partita del San Paolo sarà squilibrata quanto a forze fisiche: giocheremo contro una squadra che ha giocato 11 (o 13, ma non oso nemmeno pensarlo) partite in meno, una squadra con cui ci contendiamo lo scudetto e che in pratica è come se avesse riposato un mese e mezzo, quasi due.

Cosa abbiamo visto, infine? Una squadra che non ha una seconda squadra come ce la siamo (o ce l’hanno) sempre cantata? Una squadra che sarà costretta ad aggrapparsi alle prime scelte, finchè dura? My two cents: si sta pericolosamente allargando la forbice tra “titolari” e “riserve”, termini che scrivo tra virgolette perché riguardano l’era del turnover e hanno ora contorni più sfumati. O pensavo li avessero, ecco. Com’ero rimasto stupefatto da quel momento della stagione in cui Inzaghi ne cambiava 5-6 ogni partita a prescindere da che partita arrivasse, ora osservo preoccupato che bastano un paio di infortuni (con Bologna erano fuori in quattro) a inceppare il meccanismo. Ma poi, appunto, c’è la forbice. Spero sia solo la percezione generale del momento, o la paturnia dell’anziano interista febbricitante (“Uè Simone, cambia!”), ma dalla panchina mediamente non arriva più nulla da parecchio tempo. Asslani ha un compito improbo, ma è di fatto un punto debole (pressarlo, entrare duro, rubare palla mentre lui rotola via: lo fa ormai qualsiasi squadra); Taremi aveva acceso qualche fantasia ma ormai sta assestandosi nel campo della delusione totale (il modo in cui non si è avventato sul cross di Thuram non è accettabile); i cambi di Lautaro e Thuram, in generale, non valgono un’unghia dei titolari; non esiste un’alternativa al trio di centrocampo (quando ne mancano due o addirittura tre, in corso d’opera, è una pena); Frattesi è un equivoco tattico dal giorno 1, ma siccome è un fior di giocatore lo si potrebbe gestire in un altro modo (lui non sembra crederci più); è un anno che stiamo aspettando un segno di vita da Buchanan (è stato sfigato con l’infortunio, ma inizio a dubitare se sia da Inter).

C’è anche tanto di buono da dire di questa Inter a un passo dalla qualificazione in Champions e in piena corsa scudetto, naturalmente: ma qualche volta sembra di avere una zavorra laddove altri – anche meno danarosi – trovano linfa. E noi di linfa ne abbiamo bisogno a decalitri (erano anni che sognavo di usare questa parola).

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La sottile differenza tra vincere e non vincere

Le due partite dell’Inter con il Venezia – e specialmente la seconda, quella di oggi – sono l’esatta dimostrazione di come certi match vadano vinti e stop. Le discussioni sugli argomenti accessori, a cominciare dall’estetica, sono rinviate a data da destinarsi (tipo fine luglio).

Le quattro protagoniste della Supercoppa sono evidentemente tornate in Italia con qualche tossina di troppo. L’Atalanta (miracolata a Udine), il Milan (moscio col Cagliari) e la Juve (smunta nel derby) hanno pareggiato. A Venezia, dove peraltro avremmo meritato di vincere minimo 3-1 checchè ne dica Di Francesco, potevamo pareggiare anche noi tra gol sbagliati nostri e qualche grosso rischio preso dietro. Avessimo pareggiato, saremmo qui a tirare giù santi dal calendario e a guardare angosciati la classifica. Invece abbiamo vinto, magari un po’ così, così come avevamo fatto all’andata: due risicati 1-0 con la penultima, due partite non indimenticabili. Totale 6 punti.

Ascolta “Da Salonicco con amore (errata corrige, again)” su Spreaker.

Quella di “vincere le partite e stop” è una modalità che di solito diventa di default un po’ più avanti, ai primi tepori della primavera, quando gli impegni si accavallano e le gambe si intorpidiscono (qualche volta anche i cervelli). Ma la situazione contingente impone di iniziare già adesso, nella prima metà di gennaio, a farsi meno scrupoli. Quanto conta aver vinto a Venezia, scialaquando come al solito in attacco, non brillando particolarmente se non a spot, concedendo ai padroni di casa qualche libertà di troppo, compreso un palo interno (questione di millimetri)? Conta enormemente. Non c’è proporzione con l’importanza o il prestigio della partita. Ma questa proporzione non ci deve più interessare.

Vincendo 1-0 a Venezia abbiamo messo in saccoccia il 13esimo risultato utile in campionato, la sesta vittoria di fila in assoluto (ultima non-vittoria l’1-1 con il Napoli), la settima vittoria in trasferta di fila (l’ultima non-vittoria l’1-1 di Monza), le ultime sei delle quali senza nemmeno subire un gol (serie-record al lordo della partita da recuperare con la Fiorentina). In classifica siamo dietro al Napoli (che ha vinto le ultime cinque) di 4 punti, ma con due partite in meno. E siamo davanti all’Atalanta di 1 punto, con una partita in meno. La Lazio è a -7 (avendo giocato due partite in più di noi), la Juve a -10 (una partita in più), il Milan a -15 (stesse partite). Nelle ultime 5 partite solo il Napoli ha tenuto il nostro stesso passo: nelle ultime 5 partite abbiamo fatto 4 punti più dell’Atalanta, 10 più della Lazio, 8 della Juve, 11 della Fiorentina, 7 del Bologna, 9 del Milan.

Ecco qual è la differenza tra vincere certe partite (Como, Cagliari, Venezia) e non vincerle. “Grazie al cazzo”, potrebbe essere il vostro legittimo commento. Eh, certo, grazie al cazzo. Però con due asterischi guardate dove siamo e ditemi a) se siamo così in crisi e b) se non ho ragione. Non si deve mollare più niente. Mercoledì sarà durissima? Sì, tutte saranno durissime, quindi prepariamoci. Ma guardate che effetto fa vincerne il più possibile.

(Ehi, chi ha detto “grazie al cazzo”?)


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No, non siamo perfetti

(Lapresse)

In meno di cinque mesi di stagione abbiamo completato il prestigioso tris della resurrezione dei morti, il triplete della merdezza: due sconfitte col Milan (la prima pessima come approccio, la seconda da 2-0 a 2-3 in una finale secca) e un pareggio con la Juve (da 4-2 a 4-4 dopo aver sbagliato cinque o sei occasioni per il 5-2). Abbiamo fatto vincere la Supercoppa a una squadra che ancora non si capacitava di come esattamente avesse superato la sua semifinale. Mentre noi, nella nostra semifinale, avevamo fatto faville. Non quattro mesi fa. Quattro giorni fa. C’è tutto un mondo di link tra queste nostre controimprese stagionali: stasera abbiamo preso tre gol dal Milan, tre, cioè il numero dei gol totali presi nelle 14 partite seguite a Inter-Juve, che tutti abbiamo sperato – ma ce lo dicevano i numeri, no? – fosse state l’ultima nostra follia stagionale. E invece tu guarda che roba.

Ascolta “Le Ballon de Merde 2025!” su Spreaker.

Al netto delle più ovvie considerazioni – e cioè che tu non le puoi vincere tutte e che agli altri non è fatto divieto di giocare ottime partite (cosa che il Milan ha fatto, soprattutto per l’atteggiamento) – questa è la più classica delle partite che ti riempiono testa e cuore di dubbi, tutti quelli che dopo Inter-Juve avevi più o meno dissipato (Leverkusen, per quanto dannosa, sembrava un’eccezione) e che appena quattro giorni fa, dopo avere strapazzato ancora una volta l’Atalanta, ti eri completamente dimenticato. Ti sentivi già sul trampolino, pronto a prendere il volo: una Supercoppetta arabeggiante da intascare e poi via, verso l’infinito e oltre.

E invece ti ritrovi a constatare che anche il tuo magico meccanismo si inceppa, nè più nè meno come quello degli altri. Un meccanismo un po’ mentale (il primo tempo vi era piaciuto? A me no) e un po’ fisico, logistico, sostanziale: meglio giocare con Thuram e Calhanoglu che senza, per esempio. Meglio avere dei cambi pimpanti che dei cambi mosci. Meglio non dare troppe cose per scontate. Meglio stare sul pezzo fino a che la partita è in ghiacciaia. Meglio metterla in ghiacciaia, la partita, quando ne hai l’occasione.

Ascolta “Interisti Anonimi: gruppo di auto-aiuto” su Spreaker.

Giovedì sera eravamo andati a dormire con quella sottile sensazione di onnipotenza che ti danno le partite che riescono bene. Stanotte ci gireremo nel letto senza più certezze, anzi, un po’ vergognandoci di averne avute troppe soltanto quattro giorni prima. Sarebbe stata una vittoria evocativa, con due gol bellissimi di due attaccanti in presunta crisi. E invece è diventata una sconfitta pessima, ripresi e superati, vilipesi e derisi. Dal Milan.

Siamo arrivati a due centimetri dall’obiettivo (il pallone di Carlos che non ha varcato del tutto la linea) e questo non va dimenticato. Ma non va dimenticato nemmeno tutto il resto. Una partita in cui, sin dall’inizio, abbiamo dato l’impressione di avere un briciolo di voglia in meno del Milan (perché?). L’allucinante gol preso su punizione (sembrava il tutorial “Punizione dal limite a sfavore: errori da non fare”). I due gol presi nel finale, che si aggiungono a tutti gli altri (adesso più della metà li abbiamo subiti nell’ultimo quarto d’ora, e servirà a Simone farci qualche bella riflessione al di là della supercazzola che “tutti prendono i gol nel finale perchè cala la lucidità”).

Ne usciamo con un profilo inquietante: siamo una squadra imperfetta, che miscela momenti sublimi a inattese dimostrazioni di non completa affidabilità. Non chiudiamo le partite. Spalanchiamo le nostre porte. Dopo le prime due partite di questo gennaio micidiale rischiamo la crisi di identità mentre l’infermeria si arricchisce dei pezzi più pregiati. Prima di eccedere nei sogni, bisogna urgentemente serrare le fila. Mai più ‘ste cose, vi scongiuro, mai più.


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Ma che colpa abbiamo noi

“Ma che colpa abbiamo noi” è un film del 2003 diretto da Carlo Verdone. Trama: otto persone frequentano lo stesso gruppo psicoterapico tenuto da un’analista ormai anziana. Durante una seduta, la professionista muore per arresto cardiaco: gli otto se ne accorgono solo quando, interpellata, non risponde.

Ascolta “Errata corrige: la VERA puntata dei cosplayers” su Spreaker.

Il gruppo decide allora di proseguire l’esperienza con un altro terapeuta. La ricerca risulta tuttavia infruttuosa perché quelli scelti si rivelano non adatti. I pazienti decidono allora di cimentarsi in una sorta di “autogestione” della terapia di gruppo, che verrà condotta a turno nelle case dei partecipanti.

Oppure a casa mia.

No, perché quando mi dicono che a Lautaro servirebbe lo psicologo, io dico che no, secondo me servirebbe agli altri. Ne convocherei sette o otto mandando la geolocalizzazione via Whatsapp. Suona il campanello, sento i passi sulle scale, entrano Dimarco, Thuram, Taremi, Barella, Mkhitaryan, Dumfries, Bisseck (“Ciao, occhio alla testa”), Carlos (“Ciao, occhio alla testa”) (“Dai, scherzo”), accomodatevi, sì, in cerchio, la sedia in mezzo è mia.

(brusio, colpetti di tosse, Barella mi guarda fisso)

Allora ragazzi, vi ho fatti venire qui a Pavia, al riparo da occhi indiscreti

(mentre pronuncio queste parole penso ai loro clamorosi macchinoni parcheggiati in fila indiana in divieto, in Ztl, sotto casa mia)

sì, va bene, ci siamo capiti. Vi ho fatti venire qui perchè dobbiamo affrontare il problema di Lautaro.

“Perché non hai fatto venire Lautaro invece di rompere i coglioni a noi, scusa?”, mi fa Dimarco.

“Non hai alzato la mano”, gli dice Bisseck.

“Ah, scusa”, risponde Dimarco.

Aspetta, mio giovane e stolto amico nonché beniamino. Il problema di Lautaro siete voi.

(forte brusio, Thuram mi guarda male)

Sì, siete voi. Piantatela con ‘sta cosa di provare in tutti i modi di farlo segnare. Non è l’ultimo dei pirla. Ha segnato 136 gol in 304 partite nell’Inter, ne ha segnati 32 in 70 partite nella nazionale argentina, è stato capocannoniere della Serie A e della Coppa America. Ha 27 anni e mezzo, non 7 e mezzo.

(silenzio)

Prende 9 fottuti milioni di euro l’anno. Non ha bisogno della vostra carità, non ha bisogno che lo mandiate in porta con il pallone.

(silenzio)

Prima o poi riprenderà a segnare a raffica, non è un problema. Sapete quanti gol ha fatto l’Inter nelle ultime cinque partite?

(silenzio)

Prontooooo? Non mi fate incazzare.

“Quindici”, dice Mkhitaryan.

Ok. Quindici, tre a partita. E zero subiti. E quindi? Lautaro è un problema?

(silenzio)

Lautaro ne ha segnato uno, gli altri 14 li hanno segnati gli altri, li avete segnati voi e i vostri compagni. Quale. Cazzo. E’. Il. Problema. Quale cazzo è il problema? Voi pensate a segnare, Lautaro ci pensa da solo, non ha bisogno di voi. Voi dovete tirare, voi dovete segnare. Cazzo! All’Atalanta gliene potevamo fare sei, invece di non-tirare per passarla a Lautaro. Basta! E pure tu, Taremi.

(Taremi guarda alternativamente me e Google Translator)

Mehdi, porca di quella troia! Non segni manco per sbaglio, che cazzo passi la palla a Lautaro? Tira, no? Tira!

(silenzio)

Vi rendete conto che l’Inter viaggia a tre gol a partita anche se Lautaro non segna? E che viaggerebbe a quattro o cinque gol a partita se voi, dico, voi!, tiraste in porta invece di passare la palla a Lautaro per farlo segnare? Ma che cazzo è, la Caritas?

(Taremi digita Caritas su Google Traslator, che traduce in “Caritas”)

“What’s Caritas?” chiede Taremi a Bisseck.

“Poi ti spiego, then I’ll explain, dann werde ich es erklären”.

Porca puttana, siamo uno squadrone pazzesco e ci comportiamo da giovani marmotte? Tirate fuori i coglioni!

(silenzio)

Denzel, alzati per favore.

(Dumfries si alza)

Questo, ecco, guardatelo bene, quest’uomo è l’esempio che dovete seguire. Voi dovete essere tutti Dumfries. Tirare dritto, guardare avanti, librarvi in volo, segnare. Non fare beneficienza. Segnare. SEGNARE! Se fate tutti come Dumfries, vinceremo il campionato con sette giornate di anticipo. Lautaro si sbloccherà quando smetterete di trattarlo come lo scemo del villaggio. Viva l’Inter, viva lo sport, Juve merda!

(applausi)

Ok, potete andare. Scusate se vi ho disturbato. Ma se non ve lo dice nessuno, ho ritenuto opportuno dirvelo io.

“Grazie. Quant’è?”, mi fa Barella.

Ma figurati, dovere mio. Andate ragazzi, e riposatevi.

(i ragazzi sfollano lentamente)

Bare, scusa, ci ho ripensato. Non è che avete un abbonamento al primo rosso che vi cresce?

“Farò il possibile, dottore”.

Sono laureato all’università della strada, Bare.

“Ah, come me”.

Ti voglio bene. Vincete tutto, per favore.

“Faremo il possibile, dottore”.


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(vi ricordiamo che le votazioni per il Ballon de merde, il concorso dei concorsi – chi sono i calciatori che proprio non sopportate? – si concludono il 6 gennaio, giorno della Befana, della Lotteria Italia e sopratutto della finale di Supercoppa. Si vota con un vocale a parte, che custodiremo fino al momento dello spoglio cui dedicheremo una puntata speciale la settimana prossima)

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)

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Sistemare le cose

Siccome non si parla che di Atalanta da qualche settimana a questa parte (per carità, legittimamente, date le 11 vittorie consecutive in campionato), fa piacere che all’ultima partita dell’anno l’Inter si sia tolta la soddisfazione di rimettere le cose a posto, proprio alla vigilia dello scontro diretto in Supercoppa con la Dea, tra sei giorni e una ventina di gradi Celsius in più. La classifica dice che siamo dietro di un punto, ma con una partita da recuperare (punto). E all’atto di andare a dormire, con la 18esima giornata ancora da completare, a parità di partite siamo due punti avanti il Napoli, e con una partita in meno siamo 5 punti avanti la Lazio e 9 punti avanti la Juve. L’Atalanta nelle sue ultime mostruose 12 partite ha fatto 11-1-0, ma noi nelle ultime 11 (con la trasferta di Firenze da recuperare) abbiamo fatto 9-2-0 affontando Juve, Napoli e Lazio (e Roma), non propriamente un disastro. E con la vittoria di Cagliari torniamo ad avere il miglior attacco del campionato: la miglior difesa ce l’ha il Napoli, che però ha segnato 19 gol meno di noi. Mentre ci sentiamo sempre un po’ sospesi, e mentre i riflettori sembrano sempre puntare altrove, abbiamo sistemato la classifica, le cifre, l’umore. Un po’ tutto, insomma.

Ascolta “Scusate il ritardo” su Spreaker.

L’Inter ci ha messo un po’ a trovare il suo equilibrio. Stiamo procedendo a sbalzi, in progressivo: a ogni battuta d’arresto è seguita una reazione significativa, salendo di un gradino. E’ successo dopo il derby perso, poi dopo il 4-4 con la Juve, poi dopo la sconfitta a Leverkusen. Per esempio, dopo Leverkusen abbiamo vinto 4 partite su 4, senza subire un gol e segnandone 13. Dopo il 4-4 con la Juve – 4 gol subiti in una partita – ne abbiamo presi 3 nelle successive 12, facendo 9 clean sheet. Dopo il 4-4 con la Juve, in campionato abbiamo vinto 7 volte su 8, pareggiando col il Napoli sbagliando un rigore, segnando 24 gol e subendone 2. In trasferta, in campionato, non solo non abbiamo mai perso ma non prendiamo gol dalla fine di settembre.

E allora va bene così: i riflettori puntateli pure altrove, noi avanziamo nell’ombra. Non saremo magari vicini alla perfezione formale dello scorso campionato, ma il rendimento è elevatissimo. Ed è un buon segno anche il fatto che spesso non sembiamo rendercene conto, sempre presi a sottolineare gli inciampi piuttosto che le imprese. Così come è un buon segno che le difficoltà dei singoli – Lautaro su tutti – finiscano spesso annullate dal rendimento corale.

A Cagliari è andato in scena un copione che vedremo replicarsi ancora un tot di volte, con la nostra avversaria che dà tutto finchè ne ha e poi prova a resistere. Sta a noi, in queste partite, mettere la freccia e superare: non è in discussione la superiorità, i nostri nemici sono soprattutto l’indolenza e l’ansia. A un certo punto bisogna abbreviare i tempi: come abbiamo visto, è tutta salute.

Ci aspettano due mesi micidiali e disomogenei. Iniziamo dalla Supercoppa, poi un sacco di partite di campionato abbordabili, poi le due di Champions da portare a casa per evitare il turno supplementare. Dal 29 gennaio al 16 febbraio, i 19 giorni che ci diranno un sacco di cose: Monaco, Milan, Lazio (Coppa Italia), Fiorentina e Juve. Ci diranno soprattutto se sarà davvero il buon 2025 che, come vogliono la tradizione e le buone maniere, ci auguriamo ora, sorridenti, speranzosi e con le mani sui coglioni.

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(nell’angolo Podcast, giunto nel frattempo all’episodio #93, con il mio socio Max attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa ci dovete dire? Quello che volete. Se riuscite a stare nel tema – l’Inter, il calcio, la vita – va bene. Se non ci riuscite, va bene lo stesso. Chi siamo noi per impedirvelo?

(vi ricordiamo che sono iniziate le votazioni per il Ballon de merde, il concorso dei concorsi: chi sono i calciatori che proprio non sopportate? Si vota con un vocale a parte, che custodiremo fino al momento dello spoglio cui dedicheremo una puntata speciale. Già in molti hanno espresso la loro terzina (nell’ordine, i prescelti otterranno 3, 2 e 1 punto. Seggi aperti ancora per qualche giorno)

(il podcast, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. E’ la tecnologia, bellezza, e non possiamo farci niente)

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Bene ma non benissimo ma chi se ne frega

Classica partita a doppio taglio, in cui il confine tra il vincere e il non vincere (cioè tra fare il tuo normale dovere e fare un disastro totale) è spesso così labile – una frazione di secondo, uno stinco, una zolla – che alla fine, all’antivigilia di Natale, nel breve transito da due a un asterisco, ti viene voglia di festeggiare questi tre punti stappando una bottiglia (non fosse che le bottiglie sono in fresco per domani e dopo e quindi no, niente, non si può fare).

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Classica partita a doppio taglio che meriti di vincere, vabbe’, è il minimo, ma poteva benissimo finire in un altro modo e sarebbe stato un Natale demmerda, a meno 5 dall’Atalanta e a meno 3 dal Napoli (con asterisco, certo, ma sapete come sono gli asterischi). E invece è finita nel modo giusto. Anzi, è finita benissimo. Perché, al termine della partita che abbiamo visto tutti, sorprendersi per un’Inter che va a cercarsi e prendersi un gol bellissimo al 92′, con un’azione corale conclusa da una prodezza singolare, beh ragazzi, è stato un meraviglioso dissolversi della fatica e delle ansie dei 92 precedenti minuti e la riprova, sia pure in zona Cesarini, che questa squadra – la nostra – ha un sacco di frecce al proprio arco, compresa la riserva di voglia e di cazzimma di andarsi a redimere al 92′ e mandarci a letto belli sereni.

Il Como è stato anche meglio di quello che avremmo pensato, e l’Inter è stata peggio di quanto avremmo sperato. Ma è finita 2-0 per noi, sprecando qualcosa e sfiorando l’apocalisse un paio di volte (grazie Sommer, grazie Carlos). Soprattutto, superando indenni la serata certamente non di grazia di molti dei nostri, un po’ scarichi. Dopo la folle serata con la Juve, nelle sette partite che sono seguite in campionato abbiamo fatto 19 punti su 21 e subìto due (2) gol, di cui uno non decisivo. Ah, dimenticavo: ne abbiamo segnati 22 (in sette partite, yeah). Continuiamo pure a cercare peli nell’uovo, per carità, è nostra facoltà e nostro diritto (e forse anche un modo di tenere alta l’attenzione, in generale): però, comunque sia, stiamo andando quasi al massimo. Ci sta davanti solo una squadra che le sta vincendo tutte da tipo tre mesi.

Quindi, al diavolo i peli nell’uovo. Stasera si festeggia e basta. E siccome siamo a Natale, mi è molto piaciuta la quasi-standing ovation dello stadio a Lautaro, applauso affettuoso a un attaccante in crisi che però resta orgogliosamente il tuo capitano. Una quasi-standing ovation al termine di quella che forse è stata la sua peggior partita di un già pallidissimo momento. Il rendimento di cui sopra (cui va aggiunta la Champions, al netto di Leverkusen, e la Coppa Italia) l’Inter lo sta tenendo senza il suo uomo-squadra, senza l’attaccante che la scorsa stagione ne faceva a grappoli. Per me, questa cosa è davvero notevole. E’ come essere in testa alla classifica di Giochi senza Frontiere senza avere ancora giocato il jolly (mi scuso con i non-boomer).

Buon Natale e Juve merda a voi e ai vostri cari.

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Segnare tutti, soffrire meno

Lazio-Inter poteva essere considerata fin qui la partita più difficile della stagione: una trasferta sul campo di una squadra in formissima, 10 vinte nelle ultime 12 (coppe comprese), gasata dal suo momento-sì e dal concomitante disastro della Roma. Un’avversaria diretta a tutti gli effetti, una concorrente nell’inseguimento all’Atalanta. Forse non c’era squadra che ci avesse preoccupato di più a bocce ferme e, tutto sommato, per la prima volta in campionato dovevamo affrontare una partita in cui tra vincere o non vincere (o addirittura perdere) c’era una bella differenza. Per dire: se avessimo perso 1-0 tipo Leverkusen adesso saremmo quarti a pari con la Fiorentina, con una partita in meno ma a 6 punti dall’Atalata e 4 dal Napoli, ridimensionati e intristiti.

Invece abbiamo vinto 6-0.

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Ed è stata una risposta pazzesca sia alla non-partita di Leverkusen sia alla prima mezz’ora della Lazio, oggettivamente notevole. Nella successiva ora però si è rivista l’Inter migliore, che sprigiona bellezza e colpisce senza pietà. E colpisce – questa è una cosa fantastica – senza attaccanti. Ne fa sei con sei giocatori diversi e delle punte segna solo Thuram.

Napoli (Calhanoglu), Verona (Correa, Thuram, Thuram, De Vrij, Bisseck), Lipsia (autogol), Parma (Dimarco, Barella, Thuram), Leverkusen (-), Lazio (Calhanoglu, Dimarco, Barella, Dumfries, Carlos Augusto, Thuram): nell’ultimo mese, su 16 gol, 5 sono degli attaccanti e 10 sono dei non attaccanti (più l’autogol). Solo a Verona i gol delle punte sono stati decisivi, gli altri sono arrivati a risultato acquisito. E Correa è la quinta punta, uno che non doveva nemmeno esserci. Di fronte a un’oggettiva difficoltà stiamo reagendo da grande squadra: abbiamo risorse ovunque, le sfruttiamo. Ha addirittura segnato il suo primo gol in campionato con l’Inter Carlos Augusto, l’uomo che si è fatto rizollare il cranio, che Iddio l’abbia in gloria.

Ascolta “Nessun animale è stato maltrattato in questa puntata” su Spreaker.

Mancava anche a noi, nonostante tutto (e nonostante diverse buone prove, qualcuna ottima), la prova di essere ancora quelli là. Adesso ce l’abbiamo. E anche se il resto non ci deve per forza interessare, rileviamo che piano piano tutte iniziano a fare passi falsi (nelle ultime tre giornate la Lazio ha perso due volte, Napoli e Fiorentina una; la Juve non vince da secoli, c’era ancora Boniperti presidente). Non l’Atalanta, che non dobbiamo lasciar scappare. Senza ansia, però: partite come quella di Roma ti riportano a quella confidenza nei tuoi mezzi che ti consente di vivere bene anche se (ancora) non guardi tutti dall’alto verso il basso.


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(due comunicazioni. Intanto, per Inter-Como faremo una puntata-lampo: mandate i vocali subito dopo la partita, ma subito subito, entro le 23. Poi, iniziano le votazioni per il Ballon de merde, il concorso dei concorsi. Tutte le istruzioni nell’ultima puntata)

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Noi non siamo così

Prendere un gol di merda al 90′, a parte il giramento di coglioni, ti costringe a rimangiarti tutto quello che stavi pensando almeno da 45 minuti: e cioè che una tantum ci si poteva concedere una partita così, giocata e (forse) concepita per lo 0-0, uno 0-0 non banale perchè ti avrebbe dato la ragionevole certezza della qualificazione diretta agli ottavi anche solo vincendo una delle ultime due. Missione quasi compiuta. Quasi.

Ascolta “Kings league wtf” su Spreaker.

L’avessimo compiuta, saremmo qui belli tranquilli con un unico rammarico: non avere cambiato canale per vedere Atalanta-Real, che mi dicono essere stato un partitone. L’avremmo compiuta con uno sforzo relativo, senza rinunciare (anzi, esaltandolo) al turnover. Siccome non l’abbiamo compiuta, ci sono un po’ di cose che spiccano in negativo, tipo il numero dei tiri in porta (zero) che ci mette spalle al muro: volevamo solo lo 0-0, siamo andati là solo per lo 0-0? Non c’è mica da scandalizzarsi, anzi. A parte la quasi qualificazione, uno 0-0 ci avrebbe dato il record del sesto clean sheet consecutivo in Champions, e con esso quella aura di sostanziale invulnerabilità che ti rende tanto sicuro e inquieta gli avversari. Ma non è questo il punto.

Il punto è che noi non siamo capaci di giocare per lo 0-0. E’ una bellissima maledizione, in fondo, ma dobbiamo tenerne conto. Vedere un’Inter temporeggiatrice, riflessiva al limite del rinunciatario, speculatrice fino alla sonnolenza è stato uno spettacolo quasi innaturale. E qui non c’è alternativa: o compi la missione, e quindi senza troppi entusiasmi vai a dormire sereno; o non la compi, e allora bisogna discutere se giocare questo tipo di partite ci convenga o no. Tra il compiere e non compiere questa missione, nel caso di Leverkusen, ci sono stati solo pochi secondi di differenza. Sì, è anche sfiga. Ma ce la siamo un po’ cercata.

Non è solo questione di estetica: l’Inter propositiva e votata all’attacco non è solo più bella, ma è anche l’unica possibile. Il modello Leverkusen ha i suoi limiti in assoluto (quando giochi per lo 0-0 la enculada è sempre in agguato, e in Europa non è una tattica che paga sempre), ma è che queste partite più allegriane che inzaghiane proprio non ci si addicono. Noi dobbiamo ragionare per linee rette, dobbiamo muoverci veloci, sprigionare talento. La partita difensiva con l’Arsenal era stata tutt’altra cosa: abbiamo difeso un gol, abbiamo resistito all’assalto, abbiamo vinto. L’Inter di Leverkusen è tutta in quell’occasione capitata a Taremi nel primo tempo: ci ha messo mezz’ora a girarsi per tirare, segno che con la lentezza non andiamo da nessuna parte.


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