(questo pezzo l’ho scritto per Il Nero e L’Azzurro)
Presi come siamo stati, tra luglio e inizio agosto, a seguire i tiramolla di Wando & Wanda e i risvolti grotteschi (e per noi disastrosi) del rapporto Mancini-società, non ci ricordiamo nemmeno più di quello che, in ordine di tempo, era stato il primo di mal di pancia ad ammorbarci l’estate.
Era ancora maggio quando Samir Handanovic esprimeva il suo legittimo desiderio di lasciare l’Inter per andare non si sa dove a provare il brivido della Champions. Come non comprenderlo? Chi, potendo, non si tromberebbe Scarlett Johannson? Sembrava addirittura un’operazione già fatta, e tutta organizzata dal basso: lo diamo al Psg, prendiamo Sirigu (e conguaglio) e tanti saluti. Conosco gente che pensava che l’affare si fosse davvero concluso e si arrabbiava perchè la Gazza non lo scriveva nell’apposita tabellina.
E invece? Iniziano gli Europei, finiscono gli Europei, iniziano i ritiri, finiscono i ritiri, iniziano le amichevoli, finiscono le amichevoli, iniziano le Olimpiadi, finiscono le Olimpiadi, inizia il campionato e Handanovic è lì dove l’abbiamo lasciato. Davanti alla nostra porta.
Qui dobbiamo aprire una breve ma necessaria parentesi. Su Handanovic gli interisti sono divisi. Per alcuni è il nuovo Yashin, per altri un sopravvalutato. In mezzo, diciassette sfumature tra il positivo (pararigori!) e il negativo (esceallacazzo!). Giudizi tanto disomogenei che il fatto che se ne andasse al Psg (chissà se Inter e Psg hanno mai trattato anche solo trenta secondi questo affare…) non ha fatto perdere il sonno a nessuno. Con il segreto desiderio che al suo posto potesse arrivare uno indiscutibilmente o anche indiscutibilmente scarso, così da riaffratellarci tutti e bòn.
Domenica sera a Verona, in quel mini-festival di giocatori bolsi e di occhi di cerbiatto, Handa non è certo stato il più impresentabile. Però mi ha colpito. La prima volta che lo hanno inquadrato bene, lui nel suo bel pigiamone grigio, stava sistemando la barriera per una punizione dal limite. La disponeva con una certa stanchezza, come fosse la trentesima barriera disposta in quello scampolo di primo tempo. E aveva la faccia triste e annoiata di uno che dispone la barriera ma intanto pensa: “Che cazzo ci faccio qui a disporre barriere? Cioè, io volevo la Champions e sono qui a sistemare uomini in fila per una punizione che batte il Chievo. Voglio morire“.
Il messaggio “Non ho più voglia di giocare qui, abbiate pazienza, io volevo la Champions, la musichetta, de ceeee-mpiooooooons” passa forte e chiaro quando Meggiorini tira e lui, in piedi, segue il pallone con lo sguardo. Il pallone esce, non di molto. Anzi, di poco. E lui lì, dritto come un fuso, poi appena un po’ piegato, ma poco, a guardare il pallone che sfiora il palo. Farà la stessa identica precisa precisa cosa in occasione del secondo gol del Chievo: lui lì in piedi e il pallone che entra.
Ora, a posteriori (ma solo a posteriori) possiamo dire che non sarebbe cambiata una sega. Il tiro di Meggiorini era fuori, quello di Birsa era probabilissimamente imprendibile. Quindi l’immobilismo di Handanovic non ha inciso sulla nostra partita demmerda, e forse ha fatto risparmiare a Suning le spese per la tintoria (sai, quelle macchie d’erba sui gomiti che non vengono via neanche a 60 gradi).
Ma il punto non è questo. Il punto è il gesto, che devi fare, anche se inutile. Ci devi comunicare, planando sul tappeto erboso, con il braccio proteso e una smorfia sofferente sulla faccia, che ci credi, ci provi. Se va fuori, meglio. Se è imprendibile, pace. Ma il nostro portiere – sì, quello spilungone con il pigiama grigio – c’era, si è tuffato, l’ho visto, giuro.
Cioè scusa, Handa, è come se la Cagnotto salendo sul trampolino prima delle cinesi avesse detto: “Chissenefrega, mi tuffo a bomba tanto vincono sempre loro”. E no, ci devi provare. E la nostra Taniona ci ha provato fino all’ultimo. Il metodo Cagnotto vale due medaglie, il metodo Handa non so: due pappine dal Chievo, intanto.
La cosa più grintosa dell’intera domenica la fa in sala stampa, dicendo che se la squadra è inguardabile è colpa dell’organizzazione (un concetto nuovo, ha un che di sovietico) che li ha mandati a fare una tournée inutile e massacrante.
Cioè, hai nove giorni per provare ad andare via e ti giochi il jolly della critica all’organizzazione?
Mah, non mi convince. Forse è anche colpa di quel pigiamone grigio, che non contribuisce a un look mai troppo scoppiettante, figuriamoci col pigiamone. Ogni volta che lo inquadravano, mi sembrava di vedere un preadolescente che – già in pigiama alle otto di sera – compare in salotto e dice ai genitori: “Posso vedere l’Inter?”
Ecco: lui, oltre ai tiri di Meggiorini e Birsa, ha visto l’Inter. E poi tirando un sospirone è andato a letto, sognando de ceeee-mpioooons e un mondo fatato dove le barriere si dispongono da sole.
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