E anche il Bramieri sfuma

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MILANO (ANSA) – La Juventus, battendo 2-1 l’Inter a San Siro, si è aggiudicata la prima edizione del trofeo “Gino Bramieri”. Il nuovo e prestigioso appuntamento agostano – risposta nerazzurra al trofeo “Luigi Berlusconi” – è stato anticipato a maggio su richiesta della societá bianconera, a causa dei numerosi appuntamenti che attendono gli uomini di Allegri ad agosto: Supercoppa europea, Supercoppa italiana, Trofeo Tim, Trofeo Birra Moretti, rivincita con il Lucento (Supercoppa Alta Savoia), Giochi del Mediterraneo, Universiadi e Us Open. Con la vittoria del “Bramieri” la Juve celebra così il suo pokerete stagionale.
La Juventus si è presentata al Meazza in una pittoresca formazione in cui spiccava Romulo, reduce dalla dichiarazione di morte presunta depositava alcune settimane fa in procura a Torino. Mancini replicava schierando la formazione migliore, cioè un accrocchio senza arte nè parte. Ciononostante, l’Inter si portava in vantaggio con un gol di Icardi, che deviava casualmente in rete un tiro di Brozovic destinato ai tabelloni pubblicitari, e sbagliava sedici-diciassette volte il raddoppio, colpendo anche una traversa con Shaqiri, alla sua prima partita da titolare dopo quattro mesi di panca.
“Raddoppio mancato, sei certo inculato” recita un popolare detto calcistico. E infatti l’Inter passa dal potenziale 4-0 al pareggio. Medel, stufo di predicare nel deserto con i compagni, prova a vedere se servendo a dovere Morata almeno questo va in porta. L’esperimento riesce, Vidic atterra il centravanti juventino colpendolo con sette parti differenti del corpo ed è rigore, che Marchisio – al rientro dopo otto-nove mesi dopo il grave infortunio in Nazionale – trasforma.
Nella ripresa la Juve ci prende gusto, ma è l’Inter ad avere l’occasione migliore: assist di Kovacic, triplo tolup di D’Ambrosio e palla ovviamente fuori di un millimicron. I bianconeri, che manco avevano più voglia di tirare in porta, passano a sette minuti dalla fine: Morata, che si stava rotolando a terra millantando un pestone mai ricevuto, vede passare un pallone e tira alla sperindio, la palla rimbalza quindici volte  a due all’ora e inganna l’incolpevole Handanovic. C’è ancora tempo per mangiarsi i coglioni e gli avambracci: Sturaro allunga su Sturini, Vittorio Storaro manca l’aggancio ma Storari fa due miracoli su Palacio e Icardi. E tutti a casa.
Per l’Inter, nonostante la delusione cocente, rimangono invariate le speranze di approdare in Europa League: se infatti la Lazio fallirá, se la Fiorentina cederá il titolo sportivo per ripartire dalla Lega Pro e se una voragine inghiotterá l’intera cittá di Genova, i nerazzurri approderanno a pieno titolo alla simpatica manifestazione continentale.
Juve raggiante per il successo in questa prima edizione del neonato trofeo estivo. Andrea Agnelli affida a un tweet la sua gioia: “Bellissimo aver vinto due volte il Bramieri”.

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La prova del nove

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Mentre alla Juve sospendono la squalifica per un pittoresco lancio di una bomba carta ai tifosi avversari con nove feriti, contro l’Inter c’è un tale livore che la squadra avversaria, visto quello che era successo a Udine, si fa espellere due giocatori pur di giocare in nove sapendo di metterci in grande difficoltá.
Gemellaggio di ‘sta cippa, cara Lazietta nostra, questo è il clima infame contro l’Inter e chi tocca l’Inter (ogni tanto, quasi mai, ma a volte succede vivaddio) muore. Anche la Juve si sta organizzando per farsene espellere un paio sabato, perchè nessuno ormai vuole più correre il rischio di giocare in undici contro undici contro di noi. Il Genoa ha chiesto di iniziare la partita giá in nove, presentando all’arbitro una distinta di soli nove giocatori adducendo come scusa una intossicazione alimentare da focaccia al formaggio. All’Empoli non gliene frega un cazzo, ma si sta interessando solo per romperci i coglioni: Tavano si è detto disposto a farsi espellere giá al terzo minuto pur di far giocare la sua squadra almeno in dieci, se proprio non fosse possibile – come è nei piani – giocare in nove.
Tra l’altro stasera il complotto è stato addirittura fastidioso: non solo gliene cacciano fuori due agli altri, ma convalidano un gol irregolare a noi pur di farci pareggiare in modo poi da espellere il secondo in paritá di risultato, provocandoci una forte ansia da prestazione. È una vergogna, cazzo, non si può andare avanti così. Anche il comportamento dell’arbitro, cazzo, dai, non si può… lo sai che non siamo abituati a decisioni a nostro favore, lo sai, e ci metti in difficoltá. No, è uno schifo. Non vedo l’ora che questo campionato finisca, è una roba brutta.
Comunque vaffanculo, abbiamo vinto a Roma con la Lazio, è il settimo risultato utile consecutivo, i punti buttati nel cesso sono un peso insostenibile ma ci tenevo a dire Milan infame e Juve merda, perchè non bisogna dimenticare.

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Tripla mierda

Se ha vinto la prima Champions nel 1985 passeggiando sopra 39 cadaveri e se ha vinto la seconda Champions nel 1996 grazie al culo epocale (Nantes in semifinale e Ajax in finale) e alla chimica per endovena, la  terza Champions della Juve passerà alla storia per la buona sorte (tabellone da operetta fino alla semifinale) e per il cinismo: è bastato finora giocare bene 2 partite su 11, al Bernabeu la sfangheranno e in finale sarà sufficiente un rimpallo, un’autorete, ‘na passeggiata de salute. Faranno il triplete per secondi, perchè saliranno sulla vetta d’Europa e troveranno la nostra bandiera ancora lì, piantata nel 2010. E ci pisceranno sopra, perchè – a parte il culo e il cinismo (che comunque è una dote da grande squadra) -, il marchio di fabbrica di questa squadra e di questa società è il fair play.
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Ecco, nel fare i complimenti agli juventini onesti per il triplete, volevo in questa occasione scusarmi con Ambrosini, perchè il suo “Lo scudetto mettilo nel culo” al confronto di questo tweet è come una palla di profiteroles al confronto di uno stronzo di san bernardo. “Lo scudetto mettilo nel culo” era lo striscione di un tifoso scompostamente felice per avere vinto la Champions e festoso nel prendere per il culo i cuginastri. Certo, esposto sul pullman scoperto da un giocatore della prima squadra assumeva tutt’un altro tono – diciamo così, con un eufemismo, di pessimo gusto -, ma oggi a distanza di 8 anni lo rivaluto se penso che una società di calcio, nota per la sua squisita way of life e per un’arroganza fastiodiosa da generazioni, dal suo profilo Twitter ufficiale festeggia così la vittoria in casa con il Real. Non godendosela tout-court, ma lanciando un pensiero – sempre e comunque – alla loro peggiore ossessione. Cioè noi.
Che poi questo, diciamolo, è in sè una cosa bella. Manco la vittoria in semifinale di Champions si godono, ahahahah. La cosa del 5 maggio ce l’avevano già pronta da giorni, sicuro. E appena la partita è finita in ghiacciaia, è partito il tweet, uh!, invece di ammazzarci di birre prendiamo per il culo l’Inter. Dai, se ci pensiamo è bello. Questi a Berlino durante il giro di campo faranno i tweet sull’Inter. Sì, è bellissimo.
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Così come è bello che Tuttosport, non pago di assecondare il delirio juventino sul numero degli scudetti, adesso non solo li aggiunge alla Juve ma – correttamente, se ci pensiamo bene, relativamente alla loro malattia mentale – ne toglie uno all’Inter, stabilendo così una coerenza numerica in una dimensione tutta loro (credo che abbiano visto Interstellar, che poi è un titolo che inizia con Inter, e questo li ha fatti uscire di cotenna).
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Che poi, sempre a livello di patologia e di responsabilità individuale, uno si può coltivare la aiuole che vuole, e disporre le violette come gli pare. Per dire, se io davanti a casa avessi un prato così, io scriverei I N T E R, oppure disegnerei un grande cazzo per quando passano quelli di Street View, chè magari divento una star mondiale e mi citano in tutte le fotogallery. A loro piace il numero 33. E va bene, scrivete il numero che vi pare.
E’ idealmente attorno a quel prato, piuttosto, che continua ad esserci un problema. E’ la libertà della Juve di contare gli scudetti (e di fare comunicati, di scrivere tweet) che irrita, non il fatto in sè che è folklore o malattia. Se io in un articolo scrivessi che i presidenti della Repubblica italiana sono dieci perchè non riconosco Gronchi e Saragat,  il mio direttore mi prenderebbe per i coglioni e sentirei nel contempo arrivare il 118 (se non altro per lo choc testicolare, ma forse anche per il Tso). Loro no, niente, scrivono su prati, stadi, hashstg, carta intestata, comunicati ecc. ecc. e nessuno dice niente, niente, mai niente.
Il revisionismo – o il dimentichismo, che non è meno grave visto che parliamo di ricordi freschissimi – contagia tutti. Prendete questa simpatica schermata del Televideo Rai
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dove nel giro di qualche semplice riga si rievoca il Grande Torino di quasi 70 anni fa come ultimo precedente di quattro scudetti consecutivi, quando c’è una squadra/ossessione che ne ha vinti cinque il decennio scorso (l’ultimo 5 anni fa).
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E che dire di questo magico titolo di Repubblica, dell’anno scorso, 2014, alla vigilia della semifinale di Europa League, in cui si magnifica il miglior risultato di una squadra italiana in Europa in sei anni? (ahahahahah, santa madonna, ci sarebbe da ammazzarsi dalle risate se tutto ciò non fosse triste).
E così, tra l’indicibile arroganza della Juve e il paraculismo che c’è attorno, il calcio italiano migliora il suo coefficiente Uefa ma si conferma per quello che è, un baraccone pieno di fenomeni, bravi in ginnastica, pessimi in matematica e ridicoli in storia. Quelli che lasci al rinfresco dopo gli esami e li ritrovi qualche annetto dopo in cronaca nera, e dici “oh, ve l’avevo detto”. Ecco, qui invece non dice un cazzo nessuno.

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Difficoltà


Diciamo che abbiamo una certa difficoltà con le squadre che si chiudono molto e non ti fanno giocare, e anche con le squadre che si chiudono molto e poi cercano sporadicamente di incularti in contropiede, perchè – ammettiamolo – abbiamo una certa difficoltà nell’attaccare squadre che si chiudono a riccio e poi ripartono e abbiamo comunque una certa difficoltà nel gestire mentalmente un’iniziativa di novanta minuti contro una squadra che si chiude e poi riparte, anche perchè abbiamo – è evidente, diobono – una certa difficoltà a dare la giusta continuità al gioco del centrocampo in raccordo con l’attacco proprio in virtù delle peculiari difficoltà insite in una partita in cui la squadra avversaria pensa soprattutto a difendersi
(e nel frattempo ti distrai e pensi alle difficoltà che hai con le squadre che ti aggrediscono, e anche con squadre che un po’ ti aggrediscono e un po’ si difendono, e questo ti crea dei dubbi esistenziali, sportivi, tecnici, tattici, morali, etici, psicologici, psichiatrici, luddisti e fist fucking)
ma non disegna di attaccare una volta mediamene ogni quarto d’ora, cosa che ti mette in difficoltà soprattutto a livello di attenzione e concentrazione, e se poi va davvero vicino all’inchiappettarti ti mette in difficoltà a livello di autostima, perchè tu sei lì che attacchi un po’ così per novanta minuti – e hai una certa difficoltà, questo va detto – e quelli ne approfittano e ripartono e tirano e prendono pali, mica sempre, vabbe’, una volta ogni quarto d’ora, anche venti minuti, e ora io sfido chiunque a non avere una certa difficoltà a gestire questa situazione psicologicamente ingenerosa rispetto ai tuoi sforzi,
oddio, sforzi,
ecco, ho una certa difficoltà – io, non la squadra – a definirli sforzi, diciamo tentativi, diciamo tensione – ma tensione in quel senso, di tendere, non di tensione nel senso del sistema nervoso – ecco, perchè poi subentra la tensione – quella vera, lo so, questo passaggio è difficile – e manca l’ultimo passaggio – sto avanzando nel ragionamento prendendo l’ultima parola della frase precedente, non so se si nota – e quindi vaffanculo. Adesso subentra anche una certa difficoltà (mia) a valutare con serenità la classifica (nostra), no, per dire, bastava vincere col Chievo e (non lo voglio dire) (e non voglio vedere, non voglio sentire, svegliatemi il primo giugno, no, niente, non voglio sentire, lalalalalalalalalalalalalala).
Diciamo che abbiamo una certa difficoltà. Con le squadre. In generale. E bòn.

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Rocchi Balboa e Massimo Poldi

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Quando Erykah Badu ha cercato di uccidere a mani nude Rocchi Balboa, una tifoseria normale si sarebbe stiracchiata sul divano e avrebbe aggiornato la classifica aggiungendo tre punti, e magari avrebbe iniziato a fare zapping con Ballarò o con un porno per ingannare l’attesa del novantesimo.
Non noi.
Quando hanno inquadrato il Mancio che stava per metter dentro Podolski, mi è sembrato di vedere il Cordobes che sapeva di aver già portato a casa la corrida, solo questione di tempo e di tempismo, il toro era giá morto benchè temporaneamente vivo, e intanti schiero un altro torero, cazzo del toro. E una qualsiasi tifoseria avrebbe potuto rilassarsi in attesa del gol del 2-1, e poi del 3-1, e poi del 4-1, perchè non c’è niente di scritto ma in undici contro nove, santa madonna, in undici contro nove è una mezza formalità.
Non noi.
Se poi in undici contro nove segna pure Massimo Poldi – un preciso segno del destino – solo il fatto che la partita fosse oggettivamente divertente ha fatto sì che nessuno abbia girato su Ballarò o Dimartedì a informarsi sull’Italicum. Solo che poi, dopo diciassette occasioni di fare il 3-1, abortite di fronte alla pertinacia nel voler entrare in porta col pallone, o nel voler servire un compagno meglio piazzato che a sua volta avrebbe servito un compagno meglio piazzato che a sua volta avrebbe servito un campagno meglio piazzato che a sua volta al mercato mio padre comprò,
ecco,
è in quel momento che mi sono alzato in piedi sul divano, e ho guardato i giocatori come il Cordobes avrebbe guardato gli spettatori nell’arena, anzi no, come gli spettatori dell’arena avrebbero guardato il Cordobes che cazzeggiava col toro barcollante, e ho pronunciato la seguente frase, non urlando, anzi, con estremo aplomb, quasi sottovoce:
“Ragazzi, ma perchè non ve ne andate a fare in culo?”
Perchè i ragazzi non lo sanno, ma io sono a dieta – una fottuta dieta – da 37 fottuti giorni, e non solo non posso mangiare Orociok, ma non compro Orociok da sette giornate e non ho Orociok in casa, cioè, sarebbe come se uno smette di fumare ma sotto il divano ha una stecca di Marlboro, nel qual caso negli ultimi dieci minuti di Udinese-Inter avrebbe messo in bocca 20 paglie e le avrebbe accese all’unisono e le avrebbe fumate in quattro respiri, perchè non si possono veder certe cose, cioè, io mi sarei mangiato un pacco famiglia di Orociok inculandomi 37 giorni di dieta. Orociok, Orociok!
Che però non avevo.
Ma non credo che il proibizionismo mi abbia alterato i parametri del giudizio e la capacitá di intendere e volere. Il mezzoseghismo dell’Inter, il mezzogiocatorismo dell’Inter esce lampante se ti caghi in mano in 11 contro 9, se quelli in 9 stradominano gli ultimi 5 minuti di partita, e non ci sono cazzi. Personalitá zero, capacita di fare una O col bicchiere zero.
Comunque abbiamo vinto, e quindi Milan merda.
(è con frasi come questa che mi rendo conto di essere lucido. Affamato, con una clamorosa carenza di cioccolato, ma lucido)

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I capelli del Mancio

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Quanto cambia le cose un gol. No, voglio dire, Icardi che segna – finalmente –  e ti ribalta la serata e l’umore, quando ormai ero incazzato con l’Inter tutta e con lui tipo Osvaldo a Torino, perchè palle per il 2-0 prima e per il 2-1 poi le aveva giá avute e le aveva sfruttate male, senza passarla quando doveva, o tirando male quando poteva. E sono cose che a un attaccante capitano, ovvio, ma perseverare era diabolico e non vincerla ‘sta partita era un peccato, un peccato grave. Non vincere dopo due mesi e rotti a San Siro. Non vincere contro una grande, dopo boh, mesi, molti mesi, moltissimi (mai quest’anno).
E allora mi montava la rabbia per quel gol preso in maniera così naturale, due passaggi tiro gol, cose che agli altri riescono bene e a noi quasi mai, forse perchè gli altri non hanno la difesa dell’Inter (e certo, l’abbiamo noi). E ogni volta che inquadravano Mancini guardavo quei capelli, stinti, nè carne nè pesce, sale pepe e cappuccino, e mi veniva naturale il parallelo con l’Inter irrisolta, scolorita, indescrivibile come i capelli del Mancio.
Poi segna Maurito su assist di Podolski, una roba che se esistesse l’accoppiata nel calcio l’avrebbero data a 100. E allora sono contento, il Milan ha fatto ridere Udine e noi abbiamo colto – la sera del 25 aprile, cioè dopo 8 mesi di campionato – la prima vittoria alto di gamma della stagione. E mi sento su di giri e confuso, come il coiffeur di Mancini di fronte a una vittoria insperata e a un’impetuosa ricrescita.

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Il club dell'asado 2.0

“Allora signori, pizza carne o pesce?”
“Carne!”
Per colpa del lavoro ho perso il derby, ma non è colpa del lavoro se non me ne fregava una cippa, nè prima (zero) nè durante (poco) nè dopo (molto poco). La tristezza di un derby per il nono posto è indicibile, e al confronto un film di Bergman è il grande Lebowsky. Sono riuscito a vedere gli ultimi dieci minuti, ho acceso la tv proprio mentre usciva Glu, Gru, Blu, Tru
(ecco, non mi era mai capitato che un nome di un giocatore dell’Inter non mi entrasse in testa per giorni e giorni)
Dru, Lu, Pru… Gourcuff
(ecco, non mi era mai capitato che mi venisse in mentre un nome contronatura invece di quello giusto)
vabbe’, ci siamo capiti, ho acceso la tv in quel momento e solo dopo, di highlights in highlights, ho ricostruito la storia di questo derby sfigato, perfettamente in linea con la stagione, una mancanza di culo piuttosto frustrante, ma se sei decimo hai poco da arrabbiarti, e anche da frustrarti. Se sei decimo hai poco, punto.
Quindi, vaffanculo, l’unica cosa da fare era andarsene a cena. Lunedì, appuntamento a Cremona. Si ritrovano Er Blogghe, Er Pomata, Er Monnezza ed Er Pagnolada. Quando scegliamo all’unisono la carne, battezzo immediatamente la serata:
“Siamo il nuovo Club dell’Asado”.
“Il Club dell’Asado 2.0”, precisa Er Monnezza.
“Ecco, proprio”.
Il maitre si lancia in una ordinazione che sembra uno di quegli indovinelli della Settimana Enigmistica.
“Dunque, signor Zanetti…”
(il tavolo era stato prenotato a nome Zanetti. Voglio dire, non è reato. Abbiamo prenotato, ci siamo presentati, abbiamo pagato: dov’è il reato?)
“…vi consiglierei una taglio del peso di circa 450 grammi che è ideale per tre”.
“Ma noi siamo in quattro, gringo”, faccio io con aria perplessa.
“Ah, giusto. Quindi potremmo fare così: potreste prenderne uno in quattro, ma mangiate poco. Oppure potreste prenderne uno a testa, ma forse è troppo. Oppure potreste prenderne due a testa, mangiandone uno qui e portandone uno a casa. Oppure potreste prenderne cinque e sorteggiarne uno. Oppure potreste prenderne tre e fare la classifica avulsa. Oppure potreste prendere un intero manzo che mando a macellare entro mezz’ora, e intanto qui fuori preparo un falò e un compound dove vi potrete accomodare in attesa che il macellaio ci consegni…”
“Senti, Zichichi, ci hai rotto il cazzo. Portane due e ce li dividiamo in quattro, ci voleva tanto?” fa Er Monnezza, mentre Er Pomata ed Er Pagnolada scelgono il vino dopo una consultazione di tre quarti d’ora. Il maitre ci porta la bottiglia e per aprirla sega il collo con un colpo di scimitarra.
“Ooooolllllè”
“Olè!”, facciamo tutti in coro, mentre una tardona ci guarda con ammirazione da un tavolo vicino, umiliando il commensale.
Mangiata la carne, ci avviamo così al rito centrale della serata. Er Pomata estrae da una tasca un gagliardetto del Monaco e lo stende sul tavolo. Er Pagnolada impone le mani. Io ed Er Monnezza ci guardiamo. E’ un momento di intenso raccoglimento, interrotto dal cameriere.
“Dolce?”
“Senti, Boy George, non vedi che siamo impegnati? Ma come ti permetti? Torna tra un quarto d’ora”, sibila Er Monnezza, mentre Er Pomata – nonostante l’estrema intensità del momento – fissa il gagliardetto senza che gli si scomponga un capello. Er Pagnolada ci riporta alla realtà: “Può funzionare solo se ci impegniamo moralmente. Dobbiamo fare un fioretto”. “Non diciamo parolacce per 24 ore”, propone Er Monnezza. Er Pomata dice “E sia!”, e nel dirlo appoggia la mano sulla piastra della carne, 370 gradi Fahrenheit, e si tappa la bocca dicendo “Escremento!”. Er Pagnolada è molto fiero di noi e impartisce una benedizione urbi et orbi a tutto il ristorante, compreso il cuoco che viene in sala a partecipare alla breve cerimonia. Ciononostante ci fanno pagare il conto, cosa che trovo di pessimo gusto.
Ci salutiamo nel parcheggio, baci, abbracci, strette di mano, pacche sulle spalle, “Juve escremento!”. Io, Er Pomata e il gagliardetto del Monaco puntiamo la macchina in direzione Pavia. E via, nelle brume della Padania, allenandosi a dire escremento, meretrice, vagina, deretano e pene per passare indenni le successive 24 ore. Cosa non si fa, cosa non si fa.
asado
 

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Sessantaquattresimi di finale

Soccer: Serie A; Hellas Verona-Inter
Abbiamo vinto a Verona. Uh, bene. A una trentina di punti dal primo posto, a una quindicina dal terzo, a sette-otto punti dalla posizione che ci garantirebbe un ingresso in Europa League al costo di piacevoli preliminari in Siberia a metà luglio, ecco, fatico a concentrarmi e a trovare un perché. Tra la Juve che perde a Parma (ultima, fallita, derelitta e dignitosa) e l’Inter che gioca a Verona oggi (giuro, fino all’ora di pranzo pensavo giocasse domani, poi mi è scappato l’occhio su un tg), più che la trentesima giornata mi sembrava la trentottesima, quando su dieci partite sono sì e no tre o quattro ad avere un minimo perché e le altre sono tutte un po’ fuzzy, divertenti per chi ha il cuore leggero, indolori per gli altri. E invece no, dopo questa ce ne sono altre otto che non ci servono a nulla di materiale. Di immateriale sì, certo: a ricostruirsi una credibilità, a sistemare un po’ di cose, a scegliere chi resta e chi parte, a lucidare i pezzi migliori. Da qui alla fine per noi sono tutti sessantaquattresimi di finale.

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Il castigo dei bimbominkia

Cominciamo col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile @inter #interparma
Quando venerdì ho letto il tweet di Andrea Ranocchia, ho 1) mandato affanculo il medesimo, e 2) ho immaginato – per quanto fosse impegnativo farlo – che non avremmo vinto, perchè 3) questo tweet è di per sè un indizio preciso su quanto siamo inguaiati.
Nell’ordine, il nostro capitano è un bimbominkia che copincolla una frase a effetto alla vigilia di Inter-Parma, cioè la modestissima partita della sua squadra contro l’ultima in classifica giá retrocessa, giá avviata al fallimento, vittima di una situazione penosa e senza uno straccio di certezza sul futuro. La frase è di San Francesco di Assisi e con Inter-Parma non c’entra un emerito cazzo. Sarebbe bello pensare che Ranocchia non stesse pensando a Inter-Parma quando ha fatto il copincolla, ma l’hashtag non lascia spazio a dubbi. Quindi ha usato una frase clamorosamente sovradimensionata per introdurre una delle più insignificanti partite del campionato.
Cominciamo col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile… Cioè, è una bella citazione se stai per affrontare il Bayern o il Barcellona, è una frase suggestiva se giochi il ritorno di coppa e devi rimontare (ecco, sarebbe stata una bella frase prima del Wolfsburg), ma se presenti la partita col Parma con un aforisma del genere, i casi sono due:
o non capisci una sega delle citazioni, del web e della vita, oppure hai talmente l’acqua alla gola che ti tocca tirare fuori una frase del genere prima di una partita con una squadra di morti viventi, ancorchè più dignitosi di te e dei tuoi compagni.
Le parole sono importanti (anche questo è un aforisma, caro Andrea, e non di un santo), e quindi questo tweet segna un altro capitolo della deludente storia di quest’anno, quella di una squadra che si cerca ma non si trova, del suo ambizioso ma quasi impotente allenatore e del suo capitano bimbominkia che copia male e incolla peggio, come la gran parte dei suoi compagni, che una ne fanno e cento (anzi, nessuna) ne pensano. Un tweet da poverini, una partita da poverini, una squadra di poverini.
Dal punto di vista pratico, vincere o pareggiare (o anche perdere, figuriamoci) con il Parma non cambia niente alla tua sbalestrata stagione. Dal punto di vista morale (uh, parola grossa) un po’ sì, cambia, è una questione di amor proprio, di professionalitá, di interismo. Niente, non pervenuto. Il capitano che incita l’ambiente e i propri compagni a sorprendersi a fare l’impossibile (cioè battere il Parma: questo è essere preveggenti) mette il sigillo a tutta questa cacca fumante.
Caro Andrea, ti rispondo così:
Fai attenzione a come pensi e a come parli, perché può trasformarsi nella profezia della tua vita.
Sai di chi è questa frase? È di San Francesco. Era quella dopo la tua, la prossima volta guarda bene prima di far copincolla: magari risparmi l’inculata concettuale a noi e il castigo di Pasqua a voi. Che a spaccar le pietre dovrebbero mandarvi, altro che a giocare a palla: un allenamento alla Pinetina il giorno di Pasqua è una carezza, la carezza di San Francesco sulle vostre povere testoline.
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Gold (tata-tata tata-tata)

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La stagione 1984-85 è stata una vera merda, a tutti i livelli. Juve e Milan facevano ca-ca-re e potevamo vincere il campionato con una gamba sola. Chi ce li aveva davanti Spillo e Kalle, santa madonna, chi? Arriviamo a Natale che siamo lì per dare il colpo di grazia, ma dopo le vacanze andiamo in pappa. Una bella serie positiva di 9 partite, sì, però con 7 pareggi. Gli altri corrono e noi sembriamo sul rullo. Nel mentre, non bastasse l’Inter, a fine febbraio – porca troia – , parto per il militare. Mi ricordo ancora la prima domenica in caserma, 0-0 a Como, una roba che non saprei descrivere, cioè, non è che fossi al settimo cielo, e questi pareggiano 0-0 a Como e fanno vincere il campionato al Verona?
In effetti andò così.
Non pago, durante la primavera 1985, con lo scudetto che svaniva e col Real che ci eliminava in Uefa, comprai un lp degli Spandau Ballet, Parade, ed è stato per festeggiare questo trentennale (30 anni!) (cazzo!) che mi sono recato nei giorni scorsi al Forum di Assago per assistere al concerto dei suddetti, che qualche anno fa – dopo essersi odiati e fatti causa e massacrati e spolpati per un quindicennio – si sono rimessi insieme. Vabbe’, ci sono andato anche per amore, perchè non è che sono un balùba che legge la Gazza e canta Pazza Inter e si gratta il culo in pubblico. Cioè, ho dei sentimenti.
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A cui mi aggrappo quando esco dal casello e mi infilo in una fottuta coda di due km per 40 minuti di percorrenza, manco fosse la finale di Champion, e no, era il concerto degli Spandau, ma io dico, arrivate tutti all’unisono? Ma siccome non sono un balùba, ero partito con  largo anticipo e così  entro al Forum tanto rilassato e in una tale serenità (manca mezz’ora all’inizio) che prendo una decisione saggia e lungimirante:
“Cara, mi attarderei un momento a mingere”.
Mi fiondo così al cesso. Non so se siete pratici del Forum, ma voi uscite dagli spalti e andate nell’anello centrale e lo percorrete per chilometri e trovate una teoria di cessi. Cesso uomo, cesso donna, cesso uomo, cesso donna. Fuori c’è l’insegna con l’uomo per il cesso uomo, e l’uomo con la gonna per il cesso donna. Funziona così dappertutto, anche al Forum.Però  vedo che dovunque – cesso uomo e cesso donna – in coda ci sono solo donne.
“Scusi – faccio a uno steward – dove cazzo di budda sono i cessi uomo? Io vedo solo donne, anche davanti al cesso uomo. Sono disorientato, e tra l’altro mi scappa da pisciare”.
Al che lo steward, una specie di tossico in giacca e cravatta, mi guarda e mi fa:
“Amico mio, non vedi quanta figa c’è a questa merda di concerto dei Duran Pallett? Alle donne non bastano i cessi donna, quindi possono mettersi in coda anche ai cessi uomo. E’ la legge dei grandi numeri”.
“Grazie. Quindi, ricapitolando, dove posso orinare?”
“Nel cesso uomo, ma troverai anche donne. L’importante è che non caghi il cazzo?”
“Alle donne?”
“No, a me”.
Mi metto in coda quindi a un cesso uomo con diverse donne in coda davanti a me e ad altri uomini perplessi. Non so se siete pratici del Forum, ma i cessi uomo sono composti da due cessi chiusi e da cinque o sei orinatoi (standing pissing). A un certo punto tre donne bloccano la fila, aspettando che si liberino i due cessi chiusi. Nel frattempo la fila si ingrossa allo stesso ritmo della vescica di alcuni uomini poco pazienti che si chiedono perchè cazzo quelle tre beghine sono lì a chiacchierare sulla porta e bloccano venti uomi desiderosi di liberarsi di liquido organico.
Si aprono i cessi chiusi, le donne entrano e i maschi scalano. Davanti a me ho un ragioniere molto polite che esita a entrare, al che io mi affaccio e vedo sei pisciatoi liberi.
“Scusa amico, ma sono rotti?”.
“Mah, veramente io…”
“Ma cazzo, ma c’erano diciotto pisciatoi liberi!”, fa uno dietro di me. E un altro, che entra slacciandosi la patta: “Donne di merda!”
spandau1
Espletato il bisognino, mi assiepo sugli spalti. E’ un pubblico bellissimo, composto per il 70% da donne tra i 40 e i 55, per il 29% da uomini che accompagnano le suddette e per un 1% da alcune giovanissime, alcuni bambini, alcune settantenni e da Paolo Di Canio, che mi passa a un metro e io vorrei stringerli la mano nonostante le sue idee politiche a destra di Pol Pot, ma ha in mano birra e pop corn e manco glielo chiedo, peccato, io un selfie con Di Canio l’avrei fatto.
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Inizia il concerto tra gridolini di estasi. Il primo pezzo è seminuovo, il secondo invece è dei vecchi tempi, Higly Strung,  e si cominciano a vedere scene impressionanti, madri di famiglie e donne con incarichi importanti che cadono in deliquio e urlano come assatanate
“Taaaaaaaaaanyyyyyyyyyyyyyyyyyyy”
nonostante Tony pesi 40 kg più dei magici anni Ottanta. Il concerto scivola via  piacevole, gli Spandau sono invecchiati ma non sono scoppiati. Provo un momento di delusione quando Tony e Gary fanno una breve versione acustica di Gold, e io tra me e me dico: “Ma che cazzo, io volevo sentire la versione vera, Gold! ta-ta ta-ta ta-ta ta-ta, Steve Norman che suona i bonghi, e che cazzo Tony, cos’è questa mosceria, non sono mica una ex-sciacquetta come queste qui, non mi puoi abbindolare, ho addirittura difeso il cesso uomo da decine di donne per essere qui”.
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Il climax sale, a ogni pezzo dei vecchi tempi viene giù il Forum e dagli spalti cadono oggetti inquietanti: reggiseni, kit per il trucco, kit per il botox, un test di gravidanza e un referto di una ecografia transvaginale. Il reggiseno, dopo alcuni passaggi, arriva a Tony che lo appende alla batteria di quel bifolco di cui non ricordo mai il nome. Quando cantano True, i loro volti appaiono sul maxischermo e sono volti rilassati, compiaciuti, contenti. Anvedi, gli Spandau sono diventati simpatici con l’età, e questi inglesotti avviati alla sessantina fanno il loro lavoro con onestà e passione, sembrano quei vecchi campioni che hanno perso lo scatto ma non la tecnica, e nemmeno la voce, Tony, però fai un fioretto, mangia meno, bevi meno, qui siamo tutti preoccupati per te. E prima della fine mi fanno anche la vera Gold, ta-ta ta-ta ta-ta ta-ta, grazie, c’ero rimasto così male, evvvvaaaai, uhhhhhhhhh, Taaaaaaaaaaanyyyyy.
“Non stai bene?”
“No scusa, ho avuto un attimo di debolezza”.
Poi tornano per i bis, Through the barricades, uhhhhhhhhhhh, alla fine hanno suonato due ore piene, no, per dire, le fregature le ho prese in altre occasioni, mica dai miei amiconi Spandau. Fine, applausi, arrivederci e grazie. Mi reco al parcheggio sotto una leggera pioggia e immerso in un serpentone di gente serena. Ah, c’era coda ai cessi anche dopo il concerto: quando c’è molta figa e molta gente di una certa età bisogna rinforzare i cessi, io spero che al Forum abbiano  preso nota. E’ così che ci presentiamo all’Expo?
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