Vivo ancora di rendita sull’endorsement di Cassano: è in qualità di blogghe, infatti, che vengo invitato a una conferenza stampa alto di gamma nella sede dell’Inter, e quindi lascio Pavia per recarmi a Milano con il cuore colmo di gioia e trepidazione. Arrivato all’arcinoto parcheggio di Anorthosis Famagosta, vengo accolto da un cartello luminoso con la scritta “COMPLETO”, che in altri momenti mi avrebbe gettato nella più cupa costernazione, e in altri momenti ancora avrei interpretato come un preciso segno del destino prima di effettuare un’inversione a U e tirare giù qualche santo.
Ma non era uno di quei momenti.
Il blogghe è atteso in corso Vittorio Emanuele e no, no!, non può tornare a casa. Sei al completo, Famagosta del mio cazzo? E io vado avanti. Sgommata tipo James Bond sulla Nomentana, derapata al semaforo, impennata alla rotonda e mi trovo nei pressi della fermata di Romolo, dove con un gran culo trovo posto on the road. Ce la posso fare. Mentre corro mando un messaggio al mio amico Nick Rhodes, “Sono in fottuto ritardo ma arrivo, monscerì”, e mi calo nelle viscere di Milano.
Esco in piazza Duomo, corro sotto una leggera pioggia verso il rutilante mondo di corso Vittorio Emanuele dove, con mio enorme scuorno, mi accorgo che non ci sono i numeri civici. No, poi ci credo che Pisapia si dimette: questa città è una giungla. Dopo settecento vetrine di abbigliamento, noto un portone e uno stemma amico sul petto di un uomo che presidia la hall.
“Arghhhh, non chiudere!”
ululo a una persona sconosciuta, che mi fissa spaventato come se avesse visto lo yeti uscire da Zara. Raggiungo l’uomo con lo stemma amico, che mi accoglie e mi scorta verso la meta tanto agognata. C’è una porta a vetri con scritto Inter, si apre e si entra nell’Inter. Nell’Inter! Vorrei tanto rotolarmi sulla moquette ma non posso. Ora, capisci ammè, sono le 13.05, forse 13.06, sono stato protagonista di quattro miracoli nel percorso (trovare una nuova fermata del metrò al primo colpo, trovare posto per la macchina, prendere la metro al volo in due fermate) e potrei ritenermi più che soddisfatto. La conferenza stampa è fissata per le 13 e quindi figuriamoci se non c’è il quarto d’ora accademico, ahhhhh jamme, traaaaaanqui, dobbiamo ancora iniziare, prenditi un caffè, figuuuuuuurati, mancano ancora dieci colleghi, a casa tutto bene? Cioè, potrei addirittura essere in anticipo.
No.
Potevo esserlo in un’altra vita. Ora il management dell’Inter è tutto inglese e la conferenza stampa è iniziata alle 13:00:00, con telefonata a Greenwich per sapere se l’orologio era in bolla. Così, quando aprono la porta della sala del board, dove tutti stanno già ascoltando il Ceo (rumore di tuoni), ecco, in quell’istante, in quel preciso istante, quando la porta fa un leggerissimo click e si apre, e mi cacciano dentro con un gentilissimo calcio in culo, ecco, in quel momento
tutti guardano me.
Mi guarda Bolingbroke che sta parlando, mi guarda Zanetti, mi guarda Claire Lewis, mi guarda Garth, mi guarda l’intero ufficio stampa, mi guarda l’interprete, mi guardano tutti gli altri. E mi guarda Nick Rhodes, uno sguardo di affetto e di prostrazione insieme, tipo quando un padre guarda un figlio che ha appena fatto una cazzata, tipo mettere il diesel al posto della benzina o accendere fuochi d’artificio in casa o mettere incinta un’attricetta, e mi lancia un’occhiata di cui inequivocabilmente colgo il senso:
“Ma tu dimmi, è questa l’ora di arrivare?, noi qui siamo precisi, mica come voi a Pavia, santa madonna, cos’hai nel cervello, una nutria?, qui non metti più piede, ho già fatto affiggere la tua foto all’ingresso tra gli indesiderati, esattamente in mezzo tra quelle di Moggi e di Comandini”.
Comunque, la conferenza stampa subisce per causa mia un’interruzione di circa 7 millisecondi – perchè ormai sono tutti precisi, mica come prima – e io mi rassereno. Mi indicano la mia sedia, è davanti a Scarpini e di fianco al buffet, e questo è un colpo basso per uno che è a dieta da cinque giorni. Ascolto i dirigenti parlare sotto l’effetto di un effluvio di tramezzini e insaccati, e temo il momento – perchè so, date le condizioni, che potrebbe arrivare, e che non potrei fare nulla per fermarlo – in cui mi alzerò, mi straccerò la camicia tipo Hulk e afferrerò 17 panini e me li caccerò in bocca uno dietro l’altro come Poldo Sbaffini dopo aver gridato
“Via la libertà, viva l’Inter, abbasso le diete, Juve merda”.
Per fortuna la conferenza stampa finisce in tempo. Mentre la gente è impegnata nei convenevoli, io ingoio un panino al prosciutto senza nemmeno masticarlo.
Capisco, nel frattempo, che nessuno ce l’ha con me per quella storiaccia del ritardo, che sono in un luogo amico, anzi, sono proprio in paradiso, vedo milioni di coppe attraverso la vetrata, vedo la storia, vedo Nick che mi sorride, e vedo il direttore commerciale che viene verso di me e mi dice
“Nice to meet you!”
e a me non viene la risposta, ma solo un largo sorriso. E quindi, senza proferire verbo, gli stringo la mano con un inchino che manco Nagatomo.
Poi passa la direttrice marketing, che mi saluta in italiano e io – che ero pronto a rispondere in inglese – resetto velocemente e rispondo a tono. In un attimo di distrazione generale, mi defilo un attimo e ingoio un panino pomodoro e mozzarella. Arriva Nick, molto cordiale, quattro chiacchiere, che armonia, che comunanza!, ormai sono perfettamente a mio agio. E infatti corrompo la Sabine e andiamo a farci le foto nella sala delle coppe come due studenti in gita.
Quando torno nella sala del board a riprendere la giacca, trovo Nick e Claire. “Ti presento Roberto Torti, è un noto blogghe“. E il direttore marketing mi allunga deliziosamente la mano per una ri-presentazione, questa volta preceduta dall’introduzione very cool di Nick. “Davvero?”, fa lei. E io, ciondolando il braccio tipo Gene Kelly: “Ma no, è lui che mi vuole bene”. Nick rincara la dose: “No no, è uno molto seguito”. “Devo avere paura?”, mi fa la lady. E io, “Ma nooooo”, e anche Nick le dice “Ma noooo, poi è uno che ci mette molta ironia”, e lei mi sorride e io anche, sorridiamo tutti, e Nick la prende sottobraccio e la porta via, verso un’altra stanza, in un altro luogo dell’Inter, e capto che le sta dicendo altre cose su di me, tra le quali mi sembra di cogliere la parola “cialtrone”.
Esco, prendo due metro ancora al volo – 4 su 4, record all time mai più migliorabile – e in mezz’ora sono a Pavia. Ma ci pensate a che culo abbiamo a essere interisti?
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