
Parliamone serenamente, senza disfattismi nè discese dal carro. Due partite di agosto valgono quel che valgono (in scala da 0 a 10, forse 1), ne mancano altre 36, nessuna squadra sta facendo niente di speciale, a parte avere culo (e noi ieri proprio non ne abbiamo avuto: in scala da 0 a 10, direi 0). Però parliamone.
La frasi di Chivu in conferenza stampa a San Siro dopo la sconfitta con l’Udinese – bisogna specchiarsi meno e giocare più in verticale, i ragazzi vengono da anni di abitudini che non si cancellano in una settimana, la responsabilità è mia ma bisogna trovare qualche stimolo in più, devo realizzare le mie idee con quelli che ho perché altre soluzioni non ce ne sono – colpiscono parecchio. Un po’ troppo presto, per un allenatore, essere così frustrati. Per un allenatore nuovo, poi. Ma Chivu è un allenatore nuovo molto sui generis: in realtà è all’Inter da tre mesi, protagonista di un cambio della guardia inedito nella nostra storia, ed è interista da un pezzo. Quindi sa di cosa parla. Passata la fase di brutale adattamento – arrivare sostanzialmente da ripiego a gestire un Mondiale per club al termine di una stagione massacrante conclusa con uno 0-5 in finale di Champions – adesso per lui è iniziato il lavoro vero. E il lavoro vero non dev’essere rose e fiori.
Intanto, diamoci tutti una sana svegliata. Ci siamo resi conto in questi 15 mesi della differenza tra l’avere come proprietario un Moratti/Pellegrini, uno sceicco o un fondo? Il fondo ci ha illusi facendo finta di avere un cuore, mettendo Marotta sulla poltrona di presidente invece di un John Smith qualunque. Ma è un fondo. Fa gli affari suoi, cercando di fare quadrare i conti con parametri che non sono i nostri da tifosotti. L’anno scorso ha fatto un mercato totally fake (ma inebriati com’eravamo non ce ne siamo accorti) e quest’anno ha fatto un mercato quasi fake, svecchiando la panca ma non acquistando un titolare che è uno (possiamo sperare che lo diventi Sucic, ma con calma).
Devo realizzare le mie idee con quelli che ho perché altre soluzioni non ce ne sono, ragazzi, è una frase che pesa come un macigno sui nostri sogni da persone limitate nel cervello, gente che vorrebbe sempre vincere scudetti e coppe, battere la Juve e il Milan, quelle robe lì. Quelli che ha sono dei signori giocatori che giocano un certo tipo di calcio da un tot di anni, e lui vorrebbe fare altro. Ma altro cosa? Gli hanno comprato cinque ragazzi e il resto sono quelli di prima.
A proposito. Siamo soliti sentire dire che l’Inter si è rinnovata poco e la squadra titolare ha un anno in più. Ma la faccenda è un po’ più complessa, nell’ottica di Chivu e del minimo rinnovamento che gli piacerebbe apportare. Dumfries, De Vrij, Lautaro, Çalhanoğlu, Barella, Dimarco, Darmian e Bastoni (totale: 8) sono i reduci della prima stagione di Inzaghi, cui possiamo aggiungere gli ultratrentenni Acerbi e Mkhitaryan arrivati l’estate successiva (totale: 10). Questa squadra non ha un anno in più, ma quattro.
Al di là della carta d’identità – perché i nostri vecchietti hanno fatto cose mirabolanti e inscalfibili nelle nostre menti bacate – pretendere un rinnovamento in queste condizioni è piuttosto temerario. Con un allenatore nuovo, e una squadra oggettivamente consunta dopo quattro stagioni inzaghiane in cui tutti si sono spremuti come limoni, forse si doveva osare un po’ di più. Inter-Udinese fa testo fino a un certo punto: la partita del 31 agosto di una squadra reduce da un’estate del tutto anomala e da una preparazione molto breve rispetto a 18 avversarie su 19, ecco, conta quel che conta. Soprattutto se dall’altra parte c’è una squadra fisica e cazzuta con nulla da perdere e tutto da guadagnare. Ok, ma a lungo termine? O anche a breve termine, dal 13 settembre, quando la stagione inizierà davvero e avremo la Juve e poi la Champions?
A me ha disturbato parecchio vedere il turco in condizioni (anche motivazionali?) molto precarie, il bisteccone fatuo come l’avevamo lasciato, vedere sprecare metà dei cross e dei corner come se non ne avessimo tirato uno negli ultimi sei mesi, incaponirsi in iniziative sbagliate. Poi mi ha disturbato ripensare al mercato, mettendo le cose in fila.
Bene il mercato d’uscita, fino a Zalewski: decisione incomprensibile, ma poi realizzi che siamo di proprietà di un fondo e allora la capisci – non hai venduto Yamal ma comunque l’unico giocatore in grado di sparigliare le cose, però era una plusvalenza che camminava e quindi zitti. Il mercato in entrata, boh? Bene (concettualmente) Sucic e Bonny, Pio era già tuo, Luis e Diouf sono due scommesse con poco senso tecnico, almeno allo stato delle cose – ma poi realizzi che siamo di proprietà di un fondo che dice di voler puntare sui giovani, magari un po’ a caso. Un mese ad assistere alla penosa trattativa Lookman, mentre i possibili colpi (da Leoni fino a Solet, cazzo) sfumavano uno a uno. Dovevamo prendere un difensore, non l’abbiamo preso. Non sarebbe stato male prendere un altro attaccante, non l’abbiamo preso. Potevamo benissimo non prendere un altro centrocampista, l’abbiamo preso. Va bene, certo. Diciamo che non va benissimo.
E Chivu? Con quella modalità da sergente dell’Est, ci ha messo la faccia in modo fragoroso. Che può anche andar bene, per carità. Certo, il 31 agosto è dannatamente prematuro anche solo accennare a questione così spinose e in totale evoluzione. Sperando che sia un vigoroso tentativo di creare un po’ di pathos positivo nella truppa, e non il gesto un po’ disperato di uno condannato a lottare duro per restare tra gli eletti sapendo che sarà il primo a cui scaricheranno tutte le colpe, comprese le molte non sue.