Non moriremo tutti

Prima che i mugugni salgano troppo di volume, mi affretto a ricordare che negli ultimi 30 giorni (dal 16 febbraio al 17 marzo) abbiamo giocato 8 partite, di cui 2 di Champions, e va riconosciuto all’Inter almeno l’alibi della stanchezza (quattro giorni fa 120′ più rigori). Nella frenesia della nostra stagione, e nella frenesia delle nostre aspettative, ci siamo persino dimenticati degli snodi di calendario e del tour de force che ci è toccato affrontare a cavallo di febbraio e marzo. E che questo pareggio col Napoli arriva dopo 10 vittorie consecutive in campionato, dove non perdiamo da quasi sei mesi.

Era per dire che no, non moriremo tutti dopo un 1-1.

C’era da aspettarsi una squadra stanca. Il pericolo era semmai che la squadra potesse essere demotivata dopo la sconfitta di Madrid, e invece no, l’Inter sarà anche stata poco brillante ma non passiva, e anzi ha tentato di vincere fino alla fine. Ha avuto qualche difficoltà perché la stanchezza ha tolto qualcosina a tutti. Gli attaccanti sono stanchi (Thuram ha vissuto una partita un po’ arnautoviciana), i centrocampisti sono stanchi (anche se Barella regge bene), i difensori sono stanchi (e da una loro leggerezza è arrivato il gol). La pausa per le nazionali, per chi se la può permettere, potrebbe avere un suo perché.

Comunque, sento che non moriremo tutti.

Per la seconda volta negli ultimi due mesi non aumentiamo il vantaggio sulla seconda, per la prima volta negli ultimi due mesi, anzi, perdiamo due punti. Io, comunque, direi che 14 di vantaggio sono ancora una quota che ci può consentire di vivere serenamente nelle prossime settimane, tanto più che mancano 9 partite alla fine, non 99.

Dopodichè, di qualcosina è giusto preoccuparsi. Nelle ultime 4 partite abbiamo fatto un solo clean sheet, nelle ultime due partite abbiamo preso gol del finale, cosa che non accadeva da mesi. Ma a me viene da pensare solo alla stanchezza, che ti toglie lucidità e ti toglie qualche sicurezza. L’Inter ha giocato bene anche col Napoli, se il primo tempo fosse finito 2-0 non ci sarebbe stato niente da dire. Nel secondo tempo la squadra è calata perché è normale: 8 partite in un mese, qualche infortunio che ha interrotto certe rotazioni, la brillantezza che cala col passare dei minuti.

Inter: punti 76, 24 vittorie, 4 pareggi, 1 sconfitta, 71 gol fatti e 14 subiti. Ho visto anche classifiche peggiori. Da quando seguo il calcio, tipo il 99,9%. Buonanotte, forza Inter.

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Spreco

L’Inter – questa Inter – fuori agli ottavi di Champions è uno spreco, per noi e per il calcio. Il concetto di spreco, del resto, colora la doppia sfida con l’Atletico Madrid: al Metropolitano abbiamo pagato carissimi gli sprechi dell’andata e poi quelli di stasera, perchè di occasioni per chiudere la partita ne abbiamo avute, fino al secondo tempo supplementare. Invece passa l’Atletico, all’ennesima impresa di coppa nel loro stadio-bolgia e con la loro solita garra che li rende da molto tempo la mina vagante della Champions. Anche loro hanno sprecato, anche loro ci hanno graziato: in questo senso, il verdetto ai rigori è stato la logica conseguenza di una partita che entrambe hanno tentato in tutti i modi vincere, ma anche di perdere. E noi però i rigori non li sappiamo tirare, abbiamo un rigorista eccelso e dei vice molto inaffidabili. La dovevamo chiudere prima, ai rigori non si partiva da 50/50 ma da 75/25 per loro. Purtroppo è andata proprio così.

Ascolta “Vogliamoci bene” su Spreaker.

Non avevamo permesso a nessuna squadra quest’anno di trattarci così: le statistiche parlano di 17 tiri subiti di cui 9 nello specchio della porta, che per una squadra abituata ai clean sheet è la rappresentazione di un incubo. La fase difensiva non è stata ai soliti livelli, i due gol presi sono frutto di errori clamorosi, gli abbiamo concesso un po’ troppa iniziativa e parecchie altre occasioni. Siccome non potevamo che aspettarci questo, da un ritorno di coppa nella tana di una squadra che si giocava tutta la stagione, sembra quasi che non siamo riusciti a sintonizzarci con la partita. Abbiamo pensato che il modo migliore per cavarcela sarebbe stato essere il più possibile la solita Inter, ma la bellezza comporta dei rischi: forse era il caso di usare meno il fioretto e più il randello.

La partita l’hanno decisa i cambi. Simeone ha messo giocatori che gli hanno tenuto alto il livello, o forse glielo hanno aumentato (Depay non segnava in Champions da 4 anni, questo è anche culo), Inzaghi stavolta dalla panchina ha avuto poco o niente. Gli è mancato soprattutto Carlos Augusto, uno che aveva messo sempre: stavolta sulle fasce siamo andati in calando. Mettici la stanchezza, mettici un po’ di disattenzione: non è certo stata la migliore Inter della stagione, eppure avremmo potuto tranquillamente passare il turno. Dieci tiri, almeno 5 dei quali sono gol mancati. Peccato.

Sei mesi fa eravamo tutti concordi nel dire che l’obiettivo stagionale era la seconda stella e chi se ne frega della Champions. Poi ci siamo accorti cammin facendo che l’Inter 2023/24 è una squadra in stato di grazia e che non può precludersi nessun obiettivo: a cominciare proprio dalla Champions, visto che le cifre stagionali ci posizionano tra il meglio d’Europa. Qui sta la vera rabbia per questa maledetta partita di Madrid: questa stagione di gol e di bellezza finirà con un bottino che rischierà di andarci stretto. Forza Inter, la Champions l’hai buttata per eccesso di confidenza, ma non finisce tutto qui.

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Fare tredici

Non so se anche per voi è la stessa cosa, ma non è che ci si annoia a vincere sempre. Tipo tredici volte di fila, per dire. Ogni volta c’è qualcosa di nuovo o di notevole di cui prendere nota, alzando di una tacca il livello delle cose che ci sono piaciute durante questa stagione per la quale non ci sono più aggettivi (non è vero, di aggettivi ce ne sono ancora, ma sono prematuri).

Ascolta “Sorpresa e stallatico” su Spreaker.

A Bologna, per esempio, abbiamo segnato su azione manovrata conclusa con un gol in tuffo di testa di un difensore centrale, su cross di un altro difensore centrale. Cioè, un clamoroso spottone a quanto è forte l’Inter 2023/24 di Simone Inzaghi, una squadra che attacca con nove uomini e qualche volta dieci. E che se attacca il difensore centrale di sinistra (“terzo” non mi piace, “braccetto” non lo scriverò mai nemmeno sotto minaccia di waterboarding) può anche darsi che il suo cross lo inzucchi il difensore laterale di destra, riproducendo alla perfezione il gol di Thuram in Inter-Fiorentina.

Tutto questo nel primo tempo, in cui siamo stati belli come al solito. Nel secondo invece abbiamo sofferto di brutto contro la squadra che nelle due precedenti partite stagionali ci aveva creato molti problemi e che finora se n’era andata in giro a vantarsi di essere l’unica squadra a restare imbattuta con noi per ben due volte in Italia (oltre frontiera lo può dire anche la Real Sociedad, mentre prima o poi sistemeremo il Sassuolo). Sei partite in 24 giorni sono state un bel tour de force, che non è ancora finito: dopo Atletico e Napoli ne avremo giocate 8 in 32 giorni e domenica prossima, prima della pausa per le nazionali, potremo finalmente tirare le somme di questo mese intensissimo che avrà praticamente deciso quasi tutto per il campionato e – lo vedremo mercoledì – il futuro prossimo per la Champions.

Ascolta “Lo sciopero della corrida” su Spreaker.

Ci sta tutto: ci sta la stanchezza, ci sta la tensione che si allenta quando hai in testa altro, e ci sta purtroppo anche vedere i giocatori infortunarsi a turno e con sempre maggiore frequenza, perché le fatiche si assommano e non c’è mai tregua. Del resto, ogni difficoltà quest’anno l’Inter la sta trasformando in risorsa. Anche gli infortuni: superati grazie alla disinvoltura a volte incredibile con cui i rincalzi hanno sostituto i titolari, in una modalità mai vista negli ultimi anni in cui abbiamo sempre maledetto la panchina corta. La nostra è una panchina nè lunga nè corta: è perfetta.

L’Inter dell’anno scorso, nella stesse condizioni (cioè alla vigilia di una partita fondamentale in Champions), a Bologna avrebbe perso di sicuro. L’Inter di quest’anno ha vinto contro una bella squadra, che l’ha messa alle corde nel secondo tempo. L’Inter ha vinto e non ha subito gol, per la milionesima volta quest’anno. L’Inter è un capolavoro anche quando non è bellissima. Sto finendo gli aggettivi, ma ne ho ancora due o tre e me li devo far bastare.

(per l’angolo Podcast, giunto all’episodio #50, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Siete tifosi della squadra migliore dell’universo: cosa volete di più? Comunque ci sono dibattiti aperti su temi fondamentali del tipo: quale orario preferite per le partite? E quale invece vi fa cagare?)

(il podcast , oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Vabbe’, non discuto le scelte di auolesionismo)

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Quindici dodici

Grazie Inter per questo suggestivo omaggio a Settore: siccome compio gli anni il 15/12, non posso fare a meno di notare che la vittoria n. 12 (su 12 partite, ovvio) del 2024 porta a 15 i punti di vantaggio sulla Juve. E nel notare questa coincidenza numerica già mi intristisco: cioè, quando mai mi ricapiterà? Ve lo spoilero: mai.

Per superare la malinconia, penso con divertimento che nelle ultime 24 ore Inter e Juve hanno provato a cambiare l’andazzo del loro campionato. Questa sera l’Inter giocando un po’ meno bene del solito, ieri sera la Juve giocando un po’ meglio del solito.

Ascolta “Ifix Tcen Tcen!” su Spreaker.

In ordine di tempo, parliamo della Juve. Che tenerezza. I giornali questa mattina celebravano il fatto ce la Juve avesse creato nel corso della partita tipo tre-quattro palle gol (wow!) e che nonostante tutto avesse perso, come sa essere ingiusto il calcio. Nessuno ha fatto notare come la Juve avesse in precedenza vinto una decina di partite facendo letteralmente cagare e che resti comunque ampiamente in debito nel rapporto buon calcio prodotto/punti conquistati (sono secondi in classifica, praticamente dei miracolati). Se poi ripensiamo che il 21 gennaio…

Dunque, il 21 gennaio si disputava la 21esima giornata. L’Inter era in Arabia mentre la Juve vinceva a Lecce. Classifica: Juve 52, Inter 51 (-1). A detta di tutti sembrava fatta. Per loro, dico.

Il 4 marzo (43 giorni dopo) si completava la 27esima giornata. Classifica: Inter 72, Juve 57. In 6 giornate loro hanno fatto 5 punti, noi in 6+1 giornate ne abbiamo fatti 21. Cioè 21 a 5. Sembra il risultato di una di quelle partite a ping pong in spiaggia in cui ti si presenta uno che dice

“Ehi bello, da ragazzo ero campione provinciale”

e poi perde 21 a 5 facendo tipo 20 unforced errors e dice

“Ehm, erano tipo 27 anni che non giocavo”

ecco, ‘ste robe qui. E la sera in cui cominci a sentirti un po’ stanchino e la deconcentrazione avanza tra le tue sinapsi (cioè, noi facciamo futbol bailado e i nostri avversari più forti fanno 5 punti in 6 partite: c’è sproporzione), ecco, in una sera del genere in cui sensazioni umane – la stanchezza che avanza, la fame che diminuisce – prendono possesso di te, sensazioni che minano la tua brillantezza e la tua feroce determinazione a vincere,

eppure vinci lo stesso,

capisci che è proprio l’anno buono. Qualche lampo di grande calcio così, a memoria, in automatico, di default, incastonato qua e là in una serata dolcemente imperfetta (10 tiri, 63% di possesso: queste sono le nostre serate imperfette, per dire): un segno di forza anche questo. Ma con più fatica. Abbiamo forse toccato l’acme con l’Atalanta, stasera è iniziata la discesa e se fossi uno che scommette, ecco, andrei alla Snai a scommettere contro l’Inter per il match di Bologna. La nostra serie forse si è già conclusa, la partita più importante della stagione (non essendoci più avversari in Italia) diventa Atletico-Inter e sabato sera a Bologna ci sarà un’Inter che con 15 punti di vantaggio sulla seconda si toglierà il lusso di pensare ad altro, perché è in Europa adesso che dobbiamo mettere a frutto tutto ‘sto meraviglioso bendiddio.


(per l’angolo Podcast, giunto all’episodio #49 e ormai avviato all’uovo di Pasqua (ricordo con orgoglio che potevamo non arrivare nemmeno al panettone), vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Siete tifosi della squadra migliore dell’universo: cosa volete di più?

(il podcast , oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Cosa avrete mai da fare? Non mi dite che guardate la Juve: non la guardano più nemmeno gli juventini)

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Aguas de março

Mentre sfollavo da San Siro tra gente che non smetteva di cantare, in un gasamento generale che data la stagione – febbraio – più che raro tenderei a definire unico, ho fatto una specie di fioretto: “Basta, non scrivo più di Inter fino a marzo”. Cioè, you know, era una specie di battuta no? E’ il 28 febbraio, torno a casa e intanto si farà mezzanotte e bòn. Non mi ricordavo più che c’era di mezzo anche il 29, ma l’ho preso come un segnale. In fondo, non ci sono (quasi) più parole per questa Inter.

Gennaio doveva essere un mese critico: 5 partite, vinte tutte, Supercoppa in bacheca. Febbraio doveva essere un mese moooolto critico: 6 partite, vinte tutte, le ultime quattro con 4 gol a partita, le ultime tre tutte 4-0. Vinte tutte: scontri diretti, scontri normali, campionato, Supercoppa, Champions, tranelli, trabocchetti, tutte.

Ora è marzo – quindi posso scrivere – e piove. Mi è venuta in mente la meravigliosa Aguas de março, che cantata nell’emisfero giusto – quello del Brasile – è una canzone che annuncia l’inverno, mentre noi andiamo verso la primavera e se non fosse per questo tempo di merda ti si aprirebbe il cuore, ma vabbe’, è davvero un momento da bossa nova. Cioè, posso spiegare: io in questo momento sto ascoltando Aguas de março e guardo la classifica della serie A: É um belo horizonte, è come se fuori splendesse il sole, giuro.

Ascolta “Inter in the Sky with Diamonds” su Spreaker.

Marzo sarà una roba da andar giù di testa, ve lo spoilero. Solo quattro partite (già sono in astinenza preventiva) e tutte concentrate nei primi 17 giorni del calendario (e, tra di loro, in soli 13 giorni dalla prima all’ultima). Dal 18 al 31 invece niente, una roba inaccettabile, un vuoto riempito (si fa per dire) da due amichevoli della Nazionale negli Usa con Venezuela ed Ecuador, la solita storia, noi che pensiamo che siano due settimane di pausa e invece ci infilano partite su partite, che la nostra internazionalissima rosa affronterà qua e là nel mondo nel disinteresse generale, tranne il nostro.

I muscoli iniziano a essere parecchio affaticati, ecco, c’è sempre più gente che esce toccandosi adduttori o flessori, la lista degli indisponibili è una specie di fisarmonica. Questa Inter ci ha esaltato anche in questo, nell’affrontare emergenze o turnover con una tale disinvoltura da neutralizzare ogni volta le gufate altrui. Il nostro stato di grazia è più forte di qualsiasi altra cosa. Giochi questo o giochi quell’altro, avanziamo a quattro gol per volta. Affronteremo con calma questo tema, che va maneggiato con cura e con un pochino di pudore, ma forse davvero un’Inter così non si è mai vista.

A marzo ci tocca il Genoa (lunedì 4), il Bologna (sabato 9), Atletico Madrid (mercoledì 13) e Napoli (domenica 17), due in casa e due fuori, quattro partite delicate (ma quale partita non è delicata), quella di Madrid su tutte, ma le tre di campionato non sono banali. Sono ormai sei mesi che ci diciamo che la prossima è difficile, che arriva un mini ciclo, che adesso sono cazzi, che gli altri non mollano eccetera. Boh, con la Juve a -12 e il Milan a -16, addì 1 marzo 2024, la cosa più saggia da fare è metter su Aguas de março e smettere di leggere la classifica: non bisogna diventare ciechi proprio adesso che arriva il bello.


(per l’angolo Podcast, giunto all’episodio #48 e avviato all’uovo di Pasqua (ricordo con orgoglio che potevamo non arrivare nemmeno al panettone), vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Siete tifosi della squadra migliore dell’universo: cosa volete di più?

(il podcast , oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Cosa avrete mai da fare? Guardate di nascosto le repliche della Juve?)

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Garibaldi

Doverosa premessa: a me della cosiddetta cattiva stampa interessa sì e no. Sì quando la cattiva stampa è mendace, ingannevole, disonesta, dolosamente partigiana: ecco, questo non va bene (tipo la gomitata di Bastoni, per limitarsi a un caso recente e tutto sommato marginale) e allora è giusto discuterne. No quando la cattiva stampa, figlia di scelte editoriali cattive o bizzarre, non fa male a nessuno. Qui, semmai, si esercita un diritto di critica (siamo in democrazia: vale per me, voi e per tutti i direttori del mondo). Oppure ci si diverte. Tipo oggi.

Oggi Gazza e Corriere dello Sport hanno fatto due prime pagine parecchio diverse, pur parlando della stessa giornata di campionato. La Gazza è stata alla verità dei fatti: l’Inter di ieri – incompleta, turnoverizzata, potenzialmente distratta da altri pensieri che non fossero il Lecce – in effetti ha fatto paura e ha respinto ogni tentativo di rimonta altrui vincendo 4-0 in trasferta, decima vittoria di fila nel 2024, terza quaterna consecutiva in campionato. Fa paura anche a me, l’Inter. Il Corriere dello Sport, il cui baricentro di interesse calcistico dovrebbe peraltro essere sotto il Po, ha deciso che la notizia di ieri erano i mille punti di Allegri in serie A (anzi, 1.002: suona pure male).

Dovessi fare un paragone con il tennis, è come se il giorno che Sinner vince il suo primo Slam tu mi fai il titolone sulla millesima palla corta di Sonego.

Ma io credo di sapere com’è andata: Zazzaroni organizza tutto molto prima (infatti è lui stesso, il direttore, a scrivere il fondo su Allegri) (“Allegri come Garibaldi”, i mille, you know), e decide che la notizia, in una giornata di campionato senza big match, sarà comunque quella. Una scelta, bizzarra ma una scelta.

Ascolta “Orio poco Serio” su Spreaker.

Certo, i punti li deve fare. Il Frosinone fa passare a Zazza un paio d’ore atroci, rischiando di mandare tutto il suo bel piano all’aria (se anche avessero solo pareggiato – bastava un punto ad Allegri per fare mille – tutta l’enfasi sarebbe stata più che grottesca, direi patologica). Poi Rugani segna al 95′, sono le due e mezza del pomeriggio, c’è tutta una giornata davanti per cazzeggiare, Allegri ha passato quota mille e bòn, la prima pagina è fatta. Un’aggiustatina al fondo – dando un peso eccessivo a una vittoria col Frosinone al 95′, manco fosse una semifinale di Champions – e via.

Dispiace solo per i lettori del Corriere dello Sport, cui il loro giornale preferito rappresenta una strana realtà, in cui la squadra che sta ammazzando il campionato viene relegata in un sottotitolo cinque volte più piccolo del titolone di Allegri per un record che, di solito, vale il box dentro a un pezzo, non certo una prima pagina. Sembra uno di quei Gp di Formula 1 in cui Verstappen non viene mai inquadrato perchè dopo due giri è già troppo avanti e lo si vede un’oretta e mezzo dopo sul podio, che quasi ti viene da chiedere se davvero c’era anche lui in una gara in cui ti hanno fatto vedere tutti i cambi gomme e gli scazzi tra Stroll e Magnussen per il tredicesimo posto.

In questo, i giornali li capisco. Bisogna tenere alto l’interesse di un campionato dove la protagonista è una sola e le altre diciannove fanno e disfano. Anche la Gazza, disperatamente, ci ha provato trovando un record per il povero Vlahovic: nel 2024 ha segnato più di Haaland e Mpabbè. Beh, sapete come si fa, no? Dai una controllata ai vari campionati europei, cerchi tra i cannonieri quelli che stanno segnando poco, tipo Haaland che non ha fatto gol per un mese e mezzo, e ci fai la tabellina propiziatoria.

“Scusa, ma nel 2023 com’era andata? No, chiedo per un amico”.

Nel 2023? Ecco, i soliti malpensanti. Nel 2023 Vlahovic non aveva i soldi per prendere il taxi, la tintoria non gli aveva portato il tight, era crollata la casa, c’è stato un terremoto, una tremenda inondazione, le cavallette!

“Ma quando pubblicate la tabella ultimi mesi 2023 + primi due mesi 2024? Scusa, ma il mio amico rompe il cazzo”.

Vabbe’, ma chi se ne frega? Lautaro ce l’abbiamo noi. Comunque anche la Gazza ha dedicato 5 pagine a Juve-Frosinone: quasi mi sto convincendo che sia stato un partitone. Del resto tra gente che si abbracciava tipo catasta umana e altri che piangevano, forse su Juve-Frosinone ci stanno nascondendo qualcosa. Oppure – se lo dicono i giornali – siamo noi che non capiamo una sega di pallone, uno sport sicuramente in declino se la Juve – la Juve! – è a meno 9 con asterisco.


(per l’angolo Podcast, giunto all’episodio #47, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Tenete conto che è pur sempre il podcast dell’interismo moderno e che l’Inter sta dominando la scena del calcio italiano, europeo e universale. Non vedo perché dovreste divagare) (ma se divagate va bene istéss)

(il podcast , oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Potrei considerarla come un’intrinseca adesione allo juventinismo)

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The sunshine family

Siccome ogni partita sembra aggiungere qualcosa alla narrazione di questa finora pazzesca stagione dell’Inter, di questa vittoria per 4-0 a Lecce magari non resterà traccia nei libri di storia e forse nemmeno nel racconto di questo campionato, eppure sembra l’acme dell’immensa positività sprigionata in questa stagione. Poteva essere una partita complicata, con la Juve che era tornata a vincere (di culo) e con un nostro accentuato turnover, e non lo è stata per niente. E’ la decima vittoria di fila nel 2024, la terza partita consecutiva con 4 gol segnati, il 22esimo clean sheet su 35 partite, il 100esimo (e il 101esimo) gol di Lautaro in serie A (Lautaro che ha fatto il suo record di gol in campionato con 13 partite ancora da giocare).

Siamo fortissimi. Siamo fortissimi tutti. Oggi l’Inter ha funzionato come se giocasse la formazione tipo, e invece ne mancavano sei all’inizio e poi ci sono stati i cambi e niente, abbiamo vinto 4-0 con una naturalezza e una facilità che ogni volta ci incanta, si giochi con la Juve o con il Lecce, con la Roma o con il Monza. Tutto ci viene facile.

Ascolta “Orio poco Serio” su Spreaker.

La foto dice molto. Siamo una squadra che sorride. Sì, certo, è facile sorridere quando tutto va bene. Ma in quest’Inter è vero anche il contrario: è facile andare bene quando tutti sorridono. C’è un’unità di intenti che a volte è strabiliante. Sorridono i titolarissimi e sorridono le riserve. Non c’è stata una sola volta in cui un giocatore subentrato lo abbia fatto con un minimo di sufficienza. Sorridono tutti: nello spogliatoio, in campo, alle feste di compleanno, sul treno, in aereo. Sorride Klaassen, che non gioca quasi mai. Sorride Frattesi quando esce ed entra Akinsanmiro, che sorride.

Questo è il capolavoro assoluto di Inzaghi. Tutti si sentono coinvolti e la squadra è un meccanismo che gira alla perfezione. Sta riuscendo ad avere il meglio da tutti: un classico segnale da anno buono, in cui però la mano dell’allenatore è evidente. Inzaghi merita questo scudetto forse più di tutti per essere stato il valore aggiunto di una stagione finora indimenticabile: ci ha riportati sul tetto d’Italia e di Europa, il campionato regalato due anni fa al Milan adesso può diventare solo un brutto ricordo. Il suo marchio è questa Inter, una delle più belle mai viste.

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Noi ci siamo

Salita al livello superiore, il livello Champions, l’Inter ha fatto l’Inter, che è la cosa che le riesce meglio. Ventunesimo clean sheet su 34 partite stagionali, quarto su 7 partite di Champions, l’Atletico Madrid non ha fatto un tiro nello specchio della porta. Però le cifre non raccontano il livello Champions, non raccontano la fatica di giocare contro squadre come l’Atletico – club che il livello Champions ce l’ha nel sangue, con un allenatore che in Champions ha 100 presenze in panca – e di tenere il loro ritmo, la diversa tensione, la necessità di una concentrazione sempre al massimo. La mentalità. E l’Inter ce l’ha, è evidente, ne dobbiamo andare orgogliosi.

Ascolta “Lo zio di Arnautovic” su Spreaker.

Poi vabbe’, siamo di fronte a una partita imperfetta, vinta con merito ma non con il risultato giusto, che doveva/poteva essere il 2-0 che non c’è stato. I gol si segnano e si sbagliano, Arnautovic c’è arrivato tre volte a tanto così prima di mettere quello decisivo: a mente fredda la sua può essere giudicata una gran partita, perchè in 45 minuti ha avuto 4 palle gol (una, poi, se l’è inventata lui) (fosse finita 0-0 sarei sicuramente meno conciliante, diciamo). E comunque che grande risposta oggi dai cambi, che hanno spostato nel secondo tempo l’equilibrio della partita. In fondo, abbiamo superato indenni una partita quasi dannosa di Calhanoglu e Mkhitaryan: l’Inter – tutta l’Inter – è a livello Champions.

Tra due settimane sarà un bell’esame, ma abbiamo i mezzi e la serenità giusta per affrontarlo. Speriamo che Thuram non si sia fatto nulla di grave, il resto è nelle nostre mani. La prima mezz’ora ci ha fatto assaggiare il livello Champions, poi l’Inter si è calata nel ruolo della squadra che è: la squadra che dopo mezz’ora si stufa di giocare a scacchi e le partite prova a vincerle. Avanti così, la strada è giusta. La palla è rotonda, ma la strada è giusta. Forza Inter.

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(per l’angolo Podcast, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Tenete conto che è pur sempre il podcast dell’interismo moderno e che l’Inter sta dominando la scena del calcio italiano, europeo e universale. Non vedo perché dovreste divagare) (ma se divagate va bene istéss)

(il podcast con 45 episodi ha inaspettatamente mangiato il panettone e punta dritto all’uovo di Pasqua e al Grammy categoria Rivelazione dell’anno. Oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. I vostri genitori hanno anche figli illuminati?)

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L’uomo che non c’era

Andy Brehme avrà sempre un posto nell’immaginario collettivo nerazzurro. Così come parleremo in eterno del sinistro di Corso, del baffo di Mazzola, del coast to coast di Berti, della rovesciata di Djorkaeff, della doppietta di Milito (seguono 200 altri esempi, tutti lucidamente scolpiti nelle nostre povere menti malate di Inter), Brehme resterà nei nostri cuori come uno dei migliori acquisti della storia nel rapporto qualità-prezzo-rendimento, forse uno dei top 5 di sempre prima dell’era dei parametri zero. Infilato dal Bayern nell’affare Matthaeus perché sbolognandocelo risolvevano un problema, *

*) una felice intuizione replicata 35 anni dopo con Pavard

si rivelò per noi l’uomo che non c’era. Il Trap – dopo la sòla Madjer tamponata con Diaz – fu felice di impiegare il terzo slot per lo straniero con un titolare della Germania Ovest certamente meno fascinoso di Lothar ma con una disponibilità tattica che gli risolse quei pochi problemi che aveva. Brehme – un clamoroso esempio di giocatore totalmente ambidestro – si impose a Milano come uno dei migliori terzini sinistri del mondo, giocando quattro ottime stagioni, almeno due formidabili (con il Mondiale di Italia ’90 di mezzo di cui fu superprotagonista, con tre gol compreso il rigore che decise la finale con l’Argentina) e spendendo da noi i suoi anni migliori. Nell’Inter dei record, Brehme fu una specie di uovo di Colombo. C’era una casella da riempire e la riempì lui, amplificando la resa di tutta la squadra.

Alla nascita del piccolo mito di Andy Brehme (quando Dimarco crossa bene, chi mai ci viene in mente?) ha contribuito il fatto che si è imposto da noi in un ruolo – anzi, forse IL ruolo – in cui negli anni a seguire avremmo visto più fenomeni da baraccone che campioni. Abbiamo avuto a fasi alterne grandi attaccanti, grandi centrocampisti, grandi difensori, grandi portieri. Sulle fasce il rapporto tra buoni/non buoni è molto più sbilanciato al negativo. Ogni volta che abbiamo visto grandi esterni vestire la nostra maglia è stata come un’epifania. Ogni volta che da San Siro, specialmente al primo arancio, non si alza un brusìo al primo stop sbagliato di un esterno, mi do un pizzicotto sulla guancia: “Oddio, sarà l’Eletto?”. Ogni tanto càpita. Con Brehme era capitato. Bruttarello, tracagnotto, eppure magnifico.

Ha avuto una vita sfortunata, una di quelle fasi post-agonistiche in cui qualche giocatore – un po’ per sfiga, un po’ per eccesso di generosità, un po’ per autodistruzione – finisce per perdersi, anche se il peggio sembrava ormai alle spalle. Però se n’è andato a 63 anni e non c’è cosa più crudele per uno che pensava di godersi gli ultimi anni in un altro modo. Era nato il 9 novembre, che è la data della caduta del Muro. Quel giorno compiva 29 anni ed era un giocatore dell’Inter (anche se fisicamente penso fosse in Germania, c’era la pausa per le nazionali). Ha giocato per due diverse Germanie, che è un po’ da supereroe. E’ stato un grandissimo esterno sinistro dell’Inter e anche questo, sì, è decisamente da supereroe.

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(per l’angolo Podcast, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Tenete conto che è pur sempre il podcast dell’interismo moderno e che l’Inter sta dominando la scena del calcio italiano, europeo e universale. Non vedo perché dovreste divagare) (ma se divagate va bene istéss)

(il podcast con 45 episodi ha inaspettatamente mangiato il panettone e punta dritto all’uovo di Pasqua e al Grammy categoria Rivelazione dell’anno. Oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. I vostri genitori hanno anche figli illuminati?)

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Dr Jekyll & Dr Jekyll

L’Inter bifronte dello scorso anno – perfetta nella coppe (tre finali, due vinte), disastrosa in campionato (12 sconfitte su 38 partite) – visse il suo momento totalmente Jekyll-Hyde proprio in questo preciso periodo, quello del ritorno in Europa. Tra l’andata degli ottavi col Porto (22 febbraio) e il ritorno dei quarti col Benfica (19 aprile), due mesetti scarsi, l’Inter passò appunto due turni di Champions (qualificandosi per le semifinali con il Milan) e mise le basi per la finale di Coppa Italia, pareggiando 1-1 l’andata della semifinale a Torino con la Juve. La stessa Inter che avanzava trionfante in due coppe, in campionato faceva totalmente cagare. In quei due mesetti giocammo in Serie A sette partite: 1 vinta, 1 pareggiata e 5 perse, un disastro immane (5 punti in sette partite) al termine del quale ci trovammo semifinalisti in Champions e virtualmente fuori da quella successiva: la sera di Inter-Monza (io c’ero) (sospiro), trentesima di campionato, eravamo quinti in campionato e, quel che peggio, in caduta libera.

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A rileggerli uno dopo l’altro, i risultati di quei due mesi danno l’idea delle montagne russe su cui viaggiavamo: Inter-Porto 1-0, Bologna-Inter 1-0, Inter-Lecce 2-o, Spezia-Inter 2-1, Porto-Inter 0-0, Inter-Juve (campionato) 0-1, Inter-Fiorentina 0-1, Juve-Inter (Coppa Italia) 1-1, Salernitana-Inter 1-1, Benfica-Inter 0-2, Inter-Monza 0-1, Inter-Benfica 3-3.

Per la cronaca, dopo questa serie spaventosa, vincemmo 7 delle ultime 8 in campionato, 2 su 2 in Coppa Italia e 2 su 3 (sospiro) in Champions: dal 23 aprile al 10 giugno (sospirissimo) il ruolino di marcia fu 11 vinte, 0 pareggiate e 2 perse.

Non c’è nessun paragone possibile con l’Inter di quest’anno. Ma forse, possiamo trovare una continuità tra l’Inter 2023, quella dal 23 aprile in poi, e l’Inter 2024: una squadra che da 10 mesi ha un ruolino di marcia mostruoso. Abbiamo sempre datato il nostro cambiamento di profilo dal 10 giugno, da una finale di Champions persa da totali underdog ma giocata alla pari (anzi, un briciolo meglio) con i naturali favoriti, la squadra più forte dell’universo che si è cagata in mano di fronte all’occasione della Storia e in definitiva è stata salvata da Lukaku da un possibile epilogo alternativo a quello ufficiale. Ma forse, rivista l’intera timeline, dovremmo datare la nostra metamorfosi almeno un mese e mezzo prima, quando ci siamo preparati ad affrontare l’Armageddon con il Milan. Quella che è scesa in campo il 10 maggio nella prima semifinale era una squadra già diversa da tutto quello che avevamo visto prima e molto simile a quella che avremmo visto dopo.

Quest’anno distinguere l’Inter di campionato dall’Inter di coppa è più difficile. Se proprio vogliamo, scendendo ai particolari minimi, l’Inter di coppa è forse un pochino al di sotto. Se siamo andati in difficoltà quest’anno è stato soprattutto nelle coppe: la doppia partita con i baschi, il primo tempo di Lisbona, i supplementari con il Bologna. Certo, parliamo di qualche perla di sudore in più nel bilancio di una stagione superlativa. E comunque adesso si resetta tutto: chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto, Inter e Atletico Madrid si affrontano da zero in un doppio confronto, stop, in numeri non contano più.

Dicono che i Colchoneros sono cambiati, hanno altre attitudini, altri schemi, altri uomini rispetto al loro periodo migliore. Teniamone conto, ok, ma non è questo il punto. L’Inter deve continuare a fare l’Inter di questa stagione, a essere l’Inter di questa stagione. Deve continuare ad affrontare gli avversari con lo stesso atteggiamento, la Salernitana e la Juve, il Monza e l’Atletico Madrid, recitando il copione che sappiamo recitare meglio, mettendo in difficoltà gli altri con le armi che ci piace usare di più. E che vinca il migliore: a rispondere come faceva Rocco, questo è certo, è il Cholo, mica il Demone di Piacenza.

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