
Con 39 di febbre, il grande colpo di culo è che ci siano gli Open d’Australia: metà dei match li giocano mentre dormi, ma quando ti svegli ci sono fior di partite perchè inizia il programma serale (e notturno: Medvedev giovedì ha finito – e perso – alle tre di notte passata, le nostre cinque del pomeriggio) e quindi trascorri qualche ora piacevole con Sinner, Alcaraz, Djokovic eccetera, il che ti copre le tentazioni della programmazione tv mainstream che a quegli orari ormai è crollata a livelli infimi. Tutto bello se non ci fossero i telecronisti.
I titolari di Eurosport e le loro seconde voci tengono un certo contegno, ma per seguire cinque o sei match alla volta in questi primi turni si dà spazio alla seconde leve, e le seconde leve fanno quello che già fanno molte delle attuali prime leve, scimmiottandosi gli uni con gli altri: esagerano. La narrazione sportiva sta diventando insopportabile. E’ tutto un “cosa abbiamo visto?”, anzi, “COSA ABBIAMO VISTOOOO?”, che è la frase chiave di questa enfasi micidiale. Tu sei lì che guardi, cioè vedi le stesso cose che vedono loro. Magari un gol al volo di Lautaro o un passante di Sinner e sei già contento di tuo. Ma invece no: “COSA ABBIAMO VISTOOOO?”. Scusa, non era un tiro al volo in mezza rovesciata? Non era un passante lungolinea in corsa? Sì, ma in realtà no. Cioè, ce lo devono raccontare loro cos’era, perché noi non abbiamo visto bene, o non ci siamo resi conto dell’evento epocale a cui abbiamo appena assistito (la cometa di Halley, al confronto, è il passaggio del camion dell’immondizia). Di solito un quarto d’ora dopo Sinner (ogni cosa che fa Sinner è prodigiosa) fa un passante migliore e il telecronista aggiunge qualche O (“COSA ABBIAMO VISTOOOOO?”) oppure scandisce (“Cosa. Abbiamo. Visto.”) con tono grave che vuole restituirci lo stupore e la solennità (“Oh, bel dritto!”) che noi stolti non abbiamo saputo provare.
Al centesimo “Cosa abbiamo visto?”, per rendere merito a questa domanda pronunciata così, semplicemente, senza gli occhi fuori dalle orbite e senza il prolasso delle corde vocali, mi sono reso conto che rispondere a “Cosa abbiamo visto?” è il miglior modo di analizzare Inter-Bologna di mercoledì, che io speravo di non avere colto nei suoi giusti contorni (cioè, avevo 39 di febbre, siamo al limite alle allucinazioni) (non prescindo dalla scala di sopportazione del dolore per il genere maschile) e invece no, era tutto vero. Quindi, cosa abbiamo visto? No, perchè nelle ultime 36 ore ne ho letta e sentita di ogni.
Rimanendo ai dati oggettivi, non abbiamo visto una squadra nè persa nè morta, tutt’altro: pure in una delle sue serate meno brillanti e contro un’avversaria discretamente attrezzata, l’Inter ha avuto le consuete occasioni di vincere la partita: consuete in senso numerico e qualitativo. Di sicuro, ed è il lato più inquietante, abbiamo visto una squadra stanca, alla decima partita dall’ultima pausa di un mese e mezzo fa (che è stata, con tutto il rispetto, Fiorentina-Inter) giocate in quattro competizioni e due continenti diversi. Di queste ultime dieci partite, ben tre (Leverkusen, Milan, Bologna) sono state negative ed è una media molto alta per l’Inter di Inzaghi.
Alti e bassi, per carità, posso capitare, ma il problema è tutto in prospettiva: il periodo che abbiamo davanti a breve è anche peggiore. Ricomincia la Champions (due partite da non cannare per evitare il turno aggiuntivo) e bisogna tenere botta in campionato, dove la partita da recuperare ci dà potenziali speranza di aggancio in testa al Napoli (punto) (asterisco) (punto). Nei prossimi 45 giorni abbiamo 10 partite (due di Champions. E speriamo solo due, sennò è la fine, le partite diventerebbero 12) tra cui i duelli in campionato nell’ordine con Milan, Juve e Napoli tutti in trasferta. Napoli, il 2 marzo (ancora da schedulare), chiuderà questa serie fondamentale per tutto.
Ecco, il Napoli è il grande problema. A oggi, il Napoli ha giocato otto partite meno di noi (6 di Champions, due di Supercoppa). Al 2 marzo le partite giocate in meno saranno 11 (aggiungi due di Champions e una di Coppa Italia), sperando non diventino 13 (no, vi prego). Tutte partite al massimo livello, mica amichevoli col Mendrisio. E per una squadra che appare oggi, a metà stagione, stanca, incapace di mantenere a lungo lo stesso livello di concentrazione e di affrontare due partite di file con la stessa intensità, beh sì, è un grande problema. Sarà una stagione endurance, in cui sarà necessario resistere, partita dopo partita: alle tensioni, ai crampi, alle gufate, alle ingiustizie (Alba Pairetto ha arbitrato male, abbiamo tutti bisogno di arbitri che arbitrino bene) (o tutti male, ma mi pare più complicato). La partita del San Paolo sarà squilibrata quanto a forze fisiche: giocheremo contro una squadra che ha giocato 11 (o 13, ma non oso nemmeno pensarlo) partite in meno, una squadra con cui ci contendiamo lo scudetto e che in pratica è come se avesse riposato un mese e mezzo, quasi due.
Cosa abbiamo visto, infine? Una squadra che non ha una seconda squadra come ce la siamo (o ce l’hanno) sempre cantata? Una squadra che sarà costretta ad aggrapparsi alle prime scelte, finchè dura? My two cents: si sta pericolosamente allargando la forbice tra “titolari” e “riserve”, termini che scrivo tra virgolette perché riguardano l’era del turnover e hanno ora contorni più sfumati. O pensavo li avessero, ecco. Com’ero rimasto stupefatto da quel momento della stagione in cui Inzaghi ne cambiava 5-6 ogni partita a prescindere da che partita arrivasse, ora osservo preoccupato che bastano un paio di infortuni (con Bologna erano fuori in quattro) a inceppare il meccanismo. Ma poi, appunto, c’è la forbice. Spero sia solo la percezione generale del momento, o la paturnia dell’anziano interista febbricitante (“Uè Simone, cambia!”), ma dalla panchina mediamente non arriva più nulla da parecchio tempo. Asslani ha un compito improbo, ma è di fatto un punto debole (pressarlo, entrare duro, rubare palla mentre lui rotola via: lo fa ormai qualsiasi squadra); Taremi aveva acceso qualche fantasia ma ormai sta assestandosi nel campo della delusione totale (il modo in cui non si è avventato sul cross di Thuram non è accettabile); i cambi di Lautaro e Thuram, in generale, non valgono un’unghia dei titolari; non esiste un’alternativa al trio di centrocampo (quando ne mancano due o addirittura tre, in corso d’opera, è una pena); Frattesi è un equivoco tattico dal giorno 1, ma siccome è un fior di giocatore lo si potrebbe gestire in un altro modo (lui non sembra crederci più); è un anno che stiamo aspettando un segno di vita da Buchanan (è stato sfigato con l’infortunio, ma inizio a dubitare se sia da Inter).
C’è anche tanto di buono da dire di questa Inter a un passo dalla qualificazione in Champions e in piena corsa scudetto, naturalmente: ma qualche volta sembra di avere una zavorra laddove altri – anche meno danarosi – trovano linfa. E noi di linfa ne abbiamo bisogno a decalitri (erano anni che sognavo di usare questa parola).