L’uomo che non c’era

Andy Brehme avrà sempre un posto nell’immaginario collettivo nerazzurro. Così come parleremo in eterno del sinistro di Corso, del baffo di Mazzola, del coast to coast di Berti, della rovesciata di Djorkaeff, della doppietta di Milito (seguono 200 altri esempi, tutti lucidamente scolpiti nelle nostre povere menti malate di Inter), Brehme resterà nei nostri cuori come uno dei migliori acquisti della storia nel rapporto qualità-prezzo-rendimento, forse uno dei top 5 di sempre prima dell’era dei parametri zero. Infilato dal Bayern nell’affare Matthaeus perché sbolognandocelo risolvevano un problema, *

*) una felice intuizione replicata 35 anni dopo con Pavard

si rivelò per noi l’uomo che non c’era. Il Trap – dopo la sòla Madjer tamponata con Diaz – fu felice di impiegare il terzo slot per lo straniero con un titolare della Germania Ovest certamente meno fascinoso di Lothar ma con una disponibilità tattica che gli risolse quei pochi problemi che aveva. Brehme – un clamoroso esempio di giocatore totalmente ambidestro – si impose a Milano come uno dei migliori terzini sinistri del mondo, giocando quattro ottime stagioni, almeno due formidabili (con il Mondiale di Italia ’90 di mezzo di cui fu superprotagonista, con tre gol compreso il rigore che decise la finale con l’Argentina) e spendendo da noi i suoi anni migliori. Nell’Inter dei record, Brehme fu una specie di uovo di Colombo. C’era una casella da riempire e la riempì lui, amplificando la resa di tutta la squadra.

Alla nascita del piccolo mito di Andy Brehme (quando Dimarco crossa bene, chi mai ci viene in mente?) ha contribuito il fatto che si è imposto da noi in un ruolo – anzi, forse IL ruolo – in cui negli anni a seguire avremmo visto più fenomeni da baraccone che campioni. Abbiamo avuto a fasi alterne grandi attaccanti, grandi centrocampisti, grandi difensori, grandi portieri. Sulle fasce il rapporto tra buoni/non buoni è molto più sbilanciato al negativo. Ogni volta che abbiamo visto grandi esterni vestire la nostra maglia è stata come un’epifania. Ogni volta che da San Siro, specialmente al primo arancio, non si alza un brusìo al primo stop sbagliato di un esterno, mi do un pizzicotto sulla guancia: “Oddio, sarà l’Eletto?”. Ogni tanto càpita. Con Brehme era capitato. Bruttarello, tracagnotto, eppure magnifico.

Ha avuto una vita sfortunata, una di quelle fasi post-agonistiche in cui qualche giocatore – un po’ per sfiga, un po’ per eccesso di generosità, un po’ per autodistruzione – finisce per perdersi, anche se il peggio sembrava ormai alle spalle. Però se n’è andato a 63 anni e non c’è cosa più crudele per uno che pensava di godersi gli ultimi anni in un altro modo. Era nato il 9 novembre, che è la data della caduta del Muro. Quel giorno compiva 29 anni ed era un giocatore dell’Inter (anche se fisicamente penso fosse in Germania, c’era la pausa per le nazionali). Ha giocato per due diverse Germanie, che è un po’ da supereroe. E’ stato un grandissimo esterno sinistro dell’Inter e anche questo, sì, è decisamente da supereroe.

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(per l’angolo Podcast, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Tenete conto che è pur sempre il podcast dell’interismo moderno e che l’Inter sta dominando la scena del calcio italiano, europeo e universale. Non vedo perché dovreste divagare) (ma se divagate va bene istéss)

(il podcast con 45 episodi ha inaspettatamente mangiato il panettone e punta dritto all’uovo di Pasqua e al Grammy categoria Rivelazione dell’anno. Oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. I vostri genitori hanno anche figli illuminati?)

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Dr Jekyll & Dr Jekyll

L’Inter bifronte dello scorso anno – perfetta nella coppe (tre finali, due vinte), disastrosa in campionato (12 sconfitte su 38 partite) – visse il suo momento totalmente Jekyll-Hyde proprio in questo preciso periodo, quello del ritorno in Europa. Tra l’andata degli ottavi col Porto (22 febbraio) e il ritorno dei quarti col Benfica (19 aprile), due mesetti scarsi, l’Inter passò appunto due turni di Champions (qualificandosi per le semifinali con il Milan) e mise le basi per la finale di Coppa Italia, pareggiando 1-1 l’andata della semifinale a Torino con la Juve. La stessa Inter che avanzava trionfante in due coppe, in campionato faceva totalmente cagare. In quei due mesetti giocammo in Serie A sette partite: 1 vinta, 1 pareggiata e 5 perse, un disastro immane (5 punti in sette partite) al termine del quale ci trovammo semifinalisti in Champions e virtualmente fuori da quella successiva: la sera di Inter-Monza (io c’ero) (sospiro), trentesima di campionato, eravamo quinti in campionato e, quel che peggio, in caduta libera.

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A rileggerli uno dopo l’altro, i risultati di quei due mesi danno l’idea delle montagne russe su cui viaggiavamo: Inter-Porto 1-0, Bologna-Inter 1-0, Inter-Lecce 2-o, Spezia-Inter 2-1, Porto-Inter 0-0, Inter-Juve (campionato) 0-1, Inter-Fiorentina 0-1, Juve-Inter (Coppa Italia) 1-1, Salernitana-Inter 1-1, Benfica-Inter 0-2, Inter-Monza 0-1, Inter-Benfica 3-3.

Per la cronaca, dopo questa serie spaventosa, vincemmo 7 delle ultime 8 in campionato, 2 su 2 in Coppa Italia e 2 su 3 (sospiro) in Champions: dal 23 aprile al 10 giugno (sospirissimo) il ruolino di marcia fu 11 vinte, 0 pareggiate e 2 perse.

Non c’è nessun paragone possibile con l’Inter di quest’anno. Ma forse, possiamo trovare una continuità tra l’Inter 2023, quella dal 23 aprile in poi, e l’Inter 2024: una squadra che da 10 mesi ha un ruolino di marcia mostruoso. Abbiamo sempre datato il nostro cambiamento di profilo dal 10 giugno, da una finale di Champions persa da totali underdog ma giocata alla pari (anzi, un briciolo meglio) con i naturali favoriti, la squadra più forte dell’universo che si è cagata in mano di fronte all’occasione della Storia e in definitiva è stata salvata da Lukaku da un possibile epilogo alternativo a quello ufficiale. Ma forse, rivista l’intera timeline, dovremmo datare la nostra metamorfosi almeno un mese e mezzo prima, quando ci siamo preparati ad affrontare l’Armageddon con il Milan. Quella che è scesa in campo il 10 maggio nella prima semifinale era una squadra già diversa da tutto quello che avevamo visto prima e molto simile a quella che avremmo visto dopo.

Quest’anno distinguere l’Inter di campionato dall’Inter di coppa è più difficile. Se proprio vogliamo, scendendo ai particolari minimi, l’Inter di coppa è forse un pochino al di sotto. Se siamo andati in difficoltà quest’anno è stato soprattutto nelle coppe: la doppia partita con i baschi, il primo tempo di Lisbona, i supplementari con il Bologna. Certo, parliamo di qualche perla di sudore in più nel bilancio di una stagione superlativa. E comunque adesso si resetta tutto: chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto, Inter e Atletico Madrid si affrontano da zero in un doppio confronto, stop, in numeri non contano più.

Dicono che i Colchoneros sono cambiati, hanno altre attitudini, altri schemi, altri uomini rispetto al loro periodo migliore. Teniamone conto, ok, ma non è questo il punto. L’Inter deve continuare a fare l’Inter di questa stagione, a essere l’Inter di questa stagione. Deve continuare ad affrontare gli avversari con lo stesso atteggiamento, la Salernitana e la Juve, il Monza e l’Atletico Madrid, recitando il copione che sappiamo recitare meglio, mettendo in difficoltà gli altri con le armi che ci piace usare di più. E che vinca il migliore: a rispondere come faceva Rocco, questo è certo, è il Cholo, mica il Demone di Piacenza.

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Carnage

Se Inter-Salernitana si è rivelata uno spottone per un sollecito ritorno della Serie A a 18 squadre, è stato più per merito dell’Inter che non per demerito della Salernitana. Cioè, mettetevi nei loro panni: da ultimi in classifica cambiano l’allenatore e vanno a giocare in casa della prima in classifica alla vigilia degli ottavi di Champions. Una speranziella (faranno giocare le riserve, avranno in mente l’Atletico Madrid) l’avranno sicuramente avuta. Inzaghi (Simone, il nostro) li accoglie facendo un turnover ridottissimo e tenendo alta la tensione, trattando la Salernitana non come l’ultima in classifica ma come un avversario da affrontare e possibilmente sconfiggere.

Risultato: un massacro.

Raramente si è visto una partita così sbilanciata (tiri 21-1, cross 45-1, corner 18-0, possesso 73-27) e da mio divano quasi mi si stringeva il cuore per la Salernitana. Quando li inquadravano erano sinceramente sconvolti. Forse non si aspettavano che l’Inter non avrebbe minimamente preso sottogamba l’impegno, che era quello di cui tutti avevamo un po’ paura. Però l’Inter quest’anno è così, sorvola meravigliosamente i nostri timori, ci va vergognare di averli avuti. Anche se non è tutta colpa di noi tifosotti. Cioè, uno guarda le interviste prepartita, appare Marotta che dice che “questa partita solo sulla carta è facile ma nasconde insidie tremende”, e allora un po’ di cagozzo di sovviene.

Allora facciamo che diventi un rito scaramantico quello di aggiornare la sera della partita un ruolino di marcia sempre più impressionante. Mentre noi nutrivamo qualche timido dubbio sul match con la Salernitana, l’Inter lo ha vinto con una superiorità imbarazzante: e fanno 20 vittorie su 24 partite, 14 nelle ultime 16, 15 volte senza prendere gol, con il capocannoniere del campionato che ne ha già messi 20 (terzo anno di fila) e superando Icardi diventa a soli 26 anni l’ottavo marcatore della nostra storia.

Anche con la Salernitana – stadio strapieno – l’Inter ha messo in campo la solita strabordante voglia di giocare, che si traduce in ritmi e trame insostenibili per i poveri avversari. Le insidie tremende noi le trattiamo così: le preveniamo. Adesso si torna in Europa, giusto per sottoporci a un test interessante: la nostra bellezza quanto vale al cambio della Champions?

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I re di Roma

Avete per caso (intra)visto Big Rom? Ecco. Lukaku è quello che l’anno scorso in campionato eravamo noi: un tipo ambizioso che scompare nelle grandi occasioni. Lukaku è andato altrove a scomparire, scomparendo contro di noi due volte su due quando lo abbiamo ritrovato, e noi abbiamo cambiato profilo. Negli ultimi 23 giorni, tra Supercoppa e Serie A, abbiamo giocato cinque partite e le abbiamo vinte tutte. Lazio, Napoli, Fiorentina, Juve, Roma, demolite una dietro l’altra giocando a San Siro una volta sola. Cinque scontri diretti vinti, come tutti gli altri da agosto a oggi, fatta eccezione per il pari all’Alluminium. Vittorie, vittorie come se piovesse (tipo a Roma). Fanno 19 su 23.

Ascolta “Vecjo Friul, Salerno-Reggio Calabria e ritorno” su Spreaker.

Eppure non siamo sazi, e neppure troppo tranquilli. Non riusciamo mai a rilassarci . Sarebbe interessante fare un sondaggio fra tutti gli interisti e sapere cosa pensavano esattamente tra il primo e il secondo tempo di Roma-Inter, avendo visto la squadra prendere due gol in quarto d’ora dopo averne presi quattro in totale nelle precedenti 11 trasferte. La Roma rigenerata, l’Inter un po’ distratta nel pantano. Con quali percentuali eravamo divisi tra speranzosi, ottimisti, basiti, preoccupati e catastrofisti?

Io, per esempio, ho dubitato. Mi si è riavvolto il nastro dell’ultima settimana e ho pensato: ecco, ci siamo scaricati un po’, ci sta. Dopo la Juve, dopo aver affermato chi è il più forte – noi -, ci stiamo prendendo una pausa. Invece la pausa è durata appunto 45 minuti. Dopo l’intervallo siamo tornati quelli veri. E non ce n’è mai per nessuno, se siamo quelli veri.

Ascolta “Roma-Inter no comment” su Spreaker.

Quindi scusami, Inter, se ho dubitato.

E’ stata una partita strana, un saliscendi continuo finchè siamo saliti noi e siamo restati su. E’ finita con una scena che ci restituisce nella nostra interezza, e forse un pochino oltre: sotto la pioggia a pressare al 95′, avanti di due gol. Meravigliosi. Manca una partita in meno alla fine del campionato, un altro scontro diretto è già in archivio. Pioveva che Iddio la mandava e a me pareva ci fosse l’arcobaleno, un arco azzurro e nero da porta a porta, una melodia diffusa, sorrisi, batticuori, abbracci. E in quel momento mi sono ricordato che, in effetti, tifo Inter fin da quando ero bambino.


(per l’angolo Podcast, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Tenete conto che è pur sempre il podcast dell’interismo moderno e che l’Inter sta dominando la scena del calcio italiano, europeo e universale)

(il podcast con 42 episodi ha inaspettatamente mangiato il panettone e punta dritto all’uovo di Pasqua e al Grammy categoria Rivelazione dell’anno. Oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Sono i limiti della democrazia)

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Grazie dei fior

Sì, ok, il contratto di Lautaro, la realtà parallela della Juve, la concentrazione da mantenere nonostante il vantaggio con asterisco, eccetera eccetera. Ma è quanto mai il momento di affrontare un argomento che nessuno prende nella giusta considerazione: qual è l’influenza del Festival di Sanremo sull’Inter?

(questo blog, animato da uno spirito di servizio ormai proverbiale, vi propone chiavi di lettura che la critica mainstream trascura. Cioè, tenetene conto: siete dei privilegiati)

In pratica: come va l’Inter nella settimana di Sanremo? La squadra ha un calo quando i giocatori fanno le ore piccole per guardare il Festival? O l’overdose musicale alleggerisce gli animi? Vediamolo.

Ascolta “Decubito” su Spreaker.

Allora, piccola spiega preliminare: ho preso in considerazione gli ultimi 10 anni, giusto per fare cifra tonda. La partita dell’Inter è quella che si gioca nella settimana di Sanremo (il Festival va in onda dal martedì al sabato: nel computo entrano le partite giocate anche la domenica, peraltro fortemente condizionate dal fatto che i calciatori magari fanno le tre di notte per sapere chi ha vinto). Le partite sono 11 e non 10 perchè un anno, come vedrete, nella settimana di Sanremo si giocò anche un turno infrasettimanale.

2023. Festival 7-11 febbraio (conduttore Amadeus), vincitore Marco Mengoni. Sampdoria-Inter 0-0.

2022. Festival 1-5 febbraio (conduttore Amadeus), vincitori Mahmood e Blanco. Inter-Milan 1-2 (Perisic, Giroud, Giroud).

2021. Festival 2-6 marzo (conduttore Amadeus), vincitori Maneskin. Parma-Inter 1-2 (mercoledì, Sanchez, Sanchez, Hernani), Inter-Atalanta 1-0 (domenica, Skriniar).

2020. Festival 4-8 febbraio (conduttore Amadeus), vincitore Diodato. Inter-Milan 4-2 (Rebic, Ibrahimovic, Brozovic, Vecino, De Vrij, Lukaku)

2019. Festival 5-9 febbraio (conduttore Claudio Baglioni), vincitore Mahmood. Parma-Inter 0-1 (Lautaro).

2018. Festival 6-10 febbraio (conduttore Claudio Baglioni), vincitori Ermal Meta e Fabrizio Moro. Inter-Bologna 2-1 (Eder, Palacio, Karamoh).

2017. Festival 7-11 febbraio (conduttore Carlo Conti), vincitore Francesco Gabbani. Inter-Empoli 2-0 (Eder, Candreva).

2016. Festival 9-13 febbraio (conduttore Carlo Conti), vincitori Stadio. Fiorentina-Inter 2-1 (Brozovic, Borja Valero, Babacar).

2015. Festival 10-14 febbraio (conduttore Carlo Conti), vincitori Il Volo. Atalanta-Inter 1-4 (Shaqiri, Maxi Moralez, Guarin, Guarin, Palacio).

2014. Festival 18-22 febbraio (conduttori Fabio Fazio e Luciana Littizzetto), vincitrice Arisa. Inter-Cagliari 1-1 (Pinilla, Rolando).

Diciamo che il periodo di Sanremo fa abbastanza bene all’Inter: in queste 11 partite dell’ultimo decennio il bilancio è di 7 vittorie, 2 pareggi e 2 sconfitte, un bilancio da buona zona Champions/Europa League. 6 partite giocate in casa (4-1-1) e 5 in trasferta (3-1-1). Solo tre i clean sheet, ma anche solo una la partita in cui non abbiamo segnato (proprio quella di un anno fa).

Ma veniamo alla partita di sabato, Roma-Inter, cercando di fare delle ipotesi sanremesi. Nell’unico Sanremo che si è tenuto negli stessi giorni di quest’anno (6-10 febbraio) abbiamo vinto, ma in casa. Non ci sono precedenti con la Roma. In compenso, avrete notato che nei marcatori compaiono spesso gli ex: Palacio ha segnato per noi ma anche contro, Pinilla l’abbiamo portato noi in Italia ma ci ha punito, Borja aveva segnato per la Fiorentina prima di venire da noi. E purtroppo – è giusto affrontare la cosa senza falsi pudori – sappiamo che tra i marcatori c’è anche un altro ex, uno che oggi gioca nella Roma, uno grande e grosso, che pagherebbe la cacio e pepe a tutta la tribuna Montemario per infilare Sommer.

Ora, andando nel campo dei pronostici, parliamo per prima cosa di Sanremo. Sono 10 anni che non vince una donna (il patriarcato c’è anche al Festival: vincono uomini singoli, uomini in duo, uomini in trio, uomini in gruppo e le donne mai, l’ultima a vincerne un pezzetto è stata la bassista dei Maneskin) e quest’anno sembrerebbe la volta buona: le favorite sono quasi tutte donne, Annalisa, Angelina Mango, la Amoroso, la Bertè, mi sa che ci siamo. Nell’unico precedente degli ultimi 10 anni in cui ha vinto una donna, Arisa, noi abbiamo pareggiato con gol dell’ex.

Quindi, incrociando tutti i vari dati disponibili: Roma-Inter 1-1, gol di Lukaku e Pavard *

*) ovviamente sto scherzando. Ma se per caso dovesse mai finire così, voglio una percentuale sulle vostre vincite, il premio Nobel della statistica, il premio Pulitzer e il Grammy Award categoria boomer calcolatori.


(per l’angolo Podcast, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Tenete conto che è pur sempre il podcast dell’interismo moderno. Cioè, sulle rivendicazioni degli agricoltori sui pesticidi non siamo preparatissimi)

(il podcast con 42 episodi ha inaspettatamente mangiato il panettone e punta dritto all’uovo di Pasqua e al Grammy categoria Rivelazione dell’anno. Oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Vabbe’, stendiamo un velo pietoso)

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Il 4 febbraio e il 5 febbraio

Il campionato non è finito domenica sera, questo è chiaro. Mancano 15 partite (a noi 16) e da qui al 26 maggio sarà come passeggiare su un campo minato. Però era importante che il 4 febbraio 2024 non fosse come il 5 febbraio 2022, e almeno questa missione possiamo dire di averla compiuta. Il resto si vedrà, diciamo che ora – keep calm – siamo piuttosto padroni del nostro destino.

Il 5 febbraio 2022, a parte la quasi coincidenza di data, riportava alcuni parallelismi sinistri. Si giocava Inter-Milan, stadio Giuseppe Meazza in Milano, la prima contro la seconda della classifica. Era la 24esima giornata: Inter 53*, Milan 49. L’asterisco era la partita Bologna-Inter rinviata il 6 gennaio per essere recuperata il 27 aprile. L’Inter, vincendo, sarebbe andata a +7 sul Milan e con una partita da recuperare: forse il colpo di grazia al campionato. L’Inter non era più brillante come due o tre mesi prima, ma viaggiava ancora discretamente e a gennaio aveva vinto la Supercoppa battendo la Juve. Il Milan era in una mezza crisi, due settimane prima aveva perso in casa con lo Spezia 1-2 prendendo il gol al 96′ e noi eravamo ancora lì che ridevamo tutti, muahahahahah, lo Spezia, prrrrrrrrrrr, Pioli on fire muahahahahah.

Ascolta “Felini (perché Sanremo è Sanremo)” su Spreaker.

Al 74′ l’Inter vinceva 1-0, gol di Perisic nel primo tempo. Avevamo già in mano ago e filo e una stellina dorata. Poi Giroud fece due gol in quattro minuti, Inter-Milan 1-2, noi lì senza parole, ago filo e stellina tornano nel cassetto. Sono ancora lì.

Mancavano altre 14 partite, ma sappiamo tutti com’è andata. Per noi fu un pessimo febbraio (perso col Sassuolo, pari col Napoli, pari col Genoa, mettici anche lo 0-2 col Liverpool in Champions) e quando ci risollevammo fu tutto un duello affannoso sul filo dei punti fino al suicidio di Bologna, quando scoprimmo che l’asterisco non valeva tre punti in automatico. Il Milan, invece, non perse più una partita. Qualche punto lo buttò via, ma noi di più. Parziale delle ultime 15 giornate (per noi 16): Milan 37, Inter 31. Classifica finale: Milan 86, Inter 84.

Noi lo scudetto l’abbiamo perso il 5 febbraio 2022 (Bologna-Inter fu solo la conseguenza di tutto lo stress accumulato dal 5 febbraio in poi), il Milan lo ha vinto il 5 febbraio 2022. Per questo il 4 febbraio 2024 era importante non perdere, meglio ancora vincere. Per non concedere alla Juve quella botta di autostima e di orgoglio e di superiorità che noi riuscimmo a regalare al Milan in quei merdosi quattro minuti dal 29′ al 33′ del secondo tempo (perché quando si è girato Giroud si è girato anche il nostro campionato – che era mezzo vinto e d’incanto è finito).

Con la Juve, sotto questo punto di vista, abbiamo sistemato le cose. All’andata fu una non-partita con una sua logica: perché perdere inutilmente a sei mesi dalla fine del campionato? Al ritorno poteva accadere la stessa cosa – perché affannarsi con 15 partite ancora da giocare? – ma è entrata in gioco la scala dei valori, che ci vede nettamente più in alto. L’Inter è più forte della Juve, lo ha visto tutto il mondo. Questo è il paletto che andava piantato perché non rimanessero dubbi nè zone grigie: eh ma quel tiro, eh ma quel rigore… eh ma quel cazzo di niente, la situazione è questa, è chiara, è lampante. Siamo superiori, non c’è nulla in cui doverci sentire inferiori. Potevamo dircelo tra noi, adesso lo hanno visto tutti.

Il 5 febbraio 2022 ci ha dimostrato che certe cose contano. E il 4 febbraio 2024 non deve essere stato una semplice dimostrazione muscolare o una gara a chi ce l’ha più lungo. E’ stata l’affermazione delle proprie ambizioni e un limite messo a quelle degli altri. Non è niente di definitivo (le ultime 15 partite sono da portare a casa una a una) ma è un passo significativo. Lo scudetto non lo può vincere una squadra che in due scontri diretti fa due tiri in porta, dai, è immorale. Lo scudetto lo dobbiamo vincere noi. E lo scrivo con le due mani entrambe sulla tastiera.


(per l’angolo Podcast, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Dopo Inter-Juve vi mancano gli argomenti? Beh, è un problema)

(il podcast con 41 episodi ha inaspettatamente mangiato il panettone e punta dritto all’uovo di Pasqua e al Grammy categoria Rivelazione dell’anno. Oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti (non è difficile): scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Amate la mediocrità? Basta dirlo)

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I ragazzi irresistibili

Sommer 10. Sempre attento al look, restituisce la divisa immacolata. Con il risparmio della tintoria Marotta conta di alzare l’offerta per il rinnovo di Lautaro. Batte ogni record interplanetario di clean sheet senza fare un cazzo: magico.

Pavard 10. Un signor giocatore, oggi non avrebbero segnato neanche Maradona, Ronaldo (quello vero), Gigi Riva e Ganz schierati assieme. Ora, non per farmi i cazzi del Bayern: ma hanno una tale abbondanza in difesa da lasciare andare uno così? Boh. Una bellezza assoluta. Mandate lui a Sanremo al posto di Sinner.

Acerbi 10. Un signor giocatore, oggi non avrebbe segnato neanche Van Basten, Spillo, Lewandowski e Ciccio Caputo schierati assieme. Ora, non per farmi i cazzi della Lazio: ma hanno una tale abbondanza in difesa da lasciare andare uno così? Boh. Se non avesse già tipo 40 anni o giù di lì, gli offrirei un quinquennale.

Bastoni 10. Quando ha aizzato il pubblico (cioè, tipo 10mila persone in delirio) per aver conquistato un fallo laterale, ho pensato che la Juve non avrebbe pareggiato neanche con Ceccarini arbitro e Kim Jong-Un al Var.

Darmian 10. Ormai è una figura rassicurante. Mi ricorda il Gigante buono dei Caroselli della Ferrero. Succedeva un guaio, i bambini chiedevano aiuto cantando «Gigante, pensaci tu!» e lui interveniva riportando la pace e punendo Jo Condor (sospiro).

Ascolta “Felini (perché Sanremo è Sanremo)” su Spreaker.

Barella 10. Quando batti la Juve, chi se ne frega se Barella non ha fatto i numeri assoluti. Comunque c’è sempre, domina i suoi raptus e Szczesny gli toglie un gol fatto con una parata di piede che se la rifà cento volte Barella segna cento volte, diventando capocannoniere con 100 reti, che Piola al confronto era stitico.

Calhanoğlu 10 e lode. La Giornata mondiale della masturbazione è il 28 maggio, ma dopo la visione dei passaggi e dei lanci di Cahla in Inter-Juve è probabile che la data dall’anno prossimo venga anticipata al 4 febbraio. Ora, non per farmi i cazzi del Milan: ma hanno una tale abbondanza a centrocampo da lasciare andare uno così? Boh. Il bello è che lo insultano, quando è chiaro che dovrebbero insultarsi da soli. Anche la Giornata mondiale dell’autoinsulto è il 4 febbraio e si celebra con un corteo di asini da Milanello a piazzale Axum.

Mkhitaryan 10. E’ assai probabile che Mkhitaryan lasci l’Inter prima che io impari a scrivere correttamente il suo nome. Ma io non voglio che lasci l’Inter: potrei anche incatenarmi al salamellaro dell’antistadio come gesto estremo. Tra l’altro, mi chiedo quale abbondanza di centrocampisti abbia mai avuto la Roma per lasciare andare uno così.

Dimarco 10. Abbiamo passato mesi e mesi, chi più e chi meno, a fare la conta dei suoi errori e a valutare la sua scarsezza intrinseca. Oggi è il miglior esterno mancino italiano, un pericolo ambulante per la squadra avversaria, dalla sua parte succede sempre qualcosa e Dimarco ce lo abbiamo solo noi, tiè.

Lautaro 10. Non fateci incazzare, rinnovate ‘sto contratto a quest’uomo, il nostro capitano, un uomo che di solito segna e quando non segna ce la mette tutta. Al diciassettesimo fallo da dietro ho chiamato il 112 dicendo che a Milano stavano brutalizzando un uomo. L’agente mi ha chiesto in che zona. Ho messo giù.

Thuram 10. Mi chiedevo in questi giorni quale abbondanza di attaccanti avesse il Borussia Mönchengladbach. Poi mi chiedo anche: ma perchè devi farti i cazzi degli altri? Non ti basta vedere questo spilungone fisicato fare cose deliziose a spargere il panico nelle difese altrui? Al che mi sono messo a fissare il soffitto e ho risposto: sì, mi basta.

De Vrij 10. Molto bravo.

Carlo Augusto 10. Molto bravo.

Dumfries 10. Casinista ma molto bravo.

Arnautovic 10. E’ il Darwin Nunez dell’Inter: segna un gol ogni 18 occasioni. E tu sei lì a chiederti: è positivo che abbia le 18 occasioni o è negativo che ne sbagli 17? Comunque Szczesny, porca troia, ha fatto una parata che Tiramolla al confronto ha l’artrosi.

Klaassen 10. Il Cesare Ragazzi dei Paesi Bassi meriterebbe più spazio, però è stato bello rivederlo in campo in una partita così importante. E’ un uomo sereno e lo si vede. Alla prossima partita potrebbe presentarsi pettinato come Joey Tempest degli Europe.

Inzaghi 10 e lode. Avete ragione, avevo dimenticato Inzaghi. Cioè, sai, è come quelli di famiglia: lo saluti la mattina, poi non è che ogni volta che lo incroci in cucina lo saluti. Però bisognerebbe farlo. “Grazie mister”, “Ma mi hai ringraziato tre minuti fa”, “Ah davvero? Grazie mister”, “Ma mi hai già ringraziato 15 volte e sono le nove di mattina”, “Solo quindici? Grazie mister”.


(per l’angolo Podcast, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Dopo Inter-Juve vi mancano gli argomenti? Siete sociopatici?)

(il podcast, ormai 40 episodi, ha inaspettatamente ha mangiato il panettone e punta dritto all’uovo di Pasqua e al Grammy. Oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Vi spiego come farlo (non è difficile): scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. Massì, ascoltate quei pipponi di Barbero, certo, ok)

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Il fattore Alcaraz

La Gazza a volte riserva delle sorprese. Però bisogna concentrarsi parecchio. Non basta una lettura superficiale (titoli, foto, didascalie), ma bisogna anche dare un’occhiata ai pezzi e alle tabelle. E poi matchare un po’ di informazioni, anche precedenti. E alla fine il risultato è, appunto, sorprendente. Non buono, non cattivo. Sorprendente.

Allora, parliamo di Carlos Alcaraz senza fare battute sul tennista. Who is Alcaraz? Io non seguo la serie B inglese. Qualcuno segue la Championship? So giusto che è in testa il Leicester, perché ci doveva andare Sensi. Il Southampton è terzo, se la gioca con Ipswich e Leeds per salire in Premier, eppure vende Alcaraz alla Juve. “Alcaraz il tuttocampista”, dice la Gazza nel titolo di ieri, “sulle orme di Sivori, Tevez e Co.”

Me cojoni.

Dopo ‘sto popò de titolo, ‘tacci loro, me tocca approfondì. Allora, intanto questo Alcaraz è un promettente centrocampista del 2002 (sua madre era incinta di tre mesi mentre io perdevo tre anni di vita, forse trenta, in tribuna Montemario il 5 maggio) di cui sconoscevo l’esistenza, sed ignorantia non exscusat. Il riferimento nel titolo a Sivori e Tevez è perché è argentino come loro. Vabbe’. E’ come se io andassi a giocare a Tonga e la Gazza di Tonga titolasse “Ecco Settore il boomerista sulle orme di Meazza, Boninsegna e Altobelli”. Oh, magari è un fenomeno, anzi, glielo auguro, è giovane e ha una faccia simpatica (è la maglia che è antipatica e ammanterà presto di antipatia la sua faccia) (aggiornamento: mi sta già sul cazzo).

A proposito: quanto è fenomeno questo fenomeno? Leggo tutto il pezzo e sul finire, dopo un sacco di complimentoni, apprendo che da metà dicembre non era più titolare. In B. Ah. No, perché comunque i gobbi hanno pagato 4 milioni per il prestito oneroso e hanno fissato il diritto di riscatto a 50 milioni (49,5 per la precisione), che dipenderà dalla promozione (o meno) del Southampton in Premier. Ma tutto questo è sulla Gazza di ieri. Sulla Gazza di oggi (Alcaraz update) il titolone, a corredo di un pezzo in cui si dice che Alcaraz è un tipo di centrocampista che Allegri non aveva (la Juve ne ha 13 in rosa, quante tipologie di centrocampisti esistono?), parla con caratteri grossi così di “Il nuovo Vidal”.

Me cojoni.

E qui approdiamo al me tanto caro tema della narrazione. La Juve al mercato di gennaio fa due ingaggi cash (nel senso che qualche soldo lo sborsa: l’altro è Djallo dal Lille), per uno di questi pianifica un diritto di riscatto mostruoso (50 milioni è molto più di Pavard e di Frattesi, per dirne due), eppure è da settimane, anzi mesi, che i media continuano a raccontarci di una Juventus miracolo, che con le pezze al culo e una rosa di ragazzini sta gettando il cuore oltre l’ostacolo e che con l’anticalcio di Allegri, costretto prima a difendersi e poi eventualmente a darle, insegue la ricca e bella Inter aiutata dal Var e dagli arbitri.

Ascolta “Juve bip e CCCP” su Spreaker.

Riprendo allora la Gazza di ieri, dove tre pagine dopo quella dedicata ad Alcaraz c’era un’interessante profilazione delle due squadre dal punto di vista del valore della rosa e del monte stipendi. Il loro monte stipendi è superiore al nostro, il loro giocatore più pagato (Vlahovic, 9,5 cocuzze) prende un terzo più del nostro giocatore più pagato (Calhanoglu).

Cioè, stanno parlando della Juve come di una squadra che fa le nozze con i fichi secchi, ma la cui rosa ha un valore di 576 milioni e il monte stipendi annuo ha un valore di 77,3 milioni. Stanno imponendo l’immagine di una Juve che non corrisponde alla realtà dei fatti. Stanno facendo il tifo per la seconda così come – nella più ingenua delle ipotesi – a una partita di tennis il pubblico neutrale fa il tifo non per l’uno o per l’altro ma perchè la partita si allunghi: solo che la seconda è la Juve, non ha bisogno di altro tifo rispetto a quello che ha già, non c’è motivo di farla apparire come la squadra o la società che non è. In fondo quelli simpatici dovremmo essere noi. Ma, come sappiamo, non è così.

Mentre siamo ancora lì ad accapigliarci sull’angolo di collisione tra il guantone di Sommer e il faccione di Emile Nzola, si parla troppo poco del fatto che in un mese – anzi, in 22 giorni – ci hanno dato 3 rigori contro (due li hanno sbagliati: sarà colpa nostra?) e agli Alcaraz-boys non ne hanno ancora dato uno contro da agosto. Loro sono lì che sbandierano il dato delle ammonizioni contro: non uno che dica le cose come stanno, e cioè che una squadra di scarponi fa più falli di una squadra che gioca a calcio. L’antipatica Inter fa di necessità virtù (mercato in autofinanziamento, ricerca meticolosa di parametri zero) ma i virtuosi sono loro, che puntano sui giovani compresi quelli semisconosciuti della Championship che prendono a badilate da 50 milioni cadauna. Le nozze con i fichi secchi le facciamo noi, ma per il mondo le fanno loro. Noi rispettiamo le regole e loro partecipano a un campionato dove sono stati gentilmente ammessi dopo una penalizzazione soft per non averle rispettate.

Me cojoni. Forza Inter.


(per l’angolo Podcast, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Dopo Inter-Juve non vi mancheranno argomenti)

(il podcast, ormai 40 episodi, che inaspettatamente ha mangiato il panettone e punta dritto all’uovo di Pasqua, oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Vi spiego come farlo (non è difficile): scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. ok, andiamo avanti così, facciamoci del male)

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Salutate l’asterisco

Poteva essere la domenica dell’Apocalisse, se loro avessero vinto e noi no. E invece – ma tu guarda com’è il calcio – è diventata la domenica dell’asterisco champagne: torniamo in positivo con una partita in meno, figata. Loro non hanno vinto (in casa con l’Empoli) e noi sì (a Firenze) ribaltando la situazione teorica di un turno molto favorevole a loro. Figata (l’ho già detto? E chi se ne frega). Alla vigilia dell’Armageddon (inteso come Inter-Juve, 4 febbraio, lo scontro finale) (anche se mancheranno ancora 15 partite, a noi 16) (finale un cazzo, diciamo fondamentale), noi avevamo un calendario micidiale che abbiamo risolto così: battute Lazio, Napoli e Fiorentina in nove giorni senza subire un gol.

Cioè, siamo fortissimi.

A Firenze abbiamo fatto fatica. Primi tredici minuti brutti brutti e con un sacco di errori, ma al 14′ Lautaro la mette e diventa tutto più facile. In teoria, eh? Perchè non la chiudiamo, sbagliamo i soliti quattro o cinque gol, subiamo la loro iniziativa, rischiamo grosso in un paio di occasioni, ci facciamo un po’ schiacciare, da due rigorini viene fuori un rigore, lo sbagliano (oh, che colpa ne abbiamo noi?), sudiamo freddo nel finale. Ma vinciamo. Senza Cahla e Barella. A Firenze. Poteva essere l’Apocalisse, invece abbiamo giocato il jolly.

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Queste sono vittorie che valgono doppio, non c’è bisogno di spiegare il perché. Son tutti già lì ad aggiornare l’elenco degli aiutini (addirittura sul gol di Lautaro, dove Heather Parisi ha finto di essere stato decapitato), ma poi i rigori ce li fischiano contro, A NOI. Se poi gli altri non li sanno tirare, noi non c’entriamo nulla. Abbiamo superato un esame importante, con fatica e un po’ di sofferenza. E’ di queste partite che è lastricata la strada verso la gloria. Sono queste le partite che vanno vinte.

A occhio, ci riusciamo benino.

Ascolta “Occhietti gialli” su Spreaker.


(per l’angolo Podcast, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Non so, c’è Inter-Juve domenica: vi mancano argomenti?)

(il podcast, che inaspettatamente ha mangiato il panettone e punta dritto all’uovo di Pasqua (ormai quasi 40 episodi), oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Vi spiego come farlo (non è difficile): scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. ok, andiamo avanti così, facciamoci del male)

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I’m a winner, I’m a Sinner (do you want my autograph?)

Ricorre in questi giorni il primo anniversario di un pezzo che scrissi su Sinner appunto un anno fa, durante l’Australian Open 2023, quando il nostro Jannik fu sconfitto agli ottavi da Tsitsipas e su Repubblica.it uscì un titolo – “Sinner, una sconfitta che vale come una vittoria” – che mi fece salire il sangue al cervello. In sintesi: nel solco di una narrazione che a memoria d’uomo non era mai stata riservata a nessun astro nascente del nostro sport – un predestinato a dir poco – perchè insistere a grondare miele anche nel momento di una sconfitta agli ottavi di finale? Perché non farsi qualche domanda, invece di offrire tesi ridicole?

Una sconfitta (agli ottavi) (con Tsitsipas) che vale come una vittoria? Un anno fa eravamo a questi livelli, ci facevamo raccontare cose non vere: tipo la gomitata di Bastoni (che non era proprio così), tipo la schiacciata della Egonu in faccia all’ex ct (che non era proprio così). Eravamo a una sconfitta frustrante spacciata per una quasi-vittoria (che no, non era proprio così) e bòn, viva Sinner, viva il tennis, che bello, che bello! Una pessima narrazione. E meno male che Sinner è sempre stato più onesto – buon per lui e buon per noi – della narrazione che se ne faceva. Più attendibile, più serio, più indipendente. Non si è mai spacciato per quello che non era. Non ha mai festeggiato un’uscita agli ottavi.

Fino a settembre, la stagione di Sinner sarebbe stata buona ma non buonissima. Con Slam nel complesso deludenti: disastro a Parigi (fuori al secondo turno con tale Altmaier), bene a Wimbledon ma grazie a un tabellone strafortunato (e triturato in semifinale da Djokovic), male agli US Open (fuori agli ottavi con Zverev). E io lì a mordermi la lingua: ehi Repubblica, va tutto bene? Poi, dall’autunno, quattro mesi da stropicciarsi gli occhi. Quattro mesi in cui Sinner regola i conti con tutti, come se fosse improvvisamente sbocciato, trasformandosi in un’altra cosa rispetto a quello che era prima. Non vinceva con nessuno dei top ten? Li batte tutti, uno per uno, più volte, comprese le bestie nere Djokovic e Medvedev. Sfiora la vittoria alle Atp Finals, vince quasi da solo la simil-Davis e nel 2024 inizia con la sua prima finale Slam in Australia, dove solo 365 giorni prima dava la solita impressione di sè, quella di un giocatore fortissimo e un po’ incompiuto. Ora è fortissimo e basta.

Adesso sì che tutto coincide, la narrazione e la realtà. E il merito è tutto di Sinner, non dei narratori *. E’ lui che ha messo le cose a posto. Di fatto, da dopo gli Us Open sta giocando con un rendimento da numero 1 del mondo. Ha giocato una semifinale mostruosa, non concedendo a Djokovic neanche una palla break (praticamente una specie di Inter-Lazio di Supercoppa, solo che al posto della Lazio c’era il Real). Può vincere il suo primo Slam e con questo guadagnarsi l’ingresso definitivo nella leggenda del tennis italiano. Non dovesse farcela, sarà per un’altra volta. E’ quarto nella classifica Atp, ha scavato una voragine tra lui e il quinto. Ed è sempre più vicino al primo posto. Sarà un 2024 avvincente.

E’ migliorato in tutto, è salito di livello, ha fame, ha fiducia. Ha un’autostrada davanti. E’ diventato migliore di come lo raccontavano (e non era facile). Vai Sinner: grazie di averci liberato dal dovere di festeggiare sconfitte agli ottavi, grazie per averci riportato alla realtà che preferiamo.

*) Repubblica.it è fantastica, insiste a narrare l’impossibile. Titolo: “Tennis, come cambia la classifica Atp dopo la vittoria di Sinner su Djokovic: Jannik può diventare numero 1?”. Chiunque abbia guardato l’Atp Ranking Live sa benissimo la risposta: anche se vincerà gli Australian Open, Sinner resterà numero 4. L’unico cambiamento tra i primi quattro potrebbe riguardare Medvedev, che vincendo la finale diventerebbe numero 2 superando Carlito. Altrimenti niente, resta tutto uguale: Djokovic, Alcaraz. Medvedev, Sinner. Il titolo contiene due bugie in 18 parole: la classifica non cambierà, Sinner resterà numero 4 anche se vince. Perché, Repubblica?

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