
Andy Brehme avrà sempre un posto nell’immaginario collettivo nerazzurro. Così come parleremo in eterno del sinistro di Corso, del baffo di Mazzola, del coast to coast di Berti, della rovesciata di Djorkaeff, della doppietta di Milito (seguono 200 altri esempi, tutti lucidamente scolpiti nelle nostre povere menti malate di Inter), Brehme resterà nei nostri cuori come uno dei migliori acquisti della storia nel rapporto qualità-prezzo-rendimento, forse uno dei top 5 di sempre prima dell’era dei parametri zero. Infilato dal Bayern nell’affare Matthaeus perché sbolognandocelo risolvevano un problema, *
*) una felice intuizione replicata 35 anni dopo con Pavard
si rivelò per noi l’uomo che non c’era. Il Trap – dopo la sòla Madjer tamponata con Diaz – fu felice di impiegare il terzo slot per lo straniero con un titolare della Germania Ovest certamente meno fascinoso di Lothar ma con una disponibilità tattica che gli risolse quei pochi problemi che aveva. Brehme – un clamoroso esempio di giocatore totalmente ambidestro – si impose a Milano come uno dei migliori terzini sinistri del mondo, giocando quattro ottime stagioni, almeno due formidabili (con il Mondiale di Italia ’90 di mezzo di cui fu superprotagonista, con tre gol compreso il rigore che decise la finale con l’Argentina) e spendendo da noi i suoi anni migliori. Nell’Inter dei record, Brehme fu una specie di uovo di Colombo. C’era una casella da riempire e la riempì lui, amplificando la resa di tutta la squadra.

Alla nascita del piccolo mito di Andy Brehme (quando Dimarco crossa bene, chi mai ci viene in mente?) ha contribuito il fatto che si è imposto da noi in un ruolo – anzi, forse IL ruolo – in cui negli anni a seguire avremmo visto più fenomeni da baraccone che campioni. Abbiamo avuto a fasi alterne grandi attaccanti, grandi centrocampisti, grandi difensori, grandi portieri. Sulle fasce il rapporto tra buoni/non buoni è molto più sbilanciato al negativo. Ogni volta che abbiamo visto grandi esterni vestire la nostra maglia è stata come un’epifania. Ogni volta che da San Siro, specialmente al primo arancio, non si alza un brusìo al primo stop sbagliato di un esterno, mi do un pizzicotto sulla guancia: “Oddio, sarà l’Eletto?”. Ogni tanto càpita. Con Brehme era capitato. Bruttarello, tracagnotto, eppure magnifico.

Ha avuto una vita sfortunata, una di quelle fasi post-agonistiche in cui qualche giocatore – un po’ per sfiga, un po’ per eccesso di generosità, un po’ per autodistruzione – finisce per perdersi, anche se il peggio sembrava ormai alle spalle. Però se n’è andato a 63 anni e non c’è cosa più crudele per uno che pensava di godersi gli ultimi anni in un altro modo. Era nato il 9 novembre, che è la data della caduta del Muro. Quel giorno compiva 29 anni ed era un giocatore dell’Inter (anche se fisicamente penso fosse in Germania, c’era la pausa per le nazionali). Ha giocato per due diverse Germanie, che è un po’ da supereroe. E’ stato un grandissimo esterno sinistro dell’Inter e anche questo, sì, è decisamente da supereroe.
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(per l’angolo Podcast, vi ricordo che io e il mio socio aspirante pensionato, il mitico Max, attendiamo sempre i vostri vocali al numero dedicato Whatsapp 351 351 2355. Cosa dovete dire? Quello che vi pare. Tenete conto che è pur sempre il podcast dell’interismo moderno e che l’Inter sta dominando la scena del calcio italiano, europeo e universale. Non vedo perché dovreste divagare) (ma se divagate va bene istéss)
(il podcast con 45 episodi ha inaspettatamente mangiato il panettone e punta dritto all’uovo di Pasqua e al Grammy categoria Rivelazione dell’anno. Oltre che su Spreaker – il cui player trovate qui sul blog – lo potete ascoltare anche su Spotify, Audible, Apple Podcast, Google Podcast e tutte le principali piattaforme. Non lo trovate? Prendete appunti – non è difficile – : scrivete “Settore” o “interismo moderno” nell’apposito campo e per incanto vi apparirà. Oppure, certo, potete non ascoltarlo. I vostri genitori hanno anche figli illuminati?)