
Alla disperata ricerca di un argomento meno depressivo di Bologna-Inter, e non trovandolo, mi ero quasi rassegnato a distrarmi pensando alla questione nuovo stadio, talmente poco appassionante e fumosa (almeno per me) che avrebbe potuto scatenare l’effetto opposto, costrigermi cioè a ripensare a Bologna-Inter, quantomeno per tenermi vigile.
Sulla questione stadio ho sempre mantenuto una posizione old style, coerente all’avanzare della mia età e al frullare dei miei coglioni: pronto a incatenarmi al Meazza per fermare le ruspe, contrario a mantenere uno stadio in coabitazione con il Milan (quando il mondo va da sempre in altre direzioni, persino a Torino), contrarissimo ad accettare l’idea di uno stadio superifghissimo ma con meno posti di quello attuale, perchè a me dei superstore e delle food area e del merchandising e del bird watching e del waterboarding non me ne frega un cazzo, io vado allo stadio a vedere la partita, si fa già un sacco di fatica a trovare i biglietti oggi, figuriamoci se tagliano 10-15-20mila posti, ma andate a farvi fottere voi e la vostra modernità, quando poi il calcio non lo vedranno nemmeno più dal divano ne riparliamo.
Poi, un giorno, accade una cosa. Si incontrano Inter, Milan e il sindaco di Milano, mezz’oretta a palazzo Marino tutti piuttosto nervosetti, al Meazza non ci vuole stare più nessuno (neanche se il Comune lo vendesse a una delle due a prezzo stracciato), l’idea di costruire lo stadio-cattedrale di fianco – un’idea frutto di un processo durato anni – diventa improvvisamente una cazzata concettuale, il Milan conferma che si sposterebbe in un’area a 15 minuti a piedi da San Siro, l’Inter dice che ha una possibile soluzione un bel po’ più lontano, in un’area grossomodo vicino al Forum, a cavallo tra i comuni di Assago e Rozzano.
Ora, per un interista extra Lombardia la cosa è piuttosto ininfluente, si tratterebbe di cambiare indirizzo al navigatore o di informare l’autista del pullman. Per un interista lombardo, qualcosina cambia. Per un interista a nord di Milano, o di Milano città metropolitana, cambia tutto. Per un interista di Pavia, cambia tuttissimo.
Cioè, poniamo che a un interista pavese anziano e nostalgico che da mesi e mesi dice a parenti e amici (quei pochi che gli restano) che si incatenerebbe a San Siro pur di fermare le ruspe, una specie di No Tav nerazzurro per il quale il Meazza è uno dei più bei luoghi al mondo – ma quali Machu Picchu, Grand Canyon, Taj Mahal, grandi muraglie, cascate, barriere coralline: stronzate – e non lo cambierebbe con niente al mondo anche con tutti i suoi difetti, ecco, poniamo che a questo relitto umano un giorno si presentasse un emissario dell’Inter alla porta e gli dicesse:
“Senti, influencer della terza età, abbiamo capito che tu non vorresti mai che San Siro bla bla bla, ma romperesti ancora così il cazzo se ti facessimo lo stadio ad Assago?”
Già. Tutto compreso – calcolando cioè anche il tempo che si perde a parcheggiare e a raggiungere a piedi l’antistadio – oggi per me andare a San Siro significa fare a seconda del percorso 42-45 km e calcolare un trasferimento di circa un’ora, un’ora e un quarto. Nel senso che dal momento in cui chiudo la porta di casa al momento in cui mi metto in fila al gate (qui inizia un’altra storia) trascorre questo lasso di tempo, che varia al variare del traffico sulla tangenziale e del culo a parcheggiare. Se invece lo stadio fosse ad Assago, questo lasso di tempo d’incanto si dimezzerebbe. Tipo che, in caso di partita alla sera, potrei cenare a Pavia, alzarmi e ruttare ad Assago.
E’ meraviglioso.
La questione è anche squisitamente morale. Mi scopro improvvisamente corruttibile. Vedo la luce, le luci (non a San Siro). Tutte le mie paturnie sul Meazza? Il mio nobile slancio perchè il nostro leggendario stadio non sia abbandonato nè tantomeno distrutto? Vabbe’, ma sono tranquillo. Se i tempi sono questi, spero che il nuovo stadio (se proprio necessario) lo facciano ad Assago, abbia le scale mobili e il deambulatore non venga sequestrato come arma impropria dagli steward.